Studenti non sanno scrivere. E chi ha formato gli insegnanti, in quale società vivono, come sono diventati prof.?

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La riflessione del Prof. Zecchi ha innescato ancora un nuovo spunto sul dibattito circa le difficoltà che gli studenti italiani presentano nelle competenze di lettura e scrittura.

Proviamo a prendere sul serio la tesi affermata dallo stimato prof. Zecchi, secondo il quale se gli studenti italiani sono ignoranti la colpa è degli insegnanti.

Bene, chi porta la responsabilità della lacunosa preparazione della classe docente italiana? Si dà il caso che tutti gli insegnanti siano laureati, ormai anche quelli della scuola primaria. E’ evidente che a seguire l’argomentazione del professore (riassumibile nella formula “cherchez la femme”, data anche la femminilizzazione del corpo docente), ossia il gioco della facile ricerca del colpevole, è inevitabile additare come principali responsabili della mancata formazione degli insegnanti l’Università italiana e la classe accademica, cioè la categoria cui il prof. Zecchi ha appartenuto come docente ordinario dal 1979 al 2013, e con uno stipendio ben diverso da quello dei suoi impreparati colleghi dei gradi “inferiori” di istruzione.

Andrea Bongiovanni, docente presso il Liceo Scientifico Gullace Talotta di Roma

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Attualmente pratico la professione di insegnante nel ciclo della scuola primaria. Vorrei dare un contributo personale a questa discussione, contributo che ritengo importante perché basato sull’esperienza concreta di chi, come me, ha maturato una visione ampia del problema.

Se colgo bene il focus del ragionamento proposto dal Professor Zecchi, studenti ignoranti a causa di docenti ignoranti, giustamente eliminati da una selezione rigorosa e corretta. Non fosse poi per un erroneo ripescaggio ineluttabilmente condizionato dalla necessità di coprire i posti vacanti.

Ciliegina sulla torta il ruolo nefasto dei sindacati che hanno proletarizzato una professione aulica riducendola ad un impiego allettante per la “casalinga di Voghera”. Anzi chiedo scusa per la svista, la casalinga di Voghera è comunque di un altro livello, giacche di una regione del nord.
Io il libretto citato nell’articolo “Povera maledetta laurea” non l’ho letto, e penso che mi dedicherò ad altre letture perche, ripeto , sulla base dell’esperienza concreta come laureata, donna ed insegnante , ho maturato una visione diametralmente opposta a quella qui illustrata.

Il professore propone un’interpretazione che gode di una continuità nel tempo fatta di tanto lassismo e folkloristica anarchia. La mia esperienza disconferma subito questa ipotesi.

Nell’ambito delle politiche legate all’istruzione, la regola che ho imparato sulla mia pelle è che ogni governo ha dettato le sue condizioni, e non mi pare anarchia, ma direi piuttosto frutto di una precisa gestione del potere.
Risultato, io per esempio sono già vincitrice di concorso a cattedra, sarei entrata in una graduatoria ad esaurimento nel 1999, ma cambiati i governi …. cambiate le regole ……. Se non eri tu a fare qualcosa in prima persona, ti saresti poi accorto da solo nel tempo di avere perso un’occasione. Così è stato per me e quella graduatoria io l’ho ribattezzata ad esaurimento nervoso!
E non è stata l’unica sorpresa, entrata ad insegnare nel 2011 con incarichi annuali, perché il mio titolo era abilitante, mi sono ritrovata quasi fuori dalla porta con l’equiparazione di altre categorie di colleghi.

Ho provato con il sostegno, spendendo tra l’altro 200€ per presentare domanda di ammissione al concorso per conseguire la specializzazione . Non ho superato la prova. A mio avviso (in qualità di psicologa ho svolto per sette anni il ruolo di formatore e reclutatore per l’Esercito Italiano) i pre-test non erano tarati bene. Forse qualcuno penserà che parlo così per giustificare il mio fallimento, ma io continuo a riferirmi alla mia esperienza sul campo. Ho investito molto nella mia formazione, sono laureata in psicologia (laurea specialistica quinquennale), ho maturato molte ore di pratica presso divisioni di neuropsichiatria infantile e, attualmente, ho anche conseguito una specializzazione in psicoterapia. A parte i titoli, durante questi anni di lavoro la soddisfazione più grande è stata quella di vedere crescere i miei alunni e sentirmi amata da loro, apprezzata dai loro genitori, in sintonia con i colleghi e accreditata dai dirigenti.
Morale, i miei titoli valgono 3 punti, la mia esperienza vale 0 punti.

Già, in questo concorso, quando ho fatto domanda, ho scoperto che la mia esperienza di anni sul sostegno non veniva nemmeno accreditata perche esulava dal ruolo per cui facevo domanda (insegnante di scuola primaria). Ovviamente non era possibile per me fare domanda nel sostegno perché non ho il titolo della specializzazione. Vi direi verificate voi se uno specializzato in questo ruolo ha più competenze di quelle che sono in grado di documentare io.

Potrei continuare a lungo con vari esempi estrapolati dalla vita concreta di una persona che da tempo cerca di svolgere questo lavoro, ma mi rendo conto che diventerebbe inutile e tedioso per tutti. Quindi ecco le mie conclusioni.
Benedetti i sindacati, perché in questa jungla di leggi che cambiano come il tempo, e si sa che non ci sono più le mezze stagioni, il vero vincente in questo sistema è il bravo burocrate. Quello che ha studiato tutte le postille vigenti nel momento, che ha ottenuto i 5 punti con il corso on line accreditato dal MIUR.
Ricevo pubblicità ogni giorno di questi corsi che, alla faccia della mia esperienza, della mia laurea e della mia specializzazione, ti offrono la possibilità in un anno di ottenere ben12 punti con a formazione on line!

Quindi non sono i sindacati che hanno proletarizzato il lavoro degli insegnanti, ma è la confusione generata da una politica frammentaria e mutevole che ha generato l’esigenza di esperti a tutela di una categoria di lavoratori dove, il migliore è quello che riesce a districarsi con maggiore efficacia tra le mille postille delle leggi in vigore.

Per il problema di genere. Anche qui la vedo al contrario di come il Professore si esprime nel suo articolo. Di nuovo parlo sulla mia pelle, sono anche un ex ufficiale dell’esercito, quindi ho esperienza del lavoro da maschio e di quello da femmina, giacché io mi considero innanzitutto una persona e mi muovo senza pregiudizi nel mondo del lavoro. Ho affrontato una selezione come ufficiale, una volta dentro eri dentro avevi un trattamento adeguato. La formazione è anche on the jobs, come si usa dire in questi tempi, quindi un trattamento economico adeguato ti permette anche di investire sulla tua posizione.

Le nostre maestre hanno fatto la storia dell’Italia, donne che raggiungevano qualsiasi borgo sperduto lavorando con dedizione e abnegazione. Inutile dire che nessuna di loro è diventata un’ eroe nazionale, come sempre il lavoro delle donne vale poco. Ecco perché, a mio avviso nasce un trattamento economico e di stabilità a dir poco approssimativo. Parlo sempre sulla mia pelle. Essere precaria nella scuola, vuol dire lavorare da ottobre/ novembre fino a giugno se ti va bene. Io ho aperto partita iva, e faccio altri tre lavori in parallelo, consulenza, psicoterapia e sportello.

Non mi rende molto, anzi devo ancora capire se in realtà ci rimetto, perché la mia vocazione non fare di conto, per questo pago anche una commercialista e tante volte ho la percezione che se non facessi nulla e chiedessi la disoccupazione camperei meglio. Anzi camperei sicuramente meglio se, come vuole il cliché e come detta la “spinta sociale”, fossi sposata e ci fosse un maschio alle mie spalle a gestire la mia vita tra insegnamento e figli, magari anche stringendo i denti e sopportando rapporti non del tutto soddisfacenti, allora forse tutto andrebbe a regime.

Ho fatto una riflessione anche io sull’argomento dell’ignoranza che si presenta nelle università, e anche in questo caso parlo per esperienza.

Quello che impari nel ciclo della scuola dell’obbligo diventa un automatismo di cui spesso non c’è l’occasione d sviluppare una consapevolezza. Cioè, parlando riesci a coniugare bene un verbo, ma se poi ti chiedono i verbi potresti anche non ricordarli. Questo succede quando l’apprendimento lo eserciti e quindi continui ad esprimerti in termini corretti, altrimenti subentra un altro fenomeno che si chiama estinzione.
Quando ho fatti l’università ho affrontato per anni la preparazione e la discussione di esami che implicavano una buona gestione dell’orale. Lo scritto se si presentava, per lo più era costituito da un questionario a scelta multipla. Quando ho dovuto affrontare la tesi ringrazio ancora Renato, il mio amore di quel tempo, che mi ha spiegato “soggetto – verbo – complemento”.

Mi chiedo ma è solo questo il problema? I modelli offerti nell’immediato, andiamo a vedere i media, spesso non sono così corretti. Inoltre la proletarizzazione della cultura non mi pare sia un fenomeno che riguardi solo gli insegnanti.
Oggi come oggi pare che non sia più possibile parlare un dialetto ed esprimersi in modi immediati, magari padroneggiando qualche altro tipo di competenza.

La sensazione è quella di vivere in una società dove dobbiamo essere per forza tutti dottori, una realtà che offre prevalentemente servizi, dove un buon artigiano, che magari non è qualificato a nella produzioni di testi scritti e a compiere grandi circonvoluzioni verbali, non è detto che trovi una sua collocazione. E comunque anche la trovasse, una volta passato lui, come si continua? Magari offrendo grandi corsi di formazione fatti di chiacchiere che ti lasciano a mani vuote.

Epilogo, sempre sulla mia pelle, ho passato lo scritto del concorso citato dal Professore, mi sto preparando ad affrontare l’orale, non per questo mi sento migliore o peggiore di tanti miei colleghi che stanno vivendo la stessa esperienza, auguro a tutti buona fortuna o, in alternativa un buon sindacato, metti ci fosse da fare ricorso sulle prove!

Paola Fassone

Zecchi: studenti ignoranti perché ignoranti gli insegnanti

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