Un’Educazione Civica per salvare la democrazia. Lettera

Inviato da Giuseppe Bruno – Mi chiedo e chiedo, invitando un po’ tutti alla riflessione.
Che senso ha riempirsi la bocca con espressioni come “formazione di cittadini responsabili e attivi”, “promozione della (loro) partecipazione piena e consapevole”, ecc., frasi contenute nel primo articolo e che costituiscono la premessa della legge che introduce l’insegnamento dell’Educazione civica nella scuola come disciplina a parte – anche se, per motivi, (consentitemelo) più economici che educativi, come al solito ben “orpellati” con accattivanti escamotage linguistici – se poi, nel corso di tutto il testo della stessa legge (L. 92/’18), non si scorge un minimo accenno a ciò che da sempre e per detta di tutti i più famosi pedagogisti, è considerata la base per l’acquisizione di una vera responsabile, piena, attiva e consapevole partecipazione “alla vita civica, culturale e sociale di una comunità nel rispetto delle regole dei diritti e dei doveri” e cioè l’autonoma capacità di giudizio?
Si è vero la parola “autonoma” manca nell’aurea premessa, ma si presume sia solo una dimenticanza giustificata dall’ovvietà della sua implicita presenza nel resto di quanto in essa ben evidenziato. Però il dubbio che sia una dimenticanza “freudiana”, potrebbe anche venire visto appunto che non si scorge nel testo, come dicevo all’inizio, un esplicito e fondante tentativo di promuovere negli allievi questa autonoma capacità di giudizio che è alla base della premessa della legge.
Si parla di tre assi fondamentali che costituirebbero il nucleo dell’insegnamento trasversale dell’Educazione civica e sarebbero individuabili nell’articolo 2 della legge. Essi riassunti, anche da chi a livello ministeriale ha il compito di coordinare l’attuazione di detta legge, sono: Costituzione e leggi europee, sostenibilità ambientale e cittadinanza digitale, facendo rientrare la legalità, l’educazione alla salute e il benessere, altri tre elementi presenti nell’articolo 2 per aspetti diversi in tutti e tre gli assi citati.
Concretamente e più da vicino le discipline interessate ai tre assi sarebbero soprattutto: storia, scienze con l’indispensabile matematica e informatica, ma non si potrà certo prescindere da lettere e lingue, arte, educazione fisica e musicale e tecnologia nel primo ciclo e da filosofia e scienze umane e diritto ed economia nel secondo ciclo; senza trascurare i più specifici contributi di altre materie tecniche e professionali. In pratica tutti i docenti, come ben si recita nel testo della legge, dovranno (non potranno non) dare il loro contributo alla realizzazione di questo insegnamento che in 33 ore, dovrà compiere questo miracoloso sforzo formativo.
Ma mi chiedo e chiedo: non sarebbe stato più semplice e concretamente realizzabile inserire approfondimenti di questi temi all’interno delle singole aree disciplinari e riservare le 33 ore per una riflessione critica su questi contenuti, avendo cura di sviluppare e accertare nel corso di esse la capacità critica e argomentativa degli allievi con opportune esercitazioni e verifiche? Io credo che una programmazione ben fatta di queste 33 ore avrebbe contribuito realmente a concretizzare la possibilità di iniziare ad implementare seriamente negli allievi quella “capacità critica” indispensabile al conseguimento reale e non fittizio, profondo, duraturo e non “di maniera” della principale finalità dell’Educazione civica e cioè la responsabile, piena, attiva e consapevole partecipazione “alla vita civica, culturale e sociale di una comunità nel rispetto delle regole dei diritti e dei doveri”.
Un programma che fornisse concreti strumenti di analisi critica di tutti i tipi di messaggi verbali, non verbali e misti che costellano la nostra vita pubblica al fine di conoscerne la struttura e la finalità specifica onde poterli padroneggiare in fase di ricezione e di analisi e in fase di produzione e riproduzione.
Il tutto mirato a familiarizzare l’allievo con quelli che sono i reali strumenti che l’uomo di oggi usa per convincere i suoi simili che spesso e volentieri più che fare appello alla “testa” fanno appello alla “pancia”.
In una democrazia il consenso del pubblico è fondamentale, e il modo con cui esso è conseguito fa di essa una vera democrazia o una demagogia di mercato. Quello che si riscontra oggi purtroppo nei media è l’uso e l’abuso dei più efficaci strumenti di convinzione in tutti i campi e non certo per ultimo nel campo politico, vedi i talk show politici che impazzano su tutte le reti.
La scuola può essere e deve essere, se vuole essere una scuola di vera democrazia, il luogo in cui si acquisiscono strumenti che sviluppino la capacità di ragionare con la “testa” e non con la “pancia”. Il rischio di un’educazione civica che batta, invece, solo su contenuti, per quanto condivisi questi ultimi possano essere, è che, invece di perseguire la “promozione della partecipazione piena e consapevole” dei futuri cittadini, porti ad una forma di indottrinamento che è l’esatto contrario di ciò che si vorrebbe perseguire.
Penso che una educazione civica concepita secondo quanto suggerito, potrebbe essere, viceversa, veramente uno strumento di garanzia per la tenuta della democrazia in un momento storico di sua indubbia difficoltà, ergendosi contro messaggi di parte ben costruiti e allettanti quali quelli lanciati in modo interessato e senza soluzione di continuità dai media imperanti.
Una educazione civica così pensata “super partes” perché dedita a far acquisire non solo contenuti, ma soprattutto, competenze testuali in chiave critica, sarebbe utile, credo, inoltre, a tutti gli attori politici, a qualsiasi area essi appartengano, purché vogliano onestamente partecipare senza “trucchi” e senza “inganni” alla “leale competizione politica” che è il cuore pulsante di una vera Democrazia.