Licei quadriennali, Giuliano: risultati positivi, ma prima innovare la metodologia

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Sono tante le scuole in attesa di conoscere i criteri che delimiteranno la partecipazione alla sperimentazione dei licei quadriennali.

Salvatore Giuliano, alla guida della scuola probabilmente più innovativa d’Italia, mette in guardia dai facili entusiasmi e ammonisce anche chi dovrà occuparsi della selezione: la quadriennalità deve essere un punto di arrivo, non di partenza.

Preside Giuliano, come mai il decreto sui licei quadriennali è ancora latitante? Inoltre, ci sono dati che riguardano le sperimentazioni svolte finora?

“Sul decreto non saprei cosa dirle, probabile in qualche modo c’entra anche il referendum, mentre per quanto riguarda i dati, basandomi sull’esperienza della Puglia posso testimoniare che i comitati tecnico scientifici previsti dal decreto con cui il Ministro Carrozza dava il via alla sperimentazione hanno lavorato molto bene, operando sia in presenza sia a distanza”.

Che tipo di lavoro hanno svolto?

“Hanno rendicontato all’amministrazione centrale quello che accadeva nelle scuole dopo incontri con insegnanti, famiglie e ragazzi”.

Senta, c’è chi ritiene che la decapitazione del percorso liceale di un anno sia una solenne sciocchezza, mentre si sarebbe dovuto pensare a un riordino del ciclo precedente prevedendo lì un anno in meno. Lei come la vede?

“Nel passato si è già affrontato questo argomento. Importanti sono stati gli studi avviati con l’allora ministro Berlinguer. Nel frattempo molti cambiamenti sono avvenuti. Si potrebbero prendere quei risultati e coniugarli con l’attualità”.

Come è stata l’esperienza nella sua scuola, il “Majorana” di Brindisi? Quali sono i requisiti per avviare un esperimento impegnativo come il liceo in quattro anni?

“Nel mio istituto sta andando molto bene, ma la quadriennalità non è stato un punto di inizio, bensì un punto di arrivo. Mi spiego meglio: in questo momento fa sicuramente gola a molte scuole introdurre un’innovazione del genere, ma partire con un liceo di quattro anni senza prima aver attivato forme di innovazione metodologica e didattica può essere molto, molto rischioso. Insomma, non è un fiore all’occhiello da esibire, ci vuole metodo e non basta il solo gusto di partire”.

Sa se il decreto di prossima emanazione si muoverà in quest’ottica?

“Me lo auguro, la selezione dovrebbe tener conto più di quello che hai fatto che non di quello che vuoi fare. C’è invece il rischio che l’ammissione alla sperimentazione venga data sulla base delle pressioni più o meno forti che le scuole sapranno mettere in campo. Dopo una prima scrematura documentale, sarebbe auspicabile che l’iter di concessione proseguisse con visite in loco, anzi, ancor più utile sarebbe pensare a visite preventive in grado di mettere a fuoco lo stato di riflessione sull’innovazione, anche tecnologica, a cui le scuole aspiranti sono giunte”.

Entrando nella quotidianità di questi percorsi, al “Majorana” avete optato per un orario compattato, quindi alcune materie si studiano solo nel primo altre solo nel secondo quadrimestre, ma i ragazzi vanno a scuola anche il sabato. Non c’è il rischio di sovraccaricarli troppo? In pratica loro studiano in quattro anni quello che gli altri fanno in cinque.

“I ragazzi non ci hanno restituito nessun riscontro negativo, non c’è sovraccarico perché abbiamo innovato in maniera capillare la metodologia di insegnamento. Le lezioni sono tutte laboratoriali e la compattazione va loro incontro nel momento in cui non hanno più cinque o sei materie da preparare nel pomeriggio, ma tre al massimo”.

Lei ha sempre elogiato molto il suo corpo docente oltre ai ragazzi, ma da preside saprà che non sempre è facile creare una squadra.

“Questo è un altro nodo importante. Un gruppo di cinque, sei persone lo trovi facilmente, il vero ostacolo è far sì che la sperimentazione diventi metodo per portare sulla stessa lunghezza d’onda tutti i docenti”.

Molti docenti sono spaventati dalla tecnologia, secondo lei che cosa si perde e che cosa si acquista con l’impiego massiccio di dispositivi nella didattica? Un genitore qualche tempo fa in una lettera addossava alle nuove metodologie la colpa del fatto che i propri figli non conoscessero le tabelline a memoria…

“Non credo che si possa fare un discorso su quello che si perde o su quello che si acquista. La tecnologia, che ormai permea tutte le attività umane, può fornire alla didattica opportunità di potenziamento incredibili, che chiaramente vanno scelte e approfondite nella misura in cui risultano più vantaggiose per gli studenti. Le faccio l’esempio della realtà virtuale o aumentata: i nostri studenti studiano il corpo umano vedendo da vicino come funzionano, per esempio, i vari organi. E comunque le tabelline le sanno, le sanno”.

L’altro rischio è che sulle scuole si concentrino gli appetiti economici delle aziende pronte a fare business.

“Gli interessi economici sulle scuole ci sono sempre stati, fin da quando si vendeva il papiro… Ma torniamo al punto iniziale: se si parte con i licei quadriennali per il gusto di partire, si può diventare facilmente preda del commerciante di turno che promette la soluzione chiavi in mano. L’ideale è prendere delle decisioni dopo essersi confrontati con realtà diverse, avere visto altre scuole, senza farsi affascinare dall’idea del cambiamento tout court ed evitando facili entusiasmi del tipo allons enfant de la patrie”.

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