8 marzo, Anief: per le donne insegnanti c’è poco da festeggiare. Presto in pensione a 67 anni e assunte anche fuori regione

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ANIEF – In Italia, solo quelle di ruolo sono più di mezzo milione: quasi l’82%, una delle percentuali più alte al mondo.

ANIEF – In Italia, solo quelle di ruolo sono più di mezzo milione: quasi l’82%, una delle percentuali più alte al mondo. Nel 2018 potranno lasciare il lavoro come gli uomini, con la Buona Scuola saranno decine di migliaia costrette ad essere assunte lontane dalla loro regione e in larga parte a rimanervi per tre anni. E lo stesso vale per tutte quelle di ruolo che continuano a chiedere di avvicinarsi a casa, ma una norma anacronistica sui trasferimenti le continua a tenere lontane dai loro affetti.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è scientificamente provato che svolgono il mestiere che impegna di più in relazioni umane e nello sviluppo della persona. Ma paradossalmente è anche quello che è stato più sacrificato sull’altare dei tagli nella pubblica amministrazione. E poco conta che a pagare il prezzo di questo errore sono anche gli alunni, che si ritrovano una fetta sempre più grande di docenti demotivati e stanchi.

Diventa sempre più in salita la strada delle donne che insegnano nella scuola pubblica: dopo la “stretta” introdotta dalla riforma Fornero, con l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile, tanto che nel 2018 potranno lasciare il lavoro solo a 67 anni, con la Buona Scuola saranno decine di migliaia costrette ad essere assunte lontane dalla loro regione di appartenenza e costrette in larga parte a rimanervi per tre anni. E lo stesso vale per tutte quelle di ruolo che continuano a chiedere di avvicinarsi a casa nell’ultimo periodo, ma una norma anacronistica sui trasferimenti le continua a tenere lontane dai loro affetti.

Il sindacato chiede da tempo di applicare delle deroghe per il mondo della scuola, ma la politica che continua a prevalere, concentrata a risparmiare sulla pelle dei lavoratori, va verso la direzione opposta. Ricordiamo che nella categoria dei docenti, le donne rappresentano l’81,1%: se ci fermiamo all’organico di diritto, 665.332 posti, si tratta quindi di oltre mezzo milione di insegnanti. In Europa solo un Paese, l’Ungheria, conta una presenza maggiore di sesso femminile (82,5%).  

Se ci si concentra sulla scuola d’infanzia, in Italia si stabilisce un record mondiale: solamente lo 0,4% di maestri sono uomini. Una presenza che alle superiori si riduce sensibilmente, ma sfiorando il 60% costituisce sempre la grande maggioranza. Anche in questo caso si tratta di una caratteristica tipicamente italiana: basti pensare che in Germania le donne di ruolo impegnate nella scuola secondaria di secondo grado sono appena il 46,2%.

A causa dei 200mila tagli di posti degli ultimi anni, inoltre, il loro reclutamento è diventato sempre più complicato: i docenti precari sono stati tagliati del 25%, mentre quelli di ruolo sono scesi del 6%. Così il tempo di attesa che porta alla stabilizzazione si è allungato. Tanto è vero che oggi le nostre docenti con meno di 30 anni sono appena lo 0,5%: in
Germania sono il 3,6%, in
Austria e Islanda il 6%, in Spagna il 6,8%.

Ma anche in “uscita” il percorso delle donne insegnanti si fa sempre più difficile: quest’anno le norme per accedere all'assegno pensionistico hanno portato le lavoratrici del pubblico a lasciare il servizio a 63 anni e 9 mesi. Nel 2018 per entrambi i sessi serviranno quasi 67 anni: per comprendere l’enormità del numero, basta dire che 20 fa, prima della riforma Amato, le insegnanti potevano lasciare anche a 55 anni. Esemplare è la triste vicenda dei ‘Quota 96’, che a due anni e mezzo di distanza dall’introduzione della riforma Monti-Fornero ancora non trova luce.

Anche le proiezioni sono davvero pessime: tra 15 anni, nel 2030, si potrà accedere alla pensione di vecchiaia solo oltre i 68 anni; mentre per accedere all’assegno di quiescenza anticipato bisognerà aver versato attorno ai 44 anni di contributi. E già oggi i pochi fortunati che possono lasciare prima, si vedono quasi sempre decurtare l’assegno pensionistico di cifre non indifferenti, in media del 25%. Come se non bastasse, “per più di quattro pensionati su dieci l'assegno non arriva neppure a mille euro al mese”, oltre la metà (il 52%) sono donne, e “il potere d’acquisto delle pensioni è in caduta libera: in 15 anni è diminuito del 33%”.

Inoltre l’‘opzione donna’, reintrodotta dal Governo negli ultimi mesi, si è rivelata una beffa: la possibilità, prevista dalla legge 243 del 2004, per le lavoratrici con almeno 35 anni di contributi e 57 anni d’età di andare in pensione, ha avuto un prezzo davvero salato da pagare, fino al 39% di perdita dell’assegno pensionistico.

“Tutto ciò avviene – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – malgrado sia stato scientificamente provato che chi opera nella scuola svolge uno dei lavori più stressanti e a rischio burnout: è il mestiere che impegna di più in relazioni umane e nello sviluppo della persona. Ma paradossalmente è anche quello che è stato più sacrificato nell’altare dei tagli nella pubblica amministrazione. E poco conta che a pagare il prezzo di questo errore sono anche gli alunni, che si ritrovano una fetta sempre più grande di docenti demotivati e stanchi”.

In Italia, la correlazione tra stress da insegnamento e patologie è stata confermata dallo studio decennale ‘Getsemani’ Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti, da cui è emerso che la categoria degli insegnanti è quella che di più conduce verso patologie psichiatriche e inabilità al lavoro: dallo studio è emerso che ad essere stressati per il lavoro logorante sono, a vario titolo, il 73 per cento dei docenti. Quasi l’82% sono donne.

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