Per svolgere questo compito è indispensabile partire da una conoscenza sperimentale delle condizioni favorevoli all’educazione nelle diverse fasi dello sviluppo fisico, mentale e sociale della persona e restituire al bambino/ragazzo la scienza che lo riguarda: la pedagogia. Sempre più pressante è l’esigenza di riportare all’interno del contesto naturale dell’educazione, la scuola, lo sguardo pedagogico: uno sguardo che sia centrato sulla “persona” ancor prima che sulla “performance”.
Oggi la scuola pone l’accento sulla scientificità della didattica, tuttavia spesso si presenta una scissione tra i contenuti disciplinari e la vita degli alunni: le loro esperienze quotidiane e le loro biografie di vita. Emerge così la fatica a dare risposte alle innumerevoli problematiche esistenziali, sociali, relazionali e di ricerca di senso dei bambini e degli adolescenti, ma anche di tutti coloro che li affiancano nel percorso di vita.
L’Educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista, esperti della relazione educativa sono quei professionisti specificatamente formati che costituiscono all’interno della scuola quelle risorse indispensabili ad attivare una rete (quella che amiamo definire come “comunità educante”), aiutando tutti coloro che fanno parte dell’ambiente scolastico (famiglie, docenti, extra scuola … ) a dare il proprio contributo in collegialità, avendo sempre come punto di riferimento il bambino, l’alunno e l’alunna, ciascuno studente che dev’essere protagonista del suo apprendimento e della creazione di un personale progetto di vita.
La principale criticità che oggi il contesto scolastico vive è la solitudine, solitudine degli insegnanti, spesso lasciati soli nel loro tanto difficile quanto fondamentale ruolo, ma anche solitudine dei genitori, delle famiglie. E’ importante quindi spezzare questa solitudine attraverso l’elaborazione di progetti comuni, attraverso la compartecipazione, attraverso il fare rete anche con il territorio.
Spesso, davanti ad una difficoltà nel processo di crescita ed educazione, si corre il rischio di soffermarsi esclusivamente sugli “eventi”, sulle manifestazioni, tendendo di conseguenza ad andare alla ricerca delle cause: se un bambino in classe si rifiuta di lavorare, maltratta i compagni, reagisce con violenza all’insegnante, in prima istanza tutti ci si concentra sul fenomeno, andando alla ricerca delle possibili cause e spiegazioni.
In questo processo però si rischia di perdere di vista la parte più importante: la Persona, con le sue esperienze di vita, con una sua storia, una biografia scolastica. Ecco dove interviene l’educatore professionale, ecco dove agisce il pedagogista; essi non intervengono sulle emergenze intese come eventi imprevisti ed eccezionali, quanto piuttosto su “ciò che emerge” o che ha bisogno di emergere in termini di progettualità educativa, di espressione e realizzazione personale, di originalità e creatività nell’ottica del pensami adulto. Quel “Pensami adulto” di cui parlava Mario Tortello, cioè il preparare insieme all’alunno e, a tutti coloro che fanno parte del suo mondo, un progetto formativo, culturale e professionale nel quale sarà presente la visione della persona che egli sarà domani: questa è l’educazione, “tirar-fuori”.