Buona scuola, formazione docenti e alternanza scuola-lavoro “panacea” dei mali della scuola. Lettera

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A volte è sufficiente assistere a poche sedute di un consiglio comunale, di un consiglio di amministrazione o di un qualunque organo collegiale, per comprendere lo stato in cui versa un governo cittadino, un’azienda, un’istituzione scolastica.

Ad esempio, basta partecipare a una riunione del Collegio dei docenti per rendersi conto di quale sia la direzione imboccata dalla scuola italiana in epoca renziana. Due sono i punti all’ordine del giorno che ormai assorbono la maggior parte del tempo e delle energie: la formazione degli insegnanti e l’alternanza scuola lavoro per gli studenti. I primi sono notoriamente pigri, non prendono mai in mano un libro, sono digiuni di tecnologie digitali (è già tanto se riescono a inviare una mail o a inserire il PIN nel telefonino), conoscono poco le lingue. I secondi hanno l’impudenza di perdere ancora il loro tempo a leggere una tragedia di Sofocle, a tradurre un passo di Tacito, a confrontarsi con l’idea di tolleranza di Voltaire e, magari, a incantarsi davanti a Las pinturas negras di Goya.

Tutto ciò non è né accettabile né tollerabile in un Paese, che finalmente, e forse per la prima volta, viene guidato con mano ferma e sicura. Da qui la rapidità della soluzione individuata nelle stanze di Viale Trastevere, una soluzione di una semplicità disarmante e, allo stesso tempo, di una logica inattaccabile: i docenti al pomeriggio se ne tornino dietro i banchi, gli studenti al mattino se ne vadano in azienda, in biblioteca, in ufficio.

In questo modo, i primi la smetteranno di gingillarsi e di chiedere un giorno sì e uno no il rinnovo del contratto, che in fondo è congelato soltanto dal 2010; e i secondi perderanno la brutta abitudine di leggere qualche scrittore capace di trasmettere l’amore per valori, quali la libertà, l’indipendenza di pensiero, l’onestà, la dignità, il bene della collettività.

E così l’aggiornamento è divenuto permanente e obbligatorio. Nessuno dei circa 750.000 insegnanti di ogni ordine e grado vi si può sottrarre, poiché costituisce, a tutti gli effetti, un dovere di servizio. Un aggiornamento costoso per lo Stato (1,4 miliardi per il triennio 2016/2019) ed estremamente selettivo nei contenuti, se è vero che le aree individuate per la formazione sono solamente nove e ruotano tutte attorno all’innovazione metodologica, alle competenze digitali e alle lingue.

Certo, ci sarebbe un articolo della Costituzione che stabilisce che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Di conseguenza, il docente, secondo logica, dovrebbe approfondire tutti quegli aspetti, disciplinari e metodologici, funzionali alla propria programmazione di inizio anno. Ma si sa, rinvenire una logica nell’azione di questo governo è impresa disperata, e in quanto alla considerazione in cui tiene la Costituzione non vale neppure la pena spenderci parola.

E così un po’ alla volta sta andando a regime la legge 107/15, la quale prevede che gli studenti dell’ultimo triennio degli istituti tecnici e professionali effettuino 400 ore –  200 quelli dei licei – in aziende, enti, associazioni, musei, in modo da maturare un’esperienza “sul campo”.

Ora, che all’interno di realtà cittadine medio-piccole non ci siano tante “strutture ospitanti” per gli studenti, è un problema che al Miur evidentemente neppure si sono posti. Ad esempio, per chi frequenta il liceo classico a Siena, al di fuori del FAI, della Fondazione Accademia Chigiana, della Fondazione Opera del Duomo, della Biblioteca degli Intronati o di quella della Facoltà di Lettere e Filosofia, c’è poco altro. Ma occorre fare un’altra considerazione, che prescinde del tutto dal numero delle opportunità offerte di maturare un’esperienza lavorativa. L’alternanza scuola / lavoro è sbagliata in sé, perché confonde maldestramente la formazione con la formazione professionale. Ma la ragione e il senso dell’insegnamento autentico, un insegnamento, cioè, che ambisca a educare e non a istruire, consistono, come ben vide Hans-Georg Gadamer, “nell’ insegnare a giudicare, a scegliere, ad avere la percezione di che cosa occorra studiare”. Finché si resta persuasi, invece, che lo scopo della scuola sia quello di indirizzare alla specializzazione o essere propedeutica alla vita lavorativa, si fa un danno ai più giovani e un favore a Confindustria.

 Francesco Ricci

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