Trent’anni di profezie, quando “La Scuola” di Luchetti anticipò il collasso educativo: il ritratto più spietato dell’istruzione del nostro Paese

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Un istituto tecnico della periferia romana, l’ultimo giorno di scuola, giugno 1995. Silvio Orlando nei panni del professor Vivaldi si aggira tra corridoi fatiscenti e aule sovraffollate, mentre la macchina da presa di Daniele Luchetti cattura quello che allora sembrava solo un ritratto satirico della scuola italiana.

Trent’anni dopo, quel film tratto dai romanzi di Domenico Starnone (“Ex Cattedra” e “Sottobanco”) non fa più ridere: fa paura. Perché ogni fotogramma di quella pellicola si è trasformato in una profezia autoavverante del disastro educativo che stiamo vivendo oggi.

Il microcosmo dell’ultimo giorno: un’umanità allo sbando

La genialità de “La Scuola” sta nell’aver concentrato in 24 ore tutti i mali di un sistema educativo già in crisi profonda negli anni Novanta. L’assenza misteriosa della professoressa Serino nel giorno del suo pensionamento diventa metafora di una generazione di docenti che fugge da una realtà insostenibile. Il corpo docente che Luchetti mette in scena è un campionario spietato dell’umanità scolastica: la professoressa Majello alle prese con una crisi matrimoniale che si riflette sulla sua capacità di insegnare, il gretto Cirrotta che trasforma l’educazione in un esercizio di potere, l’ansiosa Lugo schiacciata dalle proprie insicurezze, il razzista Mortillaro che anticipa di decenni certi atteggiamenti che oggi definiremmo di bullismo istituzionale.

Il vicepreside Sperone, rigido e meschino, incarna quella burocrazia scolastica che antepone le procedure all’educazione, mentre il preside interessato solo a “promuovere tutti per evitare problemi” prefigura quella cultura del sei politico che ha devastato la credibilità della scuola italiana. In mezzo a questo panorama desolante, il professore Vivaldi rappresenta l’ultimo baluardo di un’idea di scuola come comunità educante, ma la sua solitudine è già il sintomo di una sconfitta annunciata.

Gli scrutini in palestra: il teatro dell’assurdo educativo

La sequenza degli scrutini finali spostati in palestra per l’inagibilità della biblioteca è forse la più profetica dell’intero film. Quel mercanteggio dei voti che si consuma tra canestri e materassi da ginnastica anticipa di trent’anni la mercificazione dell’istruzione che caratterizza la scuola contemporanea. Le interrogazioni di riparazione surreali e inconcludenti dell’ultimo giorno prefigurano quella didattica dell’emergenza che è diventata la norma, non l’eccezione.

La disperazione di Vivaldi per l’assenza di Cardini, soprannominato “la mosca”, lo studente con gravi problemi familiari che rischia la bocciatura, racconta una storia che si ripete quotidianamente nelle scuole italiane: quella dei ragazzi invisibili che il sistema abbandona al loro destino. La bocciatura finale di Cardini, nonostante gli sforzi del professore, non è solo il fallimento di un singolo studente, ma la sconfitta dell’intera comunità educativa.

I commenti del pubblico: specchio di una generazione

I commenti degli spettatori raccolti in questi trent’anni restituiscono l’impatto duraturo del film. “Il film che mi fece tornare la voglia di studiare dopo aver abbandonato la prima superiore”, scrive un utente, testimoniando come la pellicola abbia saputo toccare corde profonde. Altri riconoscono nei personaggi i propri insegnanti: “Il mio professore di Matematica era esattamente come questo di francese”, confermando l’universalità dei tipi umani descritti da Starnone e Luchetti.

Particolarmente significativo il commento di chi si identifica come “studente di Starnone” e dichiara di aver ispirato il personaggio di Timballo: “Fu membro interno al nostro esame di maturità, un dispensatore di calma e autostima incredibile”. Una testimonianza che conferma come il film nasca da un’osservazione diretta della realtà scolastica, non da una fantasia cinematografica.

L’eredità di una profezia: dalla satira alla cronaca

Il dibattito che il film continua a suscitare tocca il nodo irrisolto della valutazione scolastