Valutazione scuola primaria, 4 riflessioni e una richiesta alla Ministra Azzolina. Lettera

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Inviato da Manifesto dei 500 – Egregia Ministra dell’Istruzione, da alcune settimane i docenti delle scuole primarie sono chiamati a lavorare per l’applicazione del nuovo modello di valutazione delineato dall’Ordinanza n. 172 del dicembre scorso.

Nel momento in cui la situazione dei contagi del Covid-19 resta allarmante e tutti noi siamo impegnati nel far fronte alle difficoltà quotidiane, ai pericoli, a problemi gravi, addirittura ai morti tra i docenti, ci chiediamo quale urgenza ci fosse di far uscire un’Ordinanza complicata, che apre la strada a cambiamenti, nuovi adempimenti burocratici, elaborazioni, interpretazioni, discussioni.

Posti di fronte ad essa, l’abbiamo comunque presa seriamente in esame partendo da una premessa: il sistema di valutazione deve inserirsi nei principi della scuola della Repubblica, quelli dell’art. 3 della Costituzione (uguaglianza sostanziale dei cittadini e loro emancipazione) e quelli dell’art. 33 (libertà d’insegnamento).

E’ da questo punto di vista che vogliamo sottoporre a lei e al mondo della scuola quattro riflessioni.

1) Come molti documenti di questi anni, l’Ordinanza è ricca di parole quali “inclusione”, “diritti”, “valorizzazioni”. Ma quando si scende al piano concreto di ciò che prevede si scopre che “ogni istituzione scolastica, nell’esercizio della propria autonomia, elabora il Documento di Valutazione (…). Anche nella forma grafica, si possono utilizzare modelli e soluzioni differenti”. E’ vero che, prima di Lei, la ministra Moratti aveva abolito la scheda nazionale, uguale per tutti, stampata dallo Stato, segnando così un primo momento di disarticolazione del sistema. Ma nei fatti un unico modello era rimasto in piedi, cosa che concorreva a salvaguardare l’unità della scuola primaria italiana. Ora quel processo viene portato a termine: avremo quindi migliaia di schede di valutazione diverse, con voci diverse, corrispondenti ad obiettivi e contenuti diversi.Tutto ciò significa portare un nuovo colpo all’unitarietà del sistema scolastico italiano.La scuola primaria, un tempo “elementare”, ha rappresentato un elemento fondamentale nella costruzione dell’unità del Paese dopo il 1861 e successivamente dopo l’avvento della Repubblica. Lei ha espresso recentemente una posizione contraria all’Autonomia differenziata nella scuola. A suo tempo, si era anche espressa negativamente sui test INVALSI. Ci sembra contraddittorio che oggi, da un lato promuova un altro passo verso la disarticolazione del sistema nazionale, al punto che un qualunque trasferimento porrebbe alunni e docenti di fronte a gravi problemi, dall’altro si renda protagonista del fatto che il solo segmento ancora nazionale di valutazione resti proprio l’INVALSI, cioè qualcosa di cui i docenti non sono titolari!

2) All’interno di questa disarticolazione, l’Ordinanza prevede un sistema complesso nel quale ogni docente dovrà valutare una serie di sotto-voci per ogni disciplina, che poi confluiranno in un giudizio descrittivo finale. Possiamo già immaginare come molti genitori, dopo aver guardato la scheda, si volgeranno verso i docenti e diranno: “Sì, ma mio figlio come va?”. Ciò è già successo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 ed ha rappresentato il fallimento del modello che ora si vuole riproporre. Non c’è nulla di più deleterio dell’offrire alle famiglie – specie quelle più svantaggiate – qualcosa di incomprensibile e complicato. D’altra parte, gli insegnanti si trovano spesso coinvolti in discussioni infinite per cercare formulazioni mai pienamente soddisfacenti, che finiscono per spezzettare il senso globale del rapporto educativo e formativo.

3) L’Ordinanza, nel prevedere per queste sotto-voci quattro livelli di acquisizione delle competenze (Avanzato, Intermedio, Base, In via di prima d’acquisizione) delinea poi un sistema nel quale l’insufficienza viene eliminata. Si tratta di un fatto grave per la scuola della Repubblica. La valutazione dovrebbe rappresentare infatti, tra le altre cose, un elemento essenziale per definire e comunicare se gli alunni abbiano o no raggiunto gli obiettivi e i saperi e a quale livello. Se quindi la scuola abbia o meno raggiunto il suo scopo (art. 3 della Costituzione). Si può discutere sulle forme di questa valutazione, ma non sulla necessità che l’insegnante e la scuola certifichino in modo sintetico se gli obiettivi siano stati raggiunti. La valutazione è infatti prima di tutto una garanzia per gli alunni, in particolare per i più deboli. Questa garanzia viene rimessa in causa nel momento in cui si impedisce di dire chiaramente che un determinato alunno, in una determinata disciplina, risulta insufficiente. Dietro questo buonismo seducente si apre la porta a due alternative: o si ingannano le famiglie e gli alunni oppure si spingono le scuole ad abbassare gli obiettivi e i contenuti dell’insegnamento per renderli compatibili con la “prima acquisizione”, determinando così una ricaduta su tutto il livello della formazione. D’altra parte, eliminando le insufficienze “ex lege”, si tende a negare il diritto alla ripetenza. Certamente, più gli alunni sono piccoli e più si deve fare attenzione a non provocare traumi, problemi, inibizioni. Ma da insegnanti sappiamo che in alcuni casi, seppur molto limitati, la ripetizione di un anno rappresenta non solo un diritto per poter raggiungere gli obiettivi dei curricoli, ma addirittura una forma di salvaguardia del bambino, a volte condivisa o suggerita da psicologi, psicomotricisti, logopedisti, neuropsichiatri.

4) Infine, specie in alcune discipline, il modello di valutazione proposto tende a sganciare l’insegnamento dalla conoscenza disciplinare per legarlo sempre più a competenze generiche e trasversali. Si compie così un altro passo verso un “sapere” disarticolato, fatto a spot, a “finestre”, nel quale il “fare” tende sempre più a non essere un metodo per arrivare alla conoscenza attraverso l’attività, all’astrazione attraverso l’operare, ma il mezzo per addestrare gli allievi a competenze decontestualizzate sia storicamente, sia da una progressione didattica, sia dal punto di vista epistemologico. Il caso della storia è emblematico: gli esempi riportati nelle Linee guida puntano a valutare generiche capacità di “Individuare le tracce e usarle come fonti”, “Riconoscere relazioni di successione e di contemporaneità”, “Porre o rispondere a semplici domande”, ma non la conoscenza degli avvenimenti, dei quadri di civiltà, della linea del tempo. Il fatto che questo sganciamento da un sapere consequenziale venga promosso nella scuola primaria, settore nel quale la progressione didattica è particolarmente importante, è ancora più grave. Ciò che si perde in questo ordine di scuola difficilmente potrà essere recuperato in seguito, come sanno bene i professori dei gradi successivi. Non solo: diversi esperti e docenti universitari hanno cominciato a mettere in evidenza i danni che il ritardo nell’insegnamento di alcuni contenuti porta non solo sulle conoscenze e quindi le competenze, ma anche rispetto ai disturbi dell’apprendimento.

Egregia ministra, il tema della valutazione ha preso negli ultimi anni uno spazio secondo noi sproporzionato, come se la serietà della scuola dipendesse dalla quantità di “griglie” e documenti e dalla moltiplicazione di “indicatori” da presentare alla società come “prova” del valore del lavoro degli insegnanti. Il risultato è una spinta sempre più marcata verso un mestiere tecnico, burocratizzato, meccanico, in una scuola nella quale questa pseudo-scientificità finisce solo per sorreggere lo svuotamento della funzione primaria dell’istruzione: mettere “a disposizione dei suoi membri futuri tutto ciò che la società ha compiuto per se stessa” (John Dewey).

Al contrario, una politica che metta davvero al centro la scuola della Repubblica dovrebbe lasciar liberi i docenti di modulare l’insegnamento per quanto riguarda le rilevazioni quotidiane, settimanali, mensili, chiedendo poi loro di esprimere una sintesi valutativa rispettosa dei principi della Costituzione: uguaglianza sul territorio nazionale, comprensibilità, certificazione semplice del raggiungimento o meno degli obiettivi uguali per tutti. E’ all’interno di questi principi che si dovrebbe discutere di voti o giudizi o altre forme valutative, senza moralismi o false seduzioni e senza continui cambiamenti legati ai mutamenti di governo.

Questo dibattito dovrebbe tuttavia secondo noi svolgersi non con la fretta, in un momento grave come quello che viviamo, ma ascoltando davvero il mondo della scuola, a partire da chi vive la quotidianità del rapporto educativo e formula le sue riflessioni a partire dall’esperienza concreta.

Per questo le chiediamo di ritirare l’Ordinanza n. 172, in modo che il mondo della scuola possa dedicare oggi tutte le energie alle vere urgenze, e di aprire poi un vero dialogo con le realtà scolastiche.

É per discutere di questi problemi che le chiediamo di incontrare una nostra delegazione.

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