Veltroni: “È la paura che spinge i genitori a essere iperprotettivi verso i figli. Poi però vengono lasciati liberi di vagare sul Web”
Un incendio, un black-out improvviso e lo smartphone diventa un inutile pezzo di plastica. È da questo episodio, raccontato da Walter Veltroni sul Corriere della Sera, che parte la riflessione sulla dipendenza da smartphone, ispirata dal libro di Jonathan Haidt “La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli”.
Il libro, in uscita il 10 settembre per Rizzoli, lancia un grido d’allarme: la prima generazione cresciuta con uno smartphone in mano è sempre più fragile, ansiosa e depressa. I dati americani parlano chiaro: +161% di depressione tra i maschi, +145% tra le femmine, +91% di suicidi tra i maschi e addirittura +167% tra le femmine.
Haidt punta il dito contro la “Grande Riconfigurazione dell’infanzia”, dove il gioco, fondamentale per imparare a gestire rischi e frustrazioni, è stato sostituito dallo schermo. I ragazzi, iperprotetti nella vita reale e lasciati soli a navigare nel mare magnum della rete, vivono in un costante stato d’ansia, incapaci di gestire la complessità del mondo reale.
Il risultato? Quattro fenomeni allarmanti: la riduzione drastica della socializzazione (-55 minuti al giorno tra il 2012 e il 2019), il peggioramento della qualità del sonno, la frammentazione dell’attenzione e, infine, la dipendenza vera e propria, con conseguenze devastanti sul benessere psicologico e sulle relazioni familiari.
Veltroni, pur invitando a non demonizzare la tecnologia, rilancia la sfida di Haidt: distinguere le opportunità della rete dalle distorsioni dei social, contrastando la deriva del pensiero binario e la chiusura verso l’altro. Un compito che richiede l’impegno di tutti, genitori, insegnanti e istituzioni, per restituire ai giovani la libertà di crescere e di costruire un futuro più sereno.
