Uno studente senza compiti è come uno sportivo senza allenamento. Lettera

inviato da Fabrizio Crescenti – Mettiamo che vi troviate ad allenare una squadra giovanile (di calcio,basket, rugby o pallanuoto,fa lo stesso), iscritta ad un campionato di categoria. Le sessioni di allenamento prevedono, com’è naturale, una fase tecnica, una atletica e una teorico-tattica,di preparazione alla partita del turno successivo. Cosa succederebbe se i giocatori saltassero di sana pianta la preparazione atletica, quella dove si fa fiato, potenziamento e resistenza e si preparano muscoli e cervello a dare il massimo nel match?
Mettiamo ancora che vi troviate a dirigere un’orchestra giovanile impegnata in una partitura alquanto ostica da eseguire alla prima di una stagione musicale. Coesione, sicurezza, precisione, fiducia nel direttore e nel gruppo sono ingredienti imprescindibili per una buona riuscita del concerto.Cosa succederebbe se i singoli musicisti si rifiutassero di studiare la loro parte e persino di partecipare alle prove d’insieme?
Ora trasferiamo tutto ciò in un’aula scolastica.Siamo in una secondaria di primo grado. Gli argomenti sono tanti, il tempo è tiranno: fra compilazione del registro elettronico, mantenimento dell’ordine, progetti, uscite didattiche, laboratori, attività extracurricolari, gite, gli spazi orari concedono giusto il tempo per spiegare, esercitarsi in classe o sottoporre a verifica gli apprendimenti.Va da sé che il tempo scuola debba essere necessariamente integrato dallo studio domestico, individuale. Ogni materia richiede il tempo necessario per assimilare, introiettare, organizzare, selezionare metodi, procedure,informazioni.Imparare a scrivere, esporre, analizzare e interpretare un testo implica esercizio, esercizio e ancora esercizio. Lo stesso dicasi per la matematica e le altre discipline.Chiunque nel corso della vita abbia avuto dimestichezza con lo studio, sa bene che non ci sono scorciatoie.
Ma ecco che la già affollata schiera dei detrattori della nostra scalcinata categoria si arricchisce di un nuovo, agguerritissimo battaglione, quello degli acerrimi nemici dei compiti a casa: un lungimirante (e lungisaettante) dirigente alla testa di un manipolo di zelanti genitori scaglia, lancia in resta, la sua crociata personale contro quella che considera una pratica inutilmente punitiva e vessatoria, una violazione dei diritti sacri e inviolabili di grandi e di piccini,un vero e proprio crimine contro l’umanità.
Capisco che di questi tempi dare addosso a noi docenti sia diventato lo sport nazionale per eccellenza, anche se difficilmente mi sarei immaginato che fra i tanti capi d’accusa a nostro carico si aggiungesse anche quello di fare il proprio dovere fino in fondo. Capisco anche che in un’epoca dominata dal populismo (ovvero dire alla gente quello che la gente vuol sentirsi dire, senza pensare alle conseguenze di siffatte affermazioni) questo fenomeno non risparmi neanche la nostra veneranda istituzione. Quello che proprio stento a capire, a parte la sfilza di verità di fede portate a suffragio di una simile tesi, è il motivo per cui, se i figli di costoro studiano il piano o praticano uno sport, è giusto che dedichino le ore necessarie all’esercizio o all’allenamento, se invece frequentano la scuola dell’obbligo e impiegano le stesse ore per i compiti e lo studio, ne risulterebbe odiosamente conculcatala loro libertà.
Perché è così che stanno le cose: uno studente senza compiti è come uno sportivo senza allenamento, un pianista senza esercizio, un pittore che snobba le tele e i pennelli. E’ lo studio stesso che insegna a studiare: si impara ad escogitare strategie, a fare ordine nella mente, ad allenare la memoria, la concentrazione e il senso logico, a sviluppare gusti e affinità culturali, a gestire lo stress e l’ansia da prestazione. Si impara ad essere autonomi, ad assumersi delle responsabilità, a capire che nella vita nulla è gratuito e dovuto per diritto di nascita: in sintesi si impara a crescere.
Abolire i compiti per casa rappresenterebbe l’ultimo atto di quel processo di destrutturazione dell’istruzione pubblica che, insieme alle promozioni facili, alla soppressione del voto di condotta,allo svilimento del sistema di valutazione, al ridimensionamento e alla compressione della didattica, sta riducendo la scuola a doposcuola, a circolo ricreativo, a diplomificio.
La vera “perversione”educativa (per usare un termine spregiativo caro al dirigente di cui sopra) è insegnare agli adulti di domani che l’impegno oggi non paga, che il merito è una variabile indipendente, che perseveranza, senso di responsabilità, spirito di sacrificio sono residuati del passato; tanto nel nuovo sistema formativo concepito dai soloni della pedagogia 2.0 un pezzo di carta non si nega a nessuno, a chi ce la mette tutta e a chi non apre libro, con buona pace del dilagare dell’analfabetismo funzionale con annessi strafalcioni degli educatori.
L’abolizione dei compiti, inoltre,andrebbe in senso esattamente opposto a quel principio di perequazionetanto sbandierato quanto equivocato dal fronte abolizionista. Sono proprio i figli delle famiglie meno abbienti a trovare in un surplus di impegno e preparazione l’unico strumento utile ad emanciparsi dalla condizione di partenza ed aspirare a migliorare il proprio status:i loro compagni più fortunati hanno mille opportunità per formarsi, mille canali per realizzarsi; i primi possono contare solo sulle proprie forze.Continuando a depotenziare la didattica, non si fa che penalizzare l’intera comunità dei discenti, che vengono consegnati culturalmente disarmati ad un mondosempre più esigentein termini di preparazione, spina dorsale e concorrenzialità.
Per fortuna, è proprio dai diretti interessati, i veri convitati di pietra di questo dibattito, che provengono le riposte più efficaci al furore iconoclastico degli abolizionisti. Non essendo ancora ottenebrati dall’ideologia né guidati dall’opportunismo, gli alunni spesso intuiscono da soli l’importanza dell’investimento culturale e ne rivendicano il diritto. Cito il caso del piccolo Mohamed- e ne potrei citare altre decine -,il quale, in una delle rare occasioni in cui non ho assegnato compiti per casa, dopo aver preteso contrariato spiegazioni, ha aggiunto: “Ma come? Io voglio migliorare!”. Forse il piccolo appassionato di storia ha capito che fra i banchi di scuola, giorno dopo giorno, c’è da vincere un campionato, il campionato della vita.