Concorso a cattedra: mi metto in gioco, ecco la mia prova (non superata) per Lettere (Lombardia)

Di Lalla
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inviato da Simone Finotti, partecipante al concorso a cattedra 2012-13 per gli Ambiti 4 e 9, regione Lombardia – Spett. Orizzontescuola, sfidando il tabù duro a morire della “segretezza delle prove” (che sono pubbliche, non dimentichiamolo), e premettendo che non è mia intenzione polemizzare, ho deciso di mettermi in gioco davanti a un pubblico che di scuola se ne intende.

inviato da Simone Finotti, partecipante al concorso a cattedra 2012-13 per gli Ambiti 4 e 9, regione Lombardia – Spett. Orizzontescuola, sfidando il tabù duro a morire della “segretezza delle prove” (che sono pubbliche, non dimentichiamolo), e premettendo che non è mia intenzione polemizzare, ho deciso di mettermi in gioco davanti a un pubblico che di scuola se ne intende.

Trascrivo dunque, dal pdf e senza alcun “ritocco” a posteriori, la mia prova giudicata non sufficiente al famigerato “concorso a cattedra”: parliamo delle cdc A043/A050, Lombardia. Non mi aspetto accuse, apologie né commenti, non sono un oste che vende il suo vino. Su alcuni aspetti sono anche d’accordo con la commissione.

Mi rivolgo specialmente a tutti quelli curiosi di buttare un occhio al compito in classe del compagno di banco, nella speranza di far loro un piccolo servizio. Se cominciassimo a farlo in tanti (ovviamente non qui, ma in uno spazio dedicato), forse ci sarebbe anche in fatto di concorsi un po’ di trasparenza in più, visto che, questa è la lamentela più comune, la giustizia amministrativa sui contenuti non si pronuncia mai. Forse qualcosina potrebbe perfino cambiare. Ecco qui:

1) La varietà delle testimonianze storiche è pressoché infinita. Tutto ciò che l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce, tutto ciò che sfiora, può e deve fornire informazioni su di lui ". (M. BLOCH, Apologia della storia). Si commenti questa frase di Bloch a proposito delle fonti e del loro utilizzo in storia.

Nell’ambito della “didattica per competenze”, introdotta in Europa dalla Raccomandazione CE del 18/12/2006, l’uso e l’interpretazione delle fonti nell’insegnamento della storia (o, per i percorsi liceali, della geo-storia) ha assunto particolare rilievo. In questo senso è da tenere in considerazione la lezione dell’École des Annales, di cui Marc Bloch (autore, circa un secolo fa, del fortunato “I re taumaturghi”) fu esponente di spicco. L’affermazione di Bloch si inserisce nel contesto della “nuova storia”, che fa luce su aspetti e problemi in precedenza ritenuti secondari contrapponendosi a una visione meramente “evenemenziale” del fluire storico. Allargando il bacino delle fonti, necessariamente si ampliano le prospettive della disamina storiografica, fino a comprendervi non solo i grandi eventi, ma anche gli umili, gli uomini comuni, i fenomeni di “lunga durata”. Su questa linea si muoveranno generazioni di storici, a partire da J. Le Goff e, in Italia, Franco Cardini (per ricordare solo alcuni medievisti). Con la scuola delle Annales si chiude anche l’epoca in cui si tendeva a privilegiare la testimonianza scritta, percepita come più nobile rispetto alla fonte materiale oggetto, semmai, fin dal ritrovamento di Ercolano (1738) e Pompei-Stabia (1748), di curiosità erudita. La frase di Bloch apre tuttavia anche un altro problema: quello della classificazione delle fonti, su cui ci si può soffermare all’inizio del primo anno del ciclo superiore: gli indirizzi storiografici più recenti privilegiano la distinzione fra fonti dirette (cioè provenienti senza mediazione dall’epoca di cui sono testimonianza) e fonti indirette (cioè “mediate”). Interessante, a tal proposito, affrontare in classe il problema dell’interpretazione. Voto: 7/10

2) Perché la Geografia, nella lettura e interpretazione dei fatti che derivano dalle relazioni tra uomo e ambiente, non può fare a meno di prestare grande attenzione alla dimensione temporale, includendo in questa anche il futuro?

Quattro sono le dimensioni attraverso cui si muove ormai lo studio dei fenomeni geografici. Alla latitudine e longitudine del reticolato geografico classico si dovranno aggiungere l’altitudine e, non secondaria, la prospettiva temporale, intesa nelle due direzioni “diacronica” e “sincronica”. La geografia antropica, quella cioè che studia le relazioni tra uomo e ambiente, indaga l’impatto delle attività umane (intese in senso lato) sul territorio, e pertanto non può prescindere dalla dimensione del tempo, Lo capì bene uno storico come Fernand Braudel, che durante la prigionia negli anni del secondo conflitto mondiale scrisse “Civiltà e imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II”. La corposa opera è interessante, in una prospettiva geo- storica, in quanto tripartita secondo il criterio della “durata”: a una prima sezione, molto ampia, che descrive i processi geomorfologici di formazione del bacino del Mediterraneo, segue una seconda dedicata ai fenomeni di “lungo periodo” (commerci, migrazioni, religioni…). Solo in ultimo compare l’uomo, inteso come entità individuale, con i suoi fatti e i suoi eventi “brevi”. E il futuro? A guerra terminata si incominciò a parlare di sviluppo, ma presto si comprese che l’incremento demografico planetario (con punte massime negli anni ’60-’70), in concomitanza con la fase transizionale dei Paesi emergenti, non avrebbe consentito uno sviluppo indiscriminato. Si teorizzò allora il concetto di “sviluppo sostenibile”, ben definito dal rapporto Brundtland del 1987. Qui, per la prima volta in una sede autorevole (UN), si pone l’ accento sulle dinamiche uomo-ambiente in una prospettiva che contempli le nuove generazioni. Nel Protocollo di Kyoto (entrato in vigore nel 2005 con l’adesione della Russia) si riflette sui cambiamenti climatici causati dalle attività antropiche. La strada sembra segnata. Voto 7/10

