Vincolo quinquennale, non solo madri e padri ma anche docenti single beffati: “Con il blocco niente famiglia per noi”

Il vincolo quinquennale dei docenti è uno dei temi più caldi che riguarda la scuola italiana: migliaia e migliaia di insegnanti che dopo aver ottenuto la cattedra di ruolo non riescono a cambiare provincia o regione a causa del blocco sulla stessa sede imposta nel 2019.
Il Gruppo No al vincolo ha più volte reclamato attenzione e ci hanno inviato delle testimonianze e i risultati di un sondaggio condotto fra gli interessati che fornisce un’idea della loro situazione.
“I docenti sono dei furbetti che rubano il ruolo al nord, per poi chiedere la mobilità al sud” Quante volte ci siamo sentiti dire questa frase?”, scrive il gruppo di docenti. Premesso che non ci sentiamo di condannare, o di dare del furbetto, a nessuno che, conscio delle regole dettate dallo stato, abbia deciso di attuare, entro i limiti del lecito, una strategia, piuttosto che un’altra, per raggiungere i propri obiettivi di vita. È indubbio che la migrazione da nord a sud sia stata una delle motivazioni, se non la principale, ad indurre i legislatori a mettere in atto quelle brutture, pensate male e scritte peggio, dei vincoli quinquennali, istituiti con le leggi di bilancio 2018 e 2019. Parafrasando Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: è davvero così?”
“Noi docenti vincolati, ormai riuniti in maniera perpetua all’interno di gruppi Facebook e Whatsapp, non abbiamo mai lesinato, all’interno di questi, di confrontarci reciprocamente, un po’ per conoscenza, un po’ per sfogo. In quest’esperienza che va avanti, ormai, da innumerevoli mesi, abbiamo appreso tutto di tutti e, in tutta onestà, non ci risulta che le richieste di rientro da nord a sud siano la maggioranza”.
“Dopo esserci confrontati con Maddalena Gissi, segretaria generale di Cisl Scuola, abbiamo colto il suo consiglio di trasformare questo dato empirico in numeri, decisamente più utili ad interloquire con la politica. Il risultato, per noi quasi scontato, potrà risultare sorprendente ai più”.
Circa il 39% dei docenti a cui è stato sottoposto questo sondaggio, hanno risposto di essere interessati al trasferimento in una diversa sede della stessa provincia.
Circa il 50% ha espresso la volontà di spostarsi in un’altra sede all’interno della propria regione o in una regione limitrofa (richiesta di interesse per coloro che vivono nelle aree di confine).
Solo l’11% ha espresso la volontà di effettuare grandi movimenti. Cosa abbastanza prevedibile, in quanto sui gruppi abbiamo potuto appurare che le regioni dei concorsi sono state scelte con la generale consapevolezza di dovervi permanere per qualche tempo (più in virtù dei punteggio non elevati che per i vincoli, che in alcuni casi neppure c’erano), mentre tale condizione è decisamente più diffusa per gli immessi da GAE che, forti di un maggior punteggio derivante dai tanti anni di precariato, hanno scelto consapevoli di non avere vincoli e, pertanto, risultano trai più penalizzati da tali norme retroattive.
Abbiamo, infine, deciso di riportare alcune testimonianze un po’ fuori dal coro. Stavolta non parleremo di madri e figli, ma di come il vincolo stia danneggiando fortemente, da nord a sud, anche quei single che hanno solo la colpa di non avere ancora una famiglia e che, grazie al vincolo, non potranno averla ancora per molto.
Alessandro Amante – Orfano di padre, mia madre mi crebbe con la prospettiva di farmi studiare per darmi delle condizioni di vita migliori. Il suo sogno era quello di vedermi chiamare “professore”. Tale sogno non si avverò mai, poiché venne a mancare prima. Dopo una laurea con lode ed un triennio di dottorato, riuscii a passare le durissime selezioni per il TFA della classe di concorso di scienze e riuscii finalmente, dopo aver pagato a caro prezzo l’iscrizione ad un corso ottenuto per merito, ad abilitarmi, come sempre, senza alcun regalo da parte di nessuno, se non gli sforzi della mia famiglia, ormai estinta. Mi inserii nelle graduatorie di Asti perché, si sa, al nord si lavora di più e non potevo certo permettermi il lusso di rischiare di non avere un posto di lavoro. Feci la mia gavetta come tutti quanti e lavorai lì per alcuni anni, esclusivamente su sostegno, cosa che mi fece appassionare a quel tipo di ruolo. Quando uscì il successivo ciclo decisi di specializzarmi e partecipai alle selezioni, arrivando primo alle preselettive della mia città, Messina, ed entrando finalmente nel corso che mi avrebbe permesso di affrancarmi dal precariato, ovviamente non gratuitamente.Per partecipare a quel corso, avendo le graduatorie fuori regione, fui costretto a stringere la cinghia per un anno, non potendo lavorare dove svolgevo gli 8 mesi di corso in presenza (che adesso si svolgono online in un trimestre) in cui era possibile assentarsi solo per