Ulteriori approcci storici, nazionali ed europei, verso l’inclusione scolastica
La disabilità, come abbiamo avuto modo di mostrare, spesso nella storia della scuola italiana ma anche nella compagine europea è stata vista come una barriera al normale svolgimento dell’attività didattica. Tutto ciò ha fatto maturare la consapevolezza che era necessaria una normativa europea in grado di dare un input decisivo per tutti gli Stati membri.
Gli Stati che hanno firmato la Convenzione, infatti, hanno mantenuto il loro impegno a garantire un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli ed un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita, meglio inteso come life long learning, un processo cioè individuale e intenzionale che mira all’acquisizione di ruoli e competenze aperto a tutti e che comporta un cambiamento relativamente stabile nel tempo e nello spazio, con lo scopo di modificare un apprendimento non più adeguato rispetto alle nuove richieste che la storia presenta, anche e soprattutto nell’ottica di una didattica inclusiva. A tal proposito le finalità di tale approccio didattico inclusivo sono il pieno sviluppo del potenziale umano, del senso di dignità e dell’autostima, lo sviluppo della propria personalità, dei talenti e della creatività e il mettere in condizione di partecipare effettivamente a una società libera qualsiasi studente che si trovi con uno status di diversità. Ovviamente per realizzare ciò serve un sostegno necessario, un accomodamento ragionevole in funzione dei bisogni di ciascuno e di ambienti che ottimizzino il progresso scolastico e la socializzazione, conformemente all’obiettivo della piena integrazione.
Come si è passati da un percorso a indirizzo didattico differenziato ad uno inclusivo nelle classi definite “normali”?
La storia dell’inclusione dell’alunno “diverso” nella scuola, come già accennato nelle trattazioni precedenti, sebbene abbia sempre interessato qualsiasi comunità civile, affonda le sue radici già negli annia Settanta quando viene redatta la classificazione internazionale delle malattie (International Classification of Diseases – ICD) al fine di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche. La normativa italiana, in effetti, aveva visto lungo quando con CM 3 luglio 1963 aveva attenzionato i minorati, gli invalidi civili, inserendoli in scuole speciali e classi differenziali.
Il Parlamento italiano con la legge n° 118 del 30 marzo del 1971 sancì per la prima volta, all’articolo 28 comma 2, il principio secondo il quale, per gli allievi in situazione di handicap, “l’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica”. Quest’ultimo atto apre la vera e propria stagione dell’integrazione ed è frutto di tutte quelle agitazioni sindacali e studentesche che tanta parte faranno nell’evoluzione della storia della scuola inclusiva. A tale legge, in effetti, si è pervenuti dopo un ampio percorso legislativo che parte dalla Riforma Gentile del 1923, dalla CM 6676 del 1947 e gli articoli 3, 34,36 della stessa Costituzione Italiana, come anche dalla Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, la legge 1859 del 3 dicembre 1962 e la legge del 18 marzo n° 144 del 1968. I successivi decreti delegati del 1974 parlarono anche di integrazione scolastica degli alunni con disabilità in una scuola non più verticistica, ma circolare, dove tutti hanno un posto.
Altra tappa fondamentale è stata la pubblicazione del celebre Documento Falcucci del 1975 che ha messo in evidenza tutti i limiti della legge n°118/71 e nel 1977 viene poi approvata la legge 517 che generalizza il processo di integrazione normandolo in modo specifico per i vari livelli di scolarità. Tale legge inserì gli alunni con situazione di diversità nelle classi elementari e medie con dei veri e propri interventi individualizzati laddove la programmazione educativa doveva tener conto di tali soggetti.
Nel 1980 abbiamo la classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e handicap (International Classification of Impairments Disabilities and Handicaps – ICIDH) che distingueva tre livelli di diversità: menomazione, disabilità e handicap.
Nel 1982 segue la Legge 270 che incomincia ad introdurre la figura del sostegno accanto a quegli alunni con menomazione o handicap. Ma è la Legge 148/1990 che dà un input decisivo a tale situazione inserendo nella scuola i posti di sostegno per gli alunni portatori di handicap evidenziando la necessità della collaborazione tra insegnanti, genitori e specialisti e il nuovo docente, inserito nel team, che diventa contitolare insieme agli altri.
All’inizio degli anni ‘90, dunque, esistevano ormai tutte le condizioni per elaborare una vera e propria legge quadro sui diritti delle persone disabili. Viene emanata così la legge n°104 del 5 febbraio 1992 che, negli articoli da 12 a 16 e nel 43, definisce le prassi di integrazione scolastica chiamando in causa i diritti della persona senza alcuna forma di discriminazione mentre, nel 1994, il DPR del 24 febbraio, definisce il ruolo di supporto tecnico specialistico che i servizi sanitari devono avere nei confronti delle scuole impegnate nei processi di integrazione. Appare chiara la necessità di una Diagnosi Funzionale (DF), di un Profilo Dinamico Funzionale (PDF) e di un Piano Educativo Individualizzato (PEI).
Si incomincia così ad utilizzare un solo termine per indicare i vari deficit ed è quello di “disabile” che allontana le categorizzazioni legate alle patologie di livello organico passando al modello biomedico della disabilità: anche questo modello però non tiene conto del comportamento umano, delle abilità interpersonali e comunicative né dell’ambiente sociale e relazionale, proprio della persona.
Nel 1997 la Legge 285/97 inserisce l’istruzione domiciliare del bambino malato e ospedalizzato con l’attivazione di classi in ospedale.
Nel 1999 abbiamo, invece, la classificazione internazionale delle menomazioni, delle attività personali (ex-Disabilità) e della partecipazione sociale (ICIDH-2). Da questo momento il termine “handicap” viene definitivamente accantonato e vengono evidenziati alcuni concetti importanti: l’esteriorizzazione che non guarda più alla menomazione, l’oggettivazione che non parla più di disabilità ma attività personali e le conseguenze sociali che nell’alunno non vedono più handicap o svantaggio, ma diversa partecipazione sociale.
Quali novità normative dell’ultimo ventennio hanno interessato il tema del passaggio dall’integrazione all’inclusione per una scuola aperta a tutti?
Basta puntare l’attenzione alla Legge 328 del 2000 che presenta un sistema integrato di interventi e servizi sociali per migliorare la qualità della vita attenendosi alle pari opportunità per tutti gli esseri umani.
Nel 2001 abbiamo la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute, denominato ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) che descrive lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo), coglie le situazioni che possono causare disabilità ed evidenziare cosa è possibile fare per migliorare la qualità della vita e descrive non le persone o i deficit e gli handicap che rendono precarie le condizioni di vita, ma le situazioni quotidiane, in relazione al contesto ambientale e relative al funzionamento umano e alle sue possibili restrizioni.
Si parla, dunque, non di “malattie” (menomazione, handicap, usati prevalentemente in accezione negativa), ma di salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute): questo perché la disabilità è una condizione universale in quanto tutti possono trovarsi in condizioni che provocano “disabilità”. Nel 2003 è stata completata anche la versione per bambini e adolescenti (ICF-CY).
In contrasto a questo modello negli ultimi anni, con l’emanazione della Legge 53/2003 e della Legge 170/2010, si afferma il modello sociale dove importanti sono le limitazioni funzionali e i problemi causati dagli ambienti “disabilitanti”. I due modelli, comunque, finiscono per confluire nell’unico modello bio-psico-sociale che grande supporto trova nell’ICF (classificazione internazionale delle funzionalità) dove l’approccio al malessere è di tipo olistico. Ciò permette di estendere a tutti, permanentemente e temporaneamente, gli strumenti del piano educativo individualizzato (PEI) o del piano didattico personalizzato (PDP) per una scuola che, dall’integrazione passa all’inclusione: nuovo volto del sistema scolastico italiano.
Nel 2006 viene emanato il DPCM 185 che si occupa anche del soggetto in situazione di handicap evidenziando primo fra tutti l’individuazione dei casi seguendo dei criteri di classificazione ma non eludendo la richiesta da parte dei genitori.
Con la legge 244/2007 (Finanziaria 2008) si ritorna a considerare l’aspetto organizzativo nelle classi con alunni in situazione di handicap ossia: quanti insegnanti coinvolgere in riferimento al numero degli alunni con disabilità?
Nel 2009 il MIUR elabora le linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità evidenziando il piano dell’inclusione in riferimento ai bisogni educativi speciali e in ogni scuola il relativo PTOF deve essere inclusivo cioè con azioni, interventi e progetti quotidiani in risposta a precisi BES rilevati.
Anche nel 2010 viene emanato un DM, il 249/2010, cioè una legge sulla formazione iniziale degli insegnanti che mira ad una vera e propria specializzazione per il sostegno didattico e la legge 8 ottobre 2010 n. 170 che presenta la gestione per i DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento) in ambito scolastico proponendo tutta una serie di provvedimenti e strumenti dispensativi e compensativi per la stesura di un PEI.
Col DM del 12 luglio 2011 “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento” vengono evidenziati i principali disturbi specifici di apprendimento ossia: dislessia, disgrafia, discalculia, disortografia e le precise responsabilità della scuola.
Segue poi la Direttiva del 27 dicembre 2012 che fa riferimento ai Bisogni Educativi Speciali (BES) sostenendo la cultura dell’inclusione estesa a tutti gli studenti in difficoltà, promuovendo anche il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento.
Ogni alunno può manifestare BES e la Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013 evidenzia la presa in carico di tutti gli alunni con BES varando un piano annuale per l’inclusività ma, perché un’azione didattica nella scuola risulti inclusiva, è necessario sostenersi a vicenda!