Presidente Invalsi: “si lavora a test computerizzato. Saranno introdotti inglese e nuove tipologie di domande”. Cosa cambierà?

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Il nuovo Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione – così come viene tratteggiato nella bozza di delega che vi abbiamo illustrato nei giorni scorsi – potrebbe presto esaudire una richiesta che le scuole fanno da tempo, cioè l’estromissione delle prove Invalsi dagli scritti e la loro somministrazione nel corso dell’anno, con ricaduta sulla certificazione delle competenze.

A prima vista sembrerebbe una ‘vittoria’ dei detrattori dei quiz, che ne hanno sempre contestato la ridondanza con i tradizionali compiti di italiano e matematica e l’interferenza con le loro valutazioni, ma nei giorni scorsi la Presidente dell’Istituto, Anna Maria Ajello, ha tenuto a sottolineare che una simile modifica non lede, bensì rafforza il ruolo dell’istituto, riaffermandone la funzione certificativa e non valutativa (che spetta ancora alle scuole, ma per quanto, viene da chiedersi?). Le abbiamo rivolto qualche domanda proprio a partire da quest’ultimo punto.

Professoressa Ajello, per quanto tempo le due operazioni (scuola dà i voti, Invalsi certifica) potranno ancora coesistere? Perché un sistema di istruzione dovrebbe continuare a finanziarle entrambe? È plausibile, o addirittura auspicabile, una semplificazione?

“La richiesta di separare la valutazione delle prove nel livello 8 (terza media) dal resto delle prove di esame è stata a lungo ripetuta dai docenti. Non era, quindi, “estromissione” perché si ritenevano diverse le funzioni dei due tipi di prove. Le prove INVALSI, negli esami di stato, assumono una funzione certificatrice perché attestano l’acquisizione di competenze relative a due ambiti – italiano e matematica – che sono riconosciute fondamentali. Come altro si può considerare la comprensione di un testo, così come avviene nella prova di terza media, per usare una terminologia più consueta? In altre parole, questi due tipi di competenze rappresentano per gli studenti l’acquisizione di veri e propri diritti di cittadinanza che i docenti devono riuscire a garantire ai loro studenti. Non si tratta, quindi, di una valutazione generale ed estensiva ma, limitatamente a quelle due competenze, l’INVALSI “certifica” nel senso che negli esami di stato ne riconosce l’acquisizione.

Il fatto che i risultati delle prove non entrino nella valutazione finale complessiva degli alunni ma siano riportati in un’altra parte del documento finale, risponde ad una esplicita richiesta dei docenti i quali percepivano come una indebita intromissione nella propria valutazione l’obbligo di tener conto, come è stato sinora, dei risultati delle prove.

Vorrei sottolineare, inoltre, che certificare vuol dire assumere la responsabilità, rispetto agli stakeholder e alla società civile, che una competenza è stabilmente posseduta. E’ quello che succede quando si mandano i propri figli ad effettuare le certificazioni linguistiche, come accade, ad esempio, per l’inglese. Date le diverse funzioni, ritengo che l’INVALSI negli esami di stato costituisca l’organismo terzo che può svolgere quella appena descritta”

Per adesso siamo ancora, tuttavia, in una fase in cui la certificazione delle competenze rappresenta un mero adempimento burocratico per i docenti e un semplice pezzo di carta in più per i genitori, molto più interessati ai voti dei docenti. Crede che le cose cambieranno alla svelta? Catalizzate da quali fattori?

“Non sono in grado di dire se le cose cambieranno e in che modo, perché come si sa, le scelte politiche che sono a monte non rientrano nella disponibilità dell’INVALSI, ma certamente un chiarimento e un approfondimento di questi temi, per evitare che la certificazione si attesti sul mero adempimento, li riterrei opportuni. In altre parole, la nozione di certificazione è ben più recente nella nostra tradizione scolastica e spesso viene confusa dagli stessi docenti con la valutazione; in tal senso, i genitori a maggior ragione sono più avvezzi a ragionare in termini di voti e probabilmente sono pochi quelli che colgono l’utilità delle certificazioni realizzate a scuola. Se ci inoltriamo, tuttavia, sul terreno della certificazione, potremo riconoscere allora la funzione dei diversi docenti nel garantire un’acquisizione stabile di una competenza (ad esempio, quella della comprensione di un testo ovviamente adeguato al livello scolare) che non sarà compito dell’insegnante di una sola disciplina, ma richiederà il concorso delle azioni dei diversi docenti di una classe. Saranno, pertanto, certificate solo alcune competenze, quelle che realmente sono fondative rispetto alle acquisizioni ulteriori e pertanto curate da diversi insegnanti. E’ evidente, a questo punto, che la certificazione così intesa, non sarà una mera operazione burocratica, ma il risultato di operazioni condivise da gruppi docenti impegnati professionalmente”.

Le prove di italiano e di matematica in terza media sono ormai ben collaudate da anni, quelle che saranno proposta per la maturità quali abilità e competenze andranno a sondare?

“L’INVALSI sta conducendo da anni sperimentazioni di diversi tipi di prove, collegate alle Linee guida che sondano anche aspetti di tipo metacognitivo; si tratta di proporre prove che richiedono abilità di discriminazione delle informazioni, per il loro grado di certezza, verosimiglianza, plausibilità, in modo che nel risolvere i diversi item, sia possibile mostrare anche una capacità critica. Ovviamente le prove in sperimentazione prendono in carico la diversa articolazione degli indirizzi della scuola secondaria di secondo grado. In ultima analisi, la scelta del tipo di prove da implementare rientra nelle disponibilità del Ministero, ma ritengo che prima del varo di questa innovazione sarà avviato un dibattito pubblico che dia ragione delle scelte che saranno effettuate.

L’istituto sta lavorando a una piattaforma per la correzione computerizzata delle prove?

“L’istituto è da tempo impegnato nella predisposizione di piattaforme che sono state sperimentate e utilizzate in ricerche con ampi campioni e con tipologie di prove diverse: l’implementazione di una simile piattaforma non desta una particolare preoccupazione. La realizzazione delle prove al computer (CBT: computer based test) consentirà alle scuole di poter realizzare la somministrazione in un arco di tempo prestabilito in modo da consentire un uso articolato delle dotazioni informatiche dei diversi istituti; lo stress della piattaforma e delle scuole, pertanto, sarà distribuito nel tempo e nelle modalità”.

Per quanto riguarda l’inglese, quali novità pensate di introdurre dalla primaria alle superiori? Pensa che la vostra ricognizione andrà di pari passo con un investimento strutturale nell’insegnamento e nel potenziamento di questa disciplina?

“Ci è stato richiesto di approntare le prove almeno per il livello 8 e il livello 13 (terza media e maturità) e nell’anno scolastico 2017-18 dovremmo essere in grado, come INVALSI, di avviare questa innovazione. Le soluzioni proposte hanno analizzato le diverse realizzazioni di queste prove in diversi Paesi europei esaminando vantaggi e svantaggi di ciascuna di loro e rappresentandoli in sede ministeriale.

Per quanto riguarda il potenziamento dell’insegnamento di questa disciplina, ci risulta che il Ministero si stia orientando proprio in questa direzione, accompagnando l’innovazione da misure specifiche rivolte ai docenti. Non sono in grado di aggiungere altro a questo proposito, e suggerirei perciò di rivolgere ai responsabili MIUR questo tipo di domande”.

La valutazione standardizzata degli apprendimenti potrà un giorno riguardare anche l’insegnamento terziario?

“L’università – se è a questo livello che si sta pensando – ha una totale autonomia su questo punto. Tuttavia, già da qualche anno sono in corso attività da parte di alcune università relative a prove standardizzate per l’accertamento delle competenze degli studenti, realizzate in modo da produrre dati attendibili. E’ un problema che riguarda tutte le università, alcune delle quali si sono incamminate da tempo sulla strada di verificare le conoscenze in ingresso e la percezione degli studenti rispetto alle caratteristiche delle lezioni a cui prendono parte. La didattica universitaria, in altre parole, ha cominciato ad essere oggetto di attenzione e di verifica da parte degli organismi dei diversi Atenei. Anche l’ANVUR sta lavorando a questo scopo. Insomma, la mia personale impressione è che sia accresciuta la sensibilità rispetto a questi temi anche in sede universitaria e quindi potrebbero esserci novità anche per questo livello di studi”.

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