percentuali risibili alle lezioni, e in nessun caso, ai laboratori. Grazie a quel corso riuscii, per la prima volta, ad avere un agognato contratto annuale nella mia amata Sicilia, e non dalle graduatorie di istituto, ma da una semplice messa a disposizione. Gli sforzi sono stati ripagati, pensai. Mi sbagliavo. Di lì a poco usci il concorso 2018 a cui partecipai ottenendo, con somma soddisfazione, il massimo del punteggio, riuscendo così a rientrare nella prima annata delle immissioni. Lì mi scontrai con la dura realtà. Essere trai primi fu per me una maledizione, più che una gioia. Quell’anno nella mia provincia non furono assegnate cattedre, e mi trovai a dover scegliere il male minore. Paradossalmente se avessi fatto peggio, sarei potuto slittare all’anno successivo, ottenendo così, un posto a mezz’ora da casa. Pensai che più di quello che ho fatto, non avrei potuto fare che dopo tanti sforzi non avrei potuto avere, non dico la felicità, ma almeno un po’ di serenità. Finii in provincia di Ragusa. Bel posto, per carità, ma una meta di vacanze estive può trasformarsi in una prigione, quando devi viverci per cinque anni in modo coatto. Con i mezzi di trasporto antidiluviani presenti in Sicilia, viaggiare su base giornaliera sarebbe stato impensabile, così mi trovai costretto a prendere casa. Senza genitori, non solo mi trovai a dover affrontare le difficoltà da solo, senza quella rete di sicurezza che ti dà l’avere una famiglia, ma mi trovai a non poter beneficiare neppure delle assegnazioni provvisorie. Per chi, come me, è cresciuto con la perdita dei familiari, la famiglia sono gli amici. Purtroppo lo stato, fermo ancora ad un’ottica patriarcale, non prevede alcun tipo di ricongiungimento tra una persona e gli affetti non certificati da contratto, non possiede gli strumenti per definire cos’è una famiglia nel 2021. Il fatto di non avere i genitori e di aver avuto sfortuna nella vita di relazione, è stata per me una colpa indelebile, una colpa punita con un esilio di cinque anni perché alla soglia dei 40 anni devo sentirmi ancora dire che sono giovane, che queste cose le posso fare, che devo pensare a che casino sarebbe stato se avessi figli. E nel frattempo la mia vita mi scorre davanti. Vivo per lavorare in una casa in affitto che pago a caro prezzo e che non sento mia, mantenendo, nel frattempo, la mia casa, unico legame con la mia famiglia di origine, in cui spero un giorno di tornare a vivere“.
Giuseppe Esposito –Ero solo un ragazzino quando, appena laureato, decisi di lasciare i miei legami e i miei affetti del sud per trasferirmi a Milano. Scelsi la metropoli italiana per iniziare la mia nuova vita lavorativa e professionale. Sono passati gli anni e di pari passo si sono creati nuovi legami ed affetti. Poi la decisione importante di mettere le radici in questa città e con i sacrifici della mia famiglia di comprare casa, perché anche da precario, lavoravo ogni anno nella stessa scuola. Poi l’agosto del 2020 la notizia che ogni precario, fuori sede ma con nuove radici, desidera avere: il ruolo! La felicità generale della mia famiglia e degli affetti che avevo creato al nord era incontenibile: i sacrifici fatti da un ragazzino, adesso uomo, erano stati ripagati. Dopo le procedure digitalizzate di reclutamento la doccia fredda in un fine agosto caldissimo: sei stato assegnato in un’altra provincia, non in quella dove negli ultimi anni sei cresciuto professionalmente e socialmente “Milano – Monza, che vuoi che sia?” La domanda di alcuni. Non sapendo che Milano è immensa e vivendo a Milano sud, la distanza era notevole. Ma ancora un altro danno dai diversi sistemi: una scuola di una città in provincia di Monza e quindi la distanza si allunga ancor di più. La sveglia alle 4.30 per essere in cattedra alle 8.30, viaggiare in treno in un anno in cui consigliano di non viaggiare, spendere 70€ di noleggio auto quando c’è lo sciopero. Cosa vuoi che siano 70€ di noleggio a fronte di un mutuo, le spese e altro, con lo stipendio da docente? Cosa vuoi che sia perdere alcuni rapporti perché ogni giorno viaggi per più di 4h, fra andata e ritorno, per lavoro? Cosa vuoi che sia prenotare visite mediche in orari assurdi, che ormai sono diventati la nuova normalità? Cosa vuoi che sia mettere le radici in una città per poi mandarti in un posto lontano per lavoro? E’ davvero questa la vita che si immaginava quel ragazzino del sud appena laureato? La risposta è NO. Allora perché non permettere la mobilità a tutti quei vincolati per riavvicinarsi alla propria residenza? Perché non ripensare alle AP, visto che socialmente anche il concetto di famiglia è cambiato? Perché non permettere una dignità professionale e sociale ad una persona?
I membri del gruppo
Ambra Poletto
Angela Mancusi
Antonio Aromino
Katia Dentone
Serena Bolognini
Valentina Bennici
Alessandro Amante
Gruppo: No al vincolo!!