Violenza a scuola, studente aggredisce vicepreside con un calcio. Il suo racconto: “Sono stata minacciata di morte, ma il mio pensiero va a lui. Ha bisogno di supporto, non di essere abbandonato”

Mercoledì 30 aprile, in un istituto tecnico-professionale di un quartiere periferico, uno studente di seconda superiore ha aggredito la vicepreside e un docente durante l’intervallo.
Il giovane, già sospeso per precedenti comportamenti inadeguati, è stato allontanato dalla vicepreside, ma ha reagito con violenza: un calcio alla dirigente e uno schiaffo a un insegnante intervenuto in suo aiuto. Le immagini dell’episodio sono state riprese dalle telecamere di sicurezza della scuola, mentre il docente ha sporto denuncia alle autorità dopo essere stato medicato al pronto soccorso.
Le parole della vicepreside: preoccupazione per lo studente
Nonostante l’aggressione, la vicepreside ha espresso maggiore preoccupazione per il ragazzo che per sé stessa: “Sono stata minacciata di morte, ma il mio pensiero va a lui. Ha bisogno di supporto, non di essere abbandonato”, riporta il Corriere della Sera. L’episodio ha scosso il corpo docente, ma la dirigente ha sottolineato il ruolo cruciale della scuola in contesti difficili: “Qui siamo l’ultima opportunità prima che certi ragazzi finiscano in strada”.
Disagio giovanile e supporto psicologico: la scuola come rete di salvataggio
L’aggressione avvenuta nell’istituto tecnico-professionale non è solo un episodio di violenza, ma il sintomo di un malessere più profondo che attraversa una generazione di studenti sempre più fragili. La stessa vicepreside, pur vittima della collera dello studente, ha sottolineato come il ragazzo avesse bisogno di supporto, non solo di sanzioni. Il caso ripropone con urgenza la domanda: le scuole sono attrezzate per intercettare e gestire il disagio adolescenziale prima che sfoci in atti estremi?
Sportelli d’ascolto e psicologi scolastici: una risorsa sottoutilizzata
Sebbene molti istituti abbiano attivato sportelli psicologici, spesso questi servizi sono insufficienti o poco integrati nel contesto scolastico. Le linee guida ministeriali prevedono la presenza di psicologi nelle scuole, ma la carenza di fondi e la discontinuità degli interventi ne limitano l’efficacia. Inoltre, in quartieri complessi, dove le famiglie faticano a chiedere aiuto, la scuola potrebbe essere l’unico presidio in grado di riconoscere segnali di allarme come isolamento, aggressività o abbandono scolastico. Servirebbero équipe stabili, non solo consulenti esterni, e una maggiore collaborazione con i servizi sociali territoriali.
Alternative alla sospensione: educare invece di escludere
La sospensione, misura disciplinare tradizionale, rischia di essere controproducente con studenti che vivono già ai margini. Esperienze come la giustizia riparativa – dove l’alunno viene coinvolto in un percorso di riconciliazione con la comunità scolastica – o i progetti di mediazione tra vittima e aggressore potrebbero offrire soluzioni più costruttive. Alcune scuole hanno sperimentato lavori socialmente utili o percorsi personalizzati con tutor, dimostrando che la punizione fine a sé stessa non sempre risolve il problema alla radice.
Scuola e territorio: un’alleanza necessaria
L’istituto coinvolto nell’episodio opera in un quartiere difficile, dove la dispersione scolastica e il rischio di devianza sono alti. In contesti simili, la scuola non può essere lasciata sola: servono reti territoriali che coinvolgano comuni, cooperative sociali e associazioni. Progetti come doposcuola educativi, laboratori di inclusione o collaborazioni con centri di aggregazione giovanile potrebbero offrire alternative alla strada. Come ha ricordato la vicepreside, per molti ragazzi questi istituti rappresentano l’ultima opportunità prima di perdersi in spirali di emarginazione.
La violenza in classe non si combatte solo con telecamere e denunce, ma con prevenzione e ascolto. Servirebbero risorse dedicate per potenziare gli sportelli psicologici, formare il personale su dinamiche adolescenziali e costruire ponti con il territorio. Senza dimenticare che, dietro a un gesto aggressivo, spesso c’è una richiesta d’aiuto che la scuola, per prima, dovrebbe essere in grado di cogliere.