Good food! Non si butti il cibo delle mense scolastiche

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Good food! Non buttate quel ben di Dio. Sta prendendo piede in molte scuole italiane la cultura del recupero alimentare grazie alle iniziative “Good Food Bag” di Legambiente e “La mensa che vorrei” di Cittadinanzattiva.

Good food! Non buttate quel ben di Dio. Sta prendendo piede in molte scuole italiane la cultura del recupero alimentare grazie alle iniziative “Good Food Bag” di Legambiente e “La mensa che vorrei” di Cittadinanzattiva.

In molte scuole primarie italiane è stato fornito gratuitamente da Legambiente ai bambini un sacchetto individuale lavabile per portare a casa il pane e la frutta non consumata durante la mensa.

Secondo l’associazione, solo i pasti somministrati nelle mense scolastiche, in Italia, sono circa 49.000.000 al mese. A ciò si aggiungono i pasti consumati nelle mense aziendali nella ristorazione commerciale.

A causa di porzioni standard nelle mense o perché abbiamo “gli occhi più grandi della pancia”, denuncia Legambiente, spesso lasciamo sul tavolo e nel piatto tonnellate di alimenti che, inevitabilmente, diventano rifiuti da gestire, con un ulteriore costo per la collettività. In media, in Europa, nella ristorazione, sia collettiva che commerciale, si genera il 14 per cento dei rifiuti alimentari prodotti lungo tutto il percorso che fa il cibo, dal campo alla tavola.

I rifiuti alimentari sono uno sperpero stupido di risorse vitali e di denaro per le comunità e per le singole famiglie che vengono spesso pagati due volte. Prima come alimenti e, poi, come rifiuti.

Da qui la proposta di contribuire a diminuire questa emorragia di risorse quando mangiamo fuori, portandoci a casa ciò che abbiamo avanzato per poterne fare una buona merenda o un antipasto per il pranzo o la cena successivi. Esistono alcuni strumenti creati appositamente per lo scopo: a Milano il sacchetto Salvamerenda di Milano Ristorazione e in tutta Italia la Good Food Bag di Legambiente

Si tratta di sacchetti anti-spreco, fatti per portare a casa le porzioni non consumate al ristorante o in mensa: pane, prodotti da forno, frutta non sbucciata, merende, budini e tutti i cibi in vaschetta. Adatti al contatto con gli alimenti, prodotti in Italia, lavabili, riutilizzabili e riciclabili.

L’iniziativa non poteva escludere le scuole, specie le primarie a tempo pieno. Le azioni concrete che si possono adottare allo scopo di diffondere la cultura del sacchetto antispreco a scuola sono tante.

Ad esempio, spiega Legambiente, “se sono uno studente, e il mio comune mi ha fornito il sacchetto anti spreco, la uso tutti i giorni per portare a casa pane, yogurt, budini e frutta avanzata”.

Se sono un genitore o un insegnante “propongo alla commissione mensa oppure al dirigente scolastico l’adozione di un sacchetto antispreco, magari chiedendo di affiancare tale iniziativa con un percorso di educazione alimentare”. Detto, fatto. Almeno in alcune realtà.

E’ il caso, ad esempio, delle classi dell’Istituto Comprensivo di Sermide, in provincia di Mantova. Agli studenti lo scorso anno è stata consegnata la bag, un’apposita sporta a chiusura ermetica, ed è stato loro insegnato a non sprecare il cibo durante i pasti fuori casa usando la sporta per conservare gli alimenti non consumati quali pane, frutta non sbucciata, merendine e altro fino al pasto successivo.

Nei giorni scorsi in alcune scuole primarie di Modena è stato fornito gratuitamente ai bambini un sacchetto individuale lavabile per portare a casa il pane e la frutta non consumata. L’iniziativa è stata potenziata ed estesa in altre scuole, dopo una prima sperimentazione avviata in alcuni plessi della città emiliana e dopo che lo spreco alimentare era finito tra gli oggetti all’ordine del giorno del Consiglio comunale di alcune settimane orsono.

In un documento si chiedeva di estendere a varie scuole il progetto “Goog food bag” di Legambiente, che prevede di dare la possibilità a ogni bambino di portarsi a casa il cibo avanzato e di avviare un progetto di recupero di quanto ancora integro ridistribuendolo nei centri degli Enti caritatevoli del territorio o ad altre associazioni interessate. L’ordine del giorno invitava quindi l’Amministrazione ad aprire un tavolo di lavoro con l’Ausl, la Cir Food, fornitore dei pasti nelle mense scolastiche ed eventualmente con le associazioni caritatevoli più rappresentative del territorio, per superare le possibili problematiche relative all’attuazione di tali progetti.

L’assessore comunale alla cultura Gianpietro Cavazza spiega che “alle scuole dell’infanzia comunali è stata data indicazione di distribuire a casa le merendine idonee all’asporto (per esempio frutta, focaccia, crackers, grissini, muffin) ai bambini che frequentano il part time.

