Tutti gli studenti devono necessariamente imparare le stesse cose e nello stesso modo? Ne parliamo con Maurizio Parodi
«Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi» scriveva Marcel Proust. Nuovi occhi (attenti e ben spalancati) anche nei confronti della scuola italiana. Occhi per guardarla e per trovare soluzioni alle più disparate problematiche che si frappongono tra la più importante agenzia educativa e il vero successo formativo.
Il problema della scuola italiana consiste nel pervicace assunto per cui tutti possano e debbano imparare la stessa cosa, nello stesso modo e nello stesso tempo. Ne parliamo con Maurizio Parodi, già Dirigente scolastico, Cultore della Materia e Docente a contratto presso il DISFOR di Genova, svolge attività di ricerca e formazione in campo socio-pedagogico non ancora rassegnato all’impermeabilità degli apparati educativi.
Parodi ha collaborato e collabora con le più importanti riviste italiane di pedagogia e didattica, e pubblicato alcuni saggi, tra i quali: «Basta compiti! Non è così che si impara»; Sonda, 2012; «Gli adulti sono bambini andati a male», Sonda, 2013; «Non ho parole. Analfabetismo funzionale e analfabetismo pedagogico», Armando, 2018; «Così impari. Per una scuola senza compiti», Castelvecchi, 2018; «La scuola è sfinita. Ricostituenti pedagogici», La Meridiana, 2022.Ha creato e gestisce alcuni gruppi Facebook: «Mens sana», «Art.31» «Docenti e Dirigenti a Compiti Zero» e «Basta compiti!» (oltre 15 mila iscritti) che sostiene l’omonima petizione su change.org (più di 40 mila firme).
A proposito di inclusi ed esclusi. Professore, quale è, a suo avviso, il vero problema della scuola italiana?
“Intendiamoci bene. È vero, come ha scritto Ernesto Galli Della Loggia, che nella scuola italiana l’inclusione è solo formale, nonostante l’impegno dei docenti migliori, capaci di autentici prodigi didattico-organizzativi. È vero che prevale la logica della medicalizzazione delle difficoltà di apprendimento. È vero che si considera l’insegnante di sostegno non “contitolare” della classe ma titolare unico ed esclusivo del “caso”, in tal modo delegato e rimosso. È vero che spesso mancano le competenze tecniche, gli strumenti, i supporti necessari per garantire le opportune “compensazioni”. Tutto vero. Ma il problema non è la mancanza di uniformità nella gestione della didattica, che sarebbe impedita da pregiudizievoli “diversità” più o meno incompatibili con l’ordinato svolgimento del “programma: è l’esatto contrario. Il problema consiste nell’incapacità della scuola di modulare, di adeguare il proprio intervento a tutte le diversità e alle diversità di tutti, compresi gli studenti, e le studentesse, cosiddetti “normali” (cito EGDL)”.
Il problema della scuola italiana è, come asserisce lei, professore, l’impostazione di tipo cattedratico che privilegia la somministrazione forzata di saperi precotti e surgelati. È così davvero?
“Il problema consiste nell’adozione, fin dalla primaria, di una didattica standardizzata e omogeneizzante che si fonda sul principio secondo cui studentesse e studenti siano (debbano essere) ugualmente ignoranti e non diversamente competenti. Il problema consiste nella prevalenza di pratiche di insegnamento meramente trasmissive riconducibili, tuttora, nonostante “Indicazioni” e “Linee giuda”, a un’impostazione di tipo cattedratico che privilegia la somministrazione forzata di saperi precotti e surgelati. Il problema consiste nell’autorefenzialità di un approccio al sapere che non si interroga sulla significatività degli apprendimenti, sulla motivazione intrinseca o, più semplicemente, sulla accessibilità, sulla fruibilità dei contenuti”.
Promozione o bocciature… è questo il vero problema della scuola italiana?
“Il vero problema consiste nella mancanza di risonanza cognitiva, di riverbero emozionale delle attività proposte. Il problema consiste nel pervicace assunto per cui tutti possano e debbano imparare la stessa cosa, nello stesso modo e nello stesso tempo. Il problema consiste nel mancato impegno a svolgere il compito più importante affidato alla scuola (sotto il profilo tecnico-professionale), quello di insegnare a imparare, di promuovere l’acquisizione di metodi di ricerca e studio sempre più sofisticati, di affinare le competenze metacognitive. Insomma, il problema è tutt’altro, rispetto a ciò di cui parla il “Gruppo di Firenze”, la cui unica preoccupazione, paventata, sintomaticamente, dall’emerito commentatore, è che “tutti siano promossi”; e, naturalmente, il merito o demerito, s’intende, sono solo dello studente o della studentessa, perché la scuola è sempre e comunque giusta ed eventualmente, gli studenti sbagliati”.
Studenti sbagliati?
“A certuni, poco importa che gli studenti sbagliati siamo proprio quelli che nella scuola potrebbero trovare la sola opportunità di affrancamento, di emancipazione, e che siano invece espulsi da una scuola che ancora funziona come l’ospedale al contrario di cui parlava don Milani, quella che cura i sani e respinge i malati, proprio come vorrebbero i paladini della ‘normalità'”.