1 idraulico su 4 ha difficoltà a gestire la documentazione tecnica, “almeno uno fatemelo bocciare”. Opinioni a confronto

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«La bocciatura è uno dei grandi temi della scuola in grado di far scaldare gli animi e finisce per generare fazioni contrapposte», dice Ivan Sciapeconi, 53 anni, insegnante nella scuola primaria G. Pascoli di Modena. Sciapeconi è autore di guide didattiche, sussidi per insegnanti, libri di testo per la scuola primaria. E’ autore anche di libri di narrativa per ragazzi. Conduce corsi di formazione sui temi della didattica inclusiva, della didattica per competenze, della valutazione. Ha mandato in libreria di recente il romanzo “40 cappotti e un bottone” (Ed Piemme). «Storicamente – prosegue il maestro, il cui intervento integrale è pubblicato di seguito», il tema della bocciatura si è sempre posto in maniera consistente nell’ultimo segmento di scolarizzazione. Si è bocciato moltissimo alla primaria fin quando la scuola media non è diventata un orizzonte alla portata di tutti. Si è bocciato moltissimo nelle scuole medie fin quando la secondaria non ha conosciuto iscrizioni di massa. Adesso si boccia – sempre meno, diciamo circa l’8% – negli anni delle scuole superiori».

Ma che cosa succede alle superiori? Là, dove si vorrebbe bocciare di più, dove si vorrebbe poter espellere dalla scuola chi non è portato per lo studio, chi crea problemi alla didattica, che cosa avviene? Quante volte i professor Montillaro usciti dal film La scuola, di Daniele Lucchetta, e che vorrebbero come lui aver mano libera per bocciare almeno un po’: Almeno uno, uuuuno, fatemelo bocciare!”, riescono nel loro intento? Leggendo i tanti interventi lasciati sui social da molti insegnanti, più rassegnati che infastiditi, sembra che il numero di bocciati sia molto basso rispetto alle pretese ben più esigenti dei prof più rigorosi. Eppure i bocciati non mancano, specie nel primo biennio delle superiori, e soprattutto nelle prime classi, dove avviene la selezione più massiva e sconfortante. Ma siamo sicuri che la bocciatura sia l’arma più efficace oltre che quella più potente e distruttiva, per raggiungere i livelli di apprendimento attesi nei nostri studenti? «Se io dovessi dire qual è il sistema che preferisco, quello ideale sarebbe per me una sistema senza bocciature», ci dice Ludovico Arte, dirigente scolastico dell’ITT Marco Polo di Firenze – istituto tecnico per il turismo, il più antico della Toscana, e da un po’ di tempo anche liceo linguistico

Preside Ludovico Arte, come sarebbe questo sistema?

«Sarebbe un sistema che alla fine del percorso certifica le competenze raggiunte, che dice, come succede in alcuni Paesi, come va uno studente in questa e in quella materia. Però nel sistema scolastico italiano le bocciature a qualche ragazzo son servite».

Quindi, lei non è contrario fino in fondo

«Non sono contrario, ma devono essere dei casi limite. L’educazione non si fa con le bocciature. L’educazione si fa con l’ascolto e con la relazione. In molti casi, se tu dai una possibilità allo studente, se gli parli, quella possibilità la raccogli. Per me vale lo stesso discorso delle sanzioni esemplari, che spesso non servono. Allo stesso modo non servono le bocciature che si ripetono molte volte. Occorre domandarsi sempre quale sia il bene del ragazzo. In qualche raro caso la bocciatura può servire, in altri non serve a nulla. Non raggiunge il risultato di cambiare il ragazzo. Spesso, attraverso il dialogo e il rapporto che si è creato, il ragazzo cambia senza essere bocciato, ma questo è il frutto di un lungo lavoro».

E comporta una grande apertura della comunità scolastica

«Guardi, la mia porta è sempre aperta. La vicepresidenza, i miei docenti si fanno in quattro. C’è nella mia scuola un grande lavoro di psicologi e di mediatori. Abbiamo lavorato sugli ambienti, convinti che questo impatta sul clima e sullo spirito e che aiuti i ragazzi e anche i docenti a lavorare meglio. E’ uno dei modi con cui cerchiamo di prenderci cura dei ragazzi. In questi anni del Covid abbiamo avuto nella nostra scuola 18 psicologi e anche prima ci sono sempre stati tanti psicologi e anche esperti di alimentazione, perché ci prendiamo cura della persona e non solo dello studente. Sono modi con cui si risponde ai bisogni dei ragazzi nel loro complesso. Se un ragazzo sta male o non impara non posso solo dirgli va’ da un’altra parte. Devo semmai trovare delle risposte, io, per aiutarlo a stare bene e a imparare serenamente. Stiamo cercando di combattere l’idea che la scuola sia sofferenza e sacrificio. La scuola è anche sacrificio, ma vorremmo che si venisse a scuola volentieri e non come se si andasse in miniera. Nei prossimi giorni apriremo la scuola per un festival per adolescenti che è un modo per mandare un segnale: vi diamo un aiuto a fare esperienze dopo dieci anni di pandemia in cui i ragazzi hanno perso tante occasioni, la scuola diventa un’occasione dove voi potete coltivare i vostri interessi. Si coltiva così la passione dei docenti e dei ragazzi oltre che dei docenti. Qui si svolge un lavoro straordinario di peer education: noi formiamo i ragazzi delle classi quarte che diventano tutor dei ragazzi delle classi prime. Il che significa che i ragazzi più grandi accolgono gli altri il primo giorno di scuola e diventano una sorta di fratelli e sorelle maggiori. E potrei raccontare diverse storie nelle quali è successo che i ragazzi delle quarte hanno intercettato problemi gravi, anche di abuso in famiglia, di cui noi adulti non c’eravamo accorti e poi ci siamo attivati con le forze dell’ordine».

Tutto questo può evitare fallimenti scolastici e bocciature?

«Di certo tutto questo serve più delle bocciature. Se un ragazzo ha un disagio dentro non studia, perché ha la testa da un’altra parte. Sono tanti coloro che o sono vittime di un abuso in famiglia, o sono ragazzi che hanno perso i genitori, oppure vivono storie per così dire normali di separazione dei genitori e altro. Un ragazzo che vive il disagio non lo aiuto certo con la bocciatura, lo aiuto semmai ascoltando il suo disagio, standogli vicino, aiutandolo a elaborare la situazione che sta vivendo. In questo modo, se sono bravo, lui è più sereno e diventa uno studente migliore. Occorre lavorare molto sulle relazioni e sul contesto, noi lo stiamo facendo. Però, ripeto, in qualche caso la bocciatura è servita agli studenti interessati, non voglio passare per integralista».

La teoria del quarto professionista

Di Ivan Sciapeconi

La bocciatura è uno dei grandi temi della scuola in grado di far scaldare gli animi e finisce per generare fazioni contrapposte. In realtà è difficile parlare di bocciatura senza partire dalla famosa “teoria del quarto professionista”. Secondo questa teoria statistica, ogni quattro professionisti che intervengono a casa vostra per sistemare una finestra, una caldaia o la perdita di un tubo, ce n’è uno che vi creerà un problema perché non riesce a gestire la documentazione tecnica. Il “quarto professionista” è un personaggio interessante, specie quando deve intervenire nell’appartamento di un insegnante. Si tratta infatti di una persona che arriva al lavoro dopo un percorso accidentato, dopo insuccessi scolastici e una somma di bocciature. Per usare un’immagine un po’ brutale, quello che la scuola ha pensato di buttare letteralmente dalla finestra, l’insegnante se lo sente bussare alla porta, con la cassetta degli attrezzi in mano. Una rivisitazione della legge del contrappasso.

E qui veniamo al punto. La complessità del mondo del lavoro e della vita sociale non ammette sconti. Il “quarto tecnico” vive come una liberazione la sua bocciatura, perché percepisce la scuola come un’inutile costrizione e il lavoro – all’opposto- come un buon modo per guadagnare.

In un mondo di questo tipo, la scuola deve porsi il problema di formare tutti e tutte e ci sono sufficienti dubbi sul fatto che la paura della bocciatura sia un’efficace molla ad apprendere.

Storicamente, il tema della bocciatura si è sempre posto in maniera consistente nell’ultimo segmento di scolarizzazione. Si è bocciato moltissimo alla primaria fin quando la scuola media non è diventata un orizzonte alla portata di tutti. Si è bocciato moltissimo nelle scuole medie fin quando la secondaria non ha conosciuto iscrizioni di massa. Adesso si boccia – sempre meno, diciamo circa l’8% – negli anni delle scuole superiori – e l’Università si avvia a diventare formazione di massa. Necessaria e auspicabile, come nel resto d’Europa.

Dovremmo garantire più tempo di formazione per tutti e tutte, almeno fino a diciotto anni, per approfondire quelle competenze che consentono di esercitare pieni diritti di cittadinanza: la lettura efficace, la scrittura, il problem solving… Oggi queste competenze non vengono adeguatamente promosse, se non alla scuola primaria, perché gli altri ordini di scuola sono caratterizzati da un’eccessiva segmentazione disciplinare, non calmierata da un’efficace progettazione comune.

Il punto è esattamente questo: la mission della scuola in questo scorcio di terzo millennio.

Per ora abbiamo mantenuto l’istituto della bocciatura, ma ci siamo limitati semplicemente ad applicarne il “diritto di utilizzo”. Non abbiamo fatto lo sforzo di decidere da che parte stare: dalla parte della valutazione selettiva o dalla parte di quella narrativa e descrittiva?

Forse è arrivato il momento di fare il grande salto. Assicurare un’istruzione 6-18 anni per tutti e tutte, una formazione basata sullo sviluppo delle competenze utili per leggere, formarsi un’idea politica, votare, interpretare un documento, risolvere un problema anche non matematico, saper scrivere qualcosa di significativo, decidere quale tipo di persona essere… E’ poco?

Per inciso, la teoria del quarto tecnico è un’invenzione, non ne troverete traccia in nessuno studio statistico. Questo per dire che, bocciati o no, siamo tutti alle prese con le stesse problematiche, per esempio l’infodemia e la necessità di validare le informazioni. Davvero pensiamo di uscirne impedendo a chi ne ha più bisogno di frequentare l’unico presidio di crescita culturale che la società occidentale è riuscita a escogitare?

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