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Violenza contro docenti, base genitoriale carente. Cosa può fare la scuola?

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Abbiamo appreso dalle cronache di più casi di violenza agiti dai ragazzi contro i docenti, documentati con video e postati sui social. Senza dubbio, l’abuso delle tecnologie è concausa dell’urgenza che sta alla base dello spettacolarizzare anche episodi come quelli che ci hanno riportato i media ma non possiamo limitarci a vedere questo fenomeno come il principale imputato di questi atti.

L’analisi ha bisogno di un respiro più ampio e di qualche premessa.

Tutto, a mio avviso, parte sempre dall’esempio pratico da cui siamo stimolati fin dalla tenera età. Esempio che però pare essere osservato dai ragazzi in modo sfocato quando non è del tutto assente o diseducativo. Noi, adulti ed educatori, stante così le cose, dobbiamo fare i conti con il fatto che il concetto di distanza sta assumendo sfumature diverse, con differenti valenze.

Rispetto a qualche anno fa, gli adolescenti sono più distanti dai genitori e viceversa. In che senso? I ragazzi sono più avvezzi degli adulti all’uso dei nuovi mezzi tecnologici a disposizione: qui sta un primo concetto di distanza, quella digitale, che genera di conseguenza quella relazionale. Tanto che mano a mano si allarga la forbice di questo gap, inconsapevole o per la difficile gestione da parte di chi ha un ruolo educativo, il corpo e le emozioni perdono il loro valore comunicativo. La grammatica emotiva, infatti, è pressoché assente e il corpo è come se diventasse un contenitore senza parole per esprimere l’aggressività che via via si accumula nell’impotenza del sapere dire come si sta. O nel disinteresse percepito nel silenzio di chi circonda i ragazzi con il non chiedere loro “come stai?”, “come hai passato la tua giornata (anche online)?”.

L’aggressività, però, può esprimersi sia in termini negativi (facendo del male a qualcun altro, oltre che a se stessi) o positivi (canalizzandola verso attività costruttive, come attività di volontariato, gestione di una leadership positiva…). Come si fa a trasformarla? Cosa possono fare gli adulti? Facciamo un esempio: un ragazzo torna a casa da scuola e lamenta ai genitori una divergenza di vedute o una restrizione impostagli dall’insegnante. Il genitore, allora, anziché accorciare la distanza relazionale con il ragazzo cercando di capirne il confine, la veridicità della sua narrazione, indirizzandolo all’empatia e al pensiero critico, agisce attaccando il docente. Quindi, senza nemmeno parlare con il professore. Il problema, anziché avere una soluzione responsabile, dunque si trasforma in una distanza che delegittima tutti gli attori coinvolti.

I docenti hanno molto chiaro il fatto che la base genitoriale è piuttosto carente, e che non sono loro a dovere colmare quel vuoto nei ragazzi. Cosa possono fare, allora? Senza volere dare ricette, perché ogni caso è a sé, credo che si debba riprendere in mano la grammatica emotiva anche sui banchi di scuola e non solo in famiglia.

La docente di Bologna che manda sulla chat della classe un messaggio della buona notte ai ragazzi per insegnare loro una nuova parola ci dice ancora una volta che le nuove tecnologie possono essere usate anche in una direzione diversa. Abbiamo bisogno di trasmettere il significato di ogni singola emozione, di coglierne le sfumature, di parlare, anche attraverso l’uso di immagini che possano evocarle.

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