Adolescenti risucchiati dal digitale

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Ufficio Stampa Erickson – Che non escono di casa per mesi: di notte navigano in internet, tra videogiochi e social network, e di giorno dormono. In Giappone soffrono di questa “sindrome di Hikikomori” (letteralmente, «stare in disparte») un milione di ragazzi. In Italia sono 240 mila i giovani tra i 14 e i 18 anni che vivono questa «sepoltura in vita». Questo è uno dei pericolosi effetti che la dimensione virtuale “scarica” sulla vita reale.

Ufficio Stampa Erickson – Che non escono di casa per mesi: di notte navigano in internet, tra videogiochi e social network, e di giorno dormono. In Giappone soffrono di questa “sindrome di Hikikomori” (letteralmente, «stare in disparte») un milione di ragazzi. In Italia sono 240 mila i giovani tra i 14 e i 18 anni che vivono questa «sepoltura in vita». Questo è uno dei pericolosi effetti che la dimensione virtuale “scarica” sulla vita reale.

Ne ha parlato Maria Rita Parsi, psicopedagogista, psicoterapeuta e scrittrice, intervenendo al primo convegno “#Supereroi Fragili. Adolescenti a scuola tra vecchi e nuovi disagi”, organizzato dal Centro Studi Erickson di Trento al Palacongressi di Rimini.

Di fronte ai mille partecipanti – psicologi, insegnanti, educatori, assistenti sociali, genitori – Parsi ha parlato dei rischi del mondo digitale ai quali sono esposti i ragazzi. Partendo da alcuni dati significativi: oggigiorno sono due
milioni i bambini tra i 5 e i 14 anni che utilizzano costantemente la rete. Addirittura il 38% dei bimbi sotto i due anni ha usato un dispositivo mobile. A otto anni usano già abitualmente smartphone e tablet (72%) e uno su due ha un proprio telefonino. Infine, l’età media di iscrizione a Facebook, che è di appena 13 anni e mezzo.

«E dove sono gli adulti in tutto questo?», si è chiesta la nota psicoterapeuta. «La realtà – ha detto – è che si sentono sicuri, perché hanno i loro figli sotto controllo. O almeno così credono. Li vedono in casa, che giocano con
telefoni o tablet, sono convinti di poterli controllare, ma in realtà non sanno i rischi ai quali possono andare incontro».

Ma quali sono questi rischi? «Innanzitutto il grooming, ovvero l’adescamento in rete», ha spiegato Parsi. «L’abusatore crea un legame fiduciario con il minore, si fa dire confidenze, dare indicazioni, fino ad arrivare a un incontro fisico. E Facebook è il canale prediletto per questo fenomeno».

Un altro pericolo è quello che «il minore, nel mare magnum del web, possa trovare immagini scioccanti che possano avere ripercussioni negative sui loro comportamenti, sulle loro abitudini», ha detto la scrittrice prima di lanciare un messaggio conclusivo. «Per affrontare questa situazione bisogna formare gli insegnanti, affinché preparino ragazzi e genitori per navigare sul web con una alfabetizzazione adeguata. Inoltre, è necessario che la
tutela dei diritti sia parificata nel mondo virtuale come in quello reale. Non si può lasciare la rete come un territorio senza controllo. Di tutto questo – ha concluso Parsi – dovrebbe occuparsene l’Unione europea o addirittura una ConvenzioneOnu che si prenda cura del modo virtuale per fare in modo che qualcosa cambi. Perché in questo modo tutto è a disposizione di tutti, senza distinzioni, senza preparazione. Tutto è a portata di clic. Anche ciò che può far male».

Alla sessione plenaria conclusiva sono intervenuti – tra gli altri – anche Stefano Vicari, primario di neuropsichiatria infantile al Bambino Gesù di Roma, Gianluca Daffi (Università Cattolica) e l’esperto di dipendenze Federico Tonioni. Quest’ultimo ha affermato che «se le vecchie dipendenze erano finalizzate al piacere, i giovani d’oggi cercano invece nella dipendenza la perdita del controllo. Questo perché – ha concluso – vivono in una società ipercontrollata».

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