3) Esplicitare le principali differenze fra la lingua scritta e quella parlata in vista di specifici percorsi di sviluppo delle abilità linguistico-comunicative.

In prospettiva di un “apprendimento significativo”, in cui le “conoscenze inerti” si trasformino in “competenze linguistiche” effettivamente spendibili, occorre porre molta attenzione allo studio della lingua secondo le sue cinque varianti: diacronia (dimensione temporale), diastratia (livello sociale), diatopia (luogo), diafasia (contesto comunicativo) e diamesia (mezzo di comunicazione), una distinzione che riprende in parte le teorie di Jakobson (1929) sul funzionamento della lingua. Le ultime due varianti, quella secondo il contesto e quella secondo il mezzo, riguardano anche le differenze tra lingua scritta e lingua parlata. La distinzione fra competenze afferenti allo scritto e competenze relative al parlato è recepita peraltro dal Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, che, articolato in tre livelli (A= base; B= autonomia; C= padronanza) e due sottolivelli, prevede abilità di comprensione scritta, orale e produzione scritta e orale. Un problema che si avverte a scuola, in particolare nelle discipline di ambito letterario, è quello dello
sbilanciamento a favore dello scritto, ritenuto più oggettivamente verificabile e, forse, più avvicinabile all’ “italiano standard”. Così accade che spesso “non si facciano parlare” gli alunni, né in sede di lezione partecipata, né di interrogazione, o, nel caso, non si verifichi la correttezza nell’uso dei connettivi, nelle concordanze, nella gestione di modi e tempi verbali. Bisogna ricordare che sviluppare le competenze linguistiche significa, in ultima istanza, modificare dei comportamenti: è pertanto opportuno, sia in sede di lezione, sia di verifica, dedicare tempo all’esercizio e alla correzione sistematica non solo delle prove scritte, ma anche della “produzione orale”. Voto 6/10

4) G. Leopardi, Zibaldone 935-937. Ai fini dell’utilizzazione didattica nel ciclo scolastico di riferimento, si svolga l’analisi delle specifiche strutture del testo a livello morfosintattico, lessicale, testuale, nonché un’analisi critico-letteraria.

Secondo la scansione dei contenuti più in voga, e in linea con le indicazioni ministeriali del 2010, G. Leopardi (1798-1837) viene proposto nel primo periodo dell’ultimo anno del ciclo secondario superiore. Gli studenti dovrebbero dunque disporre dei prerequisiti adeguati per affrontare un’analisi morfosintattica, lessicale e testuale, con incursioni critiche e interpretative. Sotto il profilo sintattico, qui spicca innanzitutto la brevità dei periodi, quasi a rappresentare la stringente concatenazione dei pensieri. Ciò trova riscontro inoltre nella ripetizione anaforica di alcuni stilemi (Di più… Di più; Che la diversità… Che il progetto), e nell’uso frequente di costrutti impersonali, antitesi (cittadinesco-campestre), soggettive e oggettive, quasi a fissare icasticamente lo svolgimento delle argomentazioni. Ma l’antitesi più evidente, che emerge nella seconda parte del testo, è quella fra “Dio” e “natura”, corroborata nel finale da quella fra “pratica” e “ragione”. A questo proposito troverei utile una lettura in parallelo con la “Storia del genere umano”, la prima
delle Operette morali del 1824: e anche se in questo caso le osservazioni di Leopardi sembrano limitate al dato linguistico, vi si coglie in realtà una prospettiva più ampia, aperta al caos “naturale” dell’incomunicabilità tra gli uomini (anche tra “vicini di casa”) e all’ infelicità degli uomini. Alcune spie retorico-linguistiche dimostrano che non si tratta di un pensiero scritto “di getto”. Il lessico si mantiene in un registro mediano tra colloquiale e classicheggiante, e non mancano i riferimenti eruditi. Le riflessioni sulla lingua, sia in prospettiva diacronica, quindi storica, sia in un’ottica più attuale, rappresentano uno dei nuclei tematici più cospicui dello Zibaldone, vero e proprio libro-vita di Leopardi, i cui primi pensieri risalgono alla giovinezza recanatese. Proporrei anche un confronto con le prospettive linguistiche di Manzoni e di Graziadio Isaia Ascoli. Voto: 6/10

Totale prova: 26/40

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