“In accordo con l’Ausl – ha sottolineato – non abbiamo mai fornito quei prodotti a maggior rischio igienico o che richiedono la garanzia della continuità della catena del freddo, quali yogurt, gelato, pizzette. Alcune merende restano da consumare a scuola poiché non porzionabili, come il succo di frutta da un litro, e vengono redistribuite la mattina successiva a colazione”.

La politica della prenotazione dei pasti fatta dai genitori la stessa mattina limita gli sprechi ma possono esserci avanzi legati alla non gradibilità degli alimenti da parte dei bambini, e occorre che non vengano proprio distribuiti per poterli recuperare e ridistribuire.

Anche i milanesi si sono lanciati nell’iniziativa. Molti pasti realizzati da Milano Ristorazione non giungono nelle scuole a causa delle assenze dei bambini. Allora vengono congelati e poi regalati alle associazioni di volontariato che provvedono a dare un sollievo ai tanti poveri che affollano la metropoli. Inoltre gli alunni si portano a casa in un sacchetto il cibo avanzato. Si sta pure pensando di favorire le famiglie povere dei vari quartieri dove convogliare il cibo residuo ancora in ottimo stato.

Anche a Pavia le mense scolastiche registrano sprechi di cibo, che ora si pensa di dirottare verso chi ha bisogno. Secondo il Comune pavese, spesso intere teglie non ancora servite nei piatti vengono gettate. Da qui un progetto diretto a fare in modo che i bambini possano portare a casa la frutta, il pane, lo yogurt o il budino che non hanno consumato durante il pranzo o a merenda”.

Intanto, secondo le stime fornite da Cittadinanzattiva, il 50 per cento dei bambini con meno di 14 anni usufruisce della mensa scolastica e in media ogni alunno, nel ciclo della scuola dell’obbligo, consuma circa 2.000 pasti a scuola, merende comprese.

Complessivamente si può ragionevolmente stimare che ogni anno a scuola si consumino 380 milioni di pasti all’anno, per un fatturato annuo di circa 1,3 miliardi di euro.

Numerose le aziende che forniscono questi pasti ma sono quindici quelle che ne forniscono circa la metà. Secondo l’indagine dell’associazione, nel 2014 rispetto ai prodotti alimentari usati quotidianamente emerge che circa il 76 per cento delle mense del campione rispetti la stagionalità dei prodotti, e che nel 38 per cento dei casi non si utilizzino prodotti biologici. Si garantiscono diete speciali per motivi di salute nell’82 per cento delle scuole e per motivi religiosi nel 54 per cento.

Ma torniamo agli sprechi. Che non risparmiano le stoviglie usate. Dall’ indagine di Cittadinanzattiva risulta che in 13 regioni si utilizzino esclusivamente contenitori e stoviglie riutilizzabili. Nelle altre (Piemonte, Marche, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Sicilia e Molise) si usano sia contenitori riutilizzabili che mono uso, ad eccezione del Molise in cui si predilige sempre “l’usa e getta”. Inoltre, nel 70 per cento degli istituti scolastici si usano tovagliette singole di carta.

Secondo i referenti delle mense scolastiche lo spreco di cibo si aggira mediamente intorno al 13 per cento. Fra gli alimenti più sprecati, le verdure (23 per cento), la pasta (19 per cento), il pane (16 per cento).

Anche riguardo a ciò che si beve è significativo sottolineare come nel 57 per cento delle scuole partecipanti all’ indagine si utilizzi per bere solo acqua minerale.

Tra i cibi serviti a mensa, quello più amato è sicuramente la pasta , soprattutto al pomodoro o al ragù (36 per cento). Seguono la pizza (16), la carne panata (13), i bastoncini di pesce (12), le patate (fritte o arrosto, 11).

Ma ci sono altri dati più preoccupanti. Contrariamente a quanto si pensi, ben il 7 per cento delle scuole non dispone di uno specifico locale mensa e si utilizzano a questo scopo altri ambienti della scuola come: le stesse aule dove si svolgono le attività didattiche quotidiane o alcune aule adattate a locale mense o l’atrio della scuola.

Non sempre il locale adibito a mensa scolastica presenta caratteristiche di sicurezza e qualità soddisfacenti. Infatti, nell’11 per cento dei casi l’ingresso alle mense presenta barriere architettoniche ma, cosa ancor più preoccupante, nel 21 per cento di esse si sono riscontrate distacchi di intonaco e altri segni di fatiscenza come infiltrazioni di acqua, muffe.

Nel 38 per cento dei casi non sono state installate porte con apertura anti panico e questo potrebbe rallentare e rendere difficile un’eventuale evacuazione per motivi di emergenza.

Infine, il progetto “La mensa che vorrei” di Cittadinanzattiva: Milano, Bergamo, Mantova e Pavia, sono le province protagoniste dell’interessante piano di educazione al diritto al cibo nato dal bando “Nutrire il Pianeta” lanciato da Fondazione Cariplo, Comune di Milano e Regione Lombardia. Il progetto mira ad accrescere la qualità, la sostenibilità e la sicurezza delle mense scolastiche di 50 scuole italiane e brasiliane, attivando e sensibilizzando i cittadini e gli studenti lombardi sui temi dello spreco alimentare e del diritto al cibo.

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