Sì al riconoscimento dell’anzianità di servizio per i precari

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La Corte di Appello di Milano con sentenza del 28 febbraio 2017 ha affrontato un contenzioso che aveva per oggetto  anche il diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata pari all’intero periodo di lavoro con conseguente condanna dell’Amministrazione, oltreché al risarcimento del danno, alla corresponsione delle differenze retributive e alla ricostruzione della carriera.

I Giudici hanno riconosciuto l’anzianità di servizio maturata e le conseguenti differenze retributive che devono intendersi rapportate alla medesima progressione economica prevista per i dipendenti a tempo indeterminato del comparto scuola dai CCNL succedutisi nel tempo (cfr., Cass. 22552/2016).

Dichiarando, dunque, il diritto della ricorrente al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata e per l’effetto condanna il Ministero appellato al pagamento delle differenze retributive tra la retribuzione riconosciuta a un lavoratore a tempo indeterminato di pari livello e anzianità e la retribuzione percepita dalla ricorrente nel medesimo periodo, oltre a interessi legali dalla presente sentenza al saldo.

La Corte di Appello di Milano ha fatto proprio quanto disposto dalla Corte di Cassazione n. 22552/2016 che a sua volta ricordava come la Corte di Giustizia dell’Unione Europea abbia evidenziato che : a) “La clausola 4 dell’Accordo Quadro esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C-286/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/2005, D.C.A.; 8.9.2011 C-177/10 Rosado Santana); b) Il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzione contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5) “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (D.C.A., cit. punto 42); c) Le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva ( Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44 e giurisprudenza ivi richiamata); d) A tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit. punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, causa C302/2011 e 305/2011, Valenza; 7.3.2013, causa C 339/2011, Bertazzi).

La Corte di Cassazione ha anche evidenziato: “Questa Corte ha già affermato che la interpretazione delle nome Eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e dive applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa.

A tali sentenze, infatti, siano esse pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto dell’unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione,con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione”. Ad avviso della Corte, alla violazione del diritto del lavoratore a termine a non essere discriminato nelle condizioni di impiego consegue una connotazione anche risarcitoria della pretesa retributiva dell’odierna appellata.

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