Valutazione formativa, “solo la verità vi farà crescere”. Lettera

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Inviato da Giancarlo Pennati – Gennaio: si avvicina il tempo degli scrutini.Nella formulazione dei giudizi entrano sempre più in gioco le competenze acquisite dagli studenti e viene maggiormente valorizzata la valutazione formativa, soprattutto nel contesto della scuola primaria e della secondaria di primo grado.

Ben venga l’obiettivo di fornire competenze (legate al fare) piuttosto che limitare l’esperienza scolastica alle conoscenze teoriche. Occorre però evitare di “demonizzare” quei contenuti che a volte, forse colpevolmente, sono risultati slegati dalle capacità e dalle abilità nel fare. Va riconosciuto che la conoscenza rimane, in ogni caso, il presupposto per conseguire poi (o parallelamente) delle competenze adeguate.

Maggiore attenzione richiede l’analisi delle sempre crescenti proposte di passare da una valutazione meramente sommativa (basata sul risultato effettivamente conseguito) ad una valutazione formativa, che non si limita a prendere atto del risultato, ma che analizza il “percorso di crescita” del ragazzo, ponendo la valutazione in stretta e diretta relazione con il livello di partenza. Ecco allora che non valuteremo più la “quantità” di risposte esatte ad un quesito o ad un compito, ma considereremo l’upgrade rispetto al punto di partenza, valorizzando il processo di apprendimento. Risulta lodevole l’approccio ad una valutazione che non sia frustrante, demoralizzante e/o demotivante, ma occorre trovare (e non è facile) la giusta mediazione tra il valorizzare l’impegno e il rischio di esprimere una valutazione troppo distante dalle reali competenze dello studente. Il rischio è che il “giusto premio” per un impegno encomiabile e meritevole finisca con l’occultare e non rivelare il reale valore del livello di preparazione dei ragazzi. Rimango sempre del parere che i genitori e gli studenti abbiano il “sacrosanto diritto” di conoscere la verità sulla reale entità e sul reale valore della preparazione scolastica conseguita. Una valutazione formativa che non si confronti assolutamente con la valutazione sommativa, biasimandola o, peggio, abbandonandola tout court, può comportare l’espressione di valutazioni numeriche costantemente sufficienti, falsando, a volte abbondantemente oltre misura, il quadro reale del livello di preparazione dei ragazzi. Il risultato rischia di essere quello di allontanarsi dalla realtà e di non esprimere una valutazione veritiera sulle competenze effettive dello studente, inibendo e frustrando, di fatto, le possibilità di crescita dello studente.

I ragazzi non sono ancora in grado di cogliere le sfumature di una sufficienza conseguita con il “vento a favore” della valutazione formativa. Per loro conseguire la sufficienza significa aver raggiunto il proprio obiettivo e non dover produrre alcun ulteriore impegno a livello didattico.

Occorrerebbe invece rivalutare e salvaguardare il socratico “So di non sapere”, indicato e valorizzato da secoli come uno degli stimolanti fondamenti della conoscenza. Se adeguatamente motivata, una valutazione non sufficiente chiarisce semplicemente allo studente la necessità di esprimere un maggiore impegno per migliorare le sue conoscenze e/o competenze. Una valutazione parzialmente negativa, ma veritiera, può rappresentare un ottimo punto di partenza per una adeguata consapevolezza da parte dello studente, favorendo un migliore impegno e fornendo un prezioso incentivo per la sua crescita.

Parallelamente, talvolta accade che, a fronte dell’espressione di valutazioni negative, sia paradossalmente il docente ad essere messo in discussione e a dover rendere conto del proprio operato. Al docente viene chiesto se abbia messo in atto tutte le strategie per favorire il “successo formativo” dell’alunno. Il rischio è che talvolta la valutazione formativa genera un’inversione del rapporto valutativo, all’interno del quale è il docente ad essere “giudicato” in relazione all’eventuale insuccesso dello studente. Purtroppo alcuni dirigenti scolastici non sempre valorizzano la professionalità docente, chiedendo ripetutamente spiegazioni in riferimento ad eventuali valutazioni negative, particolarmente in sede di scrutinio. Rischia di passare il concetto che il docente che ha espresso una valutazione negativa possa essere lui (e non lo studente) in difetto, in quanto potrebbe non aver ben interpretato il concetto di valutazione formativa oppure si dubita che non si sia attivato adeguatamente nel sollecitare lo studente ad un impegno adeguato o, ancora, che non sia stato capace di coinvolgere l’alunno nel processo di apprendimento. Ne risulta che la valutazione insufficiente rischia di essere ascritta quasi in toto ad un bravo e professionale docente che ha solo “chiarito” all’alunno e alla famiglia che qualcosa non va e che serve, eventualmente, più impegno, più applicazione e più metodo.

Ribadisco che la valutazione formativa non deve rischiare di inibire la crescita dello studente, attribuendogli meriti oltre il lecito. Un risultato positivo, senza che il ragazzo abbia la piena consapevolezza di evidenti lacune nel livello di preparazione, porterebbe a scarse motivazioni nel colmarle e nell’acquisire le necessarie competenze per affrontare le classi successive.

Non è casuale che i dati statistici evidenzino un’alta percentuale di insuccessi dopo la scuola dell’obbligo, fino all’abbandono scolastico in diversi casi.

Solo una valutazione che sappia esprimere onestamente e professionalmente la “verità”, in riferimento alle competenze e al grado di apprendimento, potrà costituire un importante punto di partenza da cui partire per migliorare e gettare le basi per un impegno più consapevole e responsabile, fondamenti essenziali per una effettiva… “crescita”.

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