Troppe verifiche al rientro a scuola, lo psicologo: no sovraccarichi, proteste degli studenti costruttive

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“Ben venga che gli studenti del Manzoni a Milano abbiano occupato per protestare contro l’eccesso di verifiche al rientro: almeno orientano il disagio all’esterno, e non su se stessi come fanno tanti altri”. A sostenerlo è Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, esperto e studioso di adolescenti che al Corriere della Sera commenta i fatti avvenuti a Milano.

“Molti insegnanti hanno inteso il rientro a scuola come il momento in cui recuperare a tutti i costi gli apprendimenti, come se non tenessero conto del fatto che c’è una pandemia a livello mondiale: io stesso ricevo e lavoro con dirigenti preoccupati per il comportamento dei propri professori”, sostiene Lancini.

Raffica di interrogazioni e verifiche dopo la didattica a distanza. Gli studenti protestano: “Siamo stanchi”

Secondo lo psicologo il ritorno a scuola “rappresentava un’occasione straordinaria di incontro tra un adulto significativo, l’unico possibile da incontrare dopo i genitori, e gli studenti, e doveva rappresentare un momento eccezionale: non nel senso che l’insegnante doveva limitarsi a chiedere come stavano i ragazzi, o a fare l’amico”.

“La maggior parte degli studenti – afferma – non aveva un atteggiamento trasgressivo, era contento di tornare a scuola e reincontrare tutti, ma in alcune situazioni si è trovato di fronte ad una rincorsa alla verifica, soprattutto in presenza, che secondo me mal si addice col momento”.

Ed ecco che secondo lo psicoterapeuta, “chi riesce a protestare, come gli studenti del Manzoni, assume un atteggiamento costruttivo”, ma “chi non riesce a esprimere le difficoltà, può rivolgere l’attacco a sé: autolesionismo, tentativi di suicidio, sono esplosi. Non bisogna ridurre tutto al fatto che i ragazzi non hanno voglia di far niente”.

Il consiglio di Lancini è quindi di “non generalizzare innanzitutto perché molti professori sono riusciti a cogliere il momento. Ma laddove ci sono stati sovraccarichi, bisognerebbe spingerli a farsi qualche domanda”

E poi conclude: “Seguo ragazzi che hanno medie tra l’8 e il 9 ma avevano attacchi di pancia di fronte al programma di interrogazioni. Bisognerebbe cambiare la visione dell’adolescente: abbiamo sistemi didattici formativi che funzionano in base alla colpa, e invece l’adolescente odierno va coinvolto attraverso modelli di cooptazione. Bisognerebbe valutare le competenze e non le conoscenze”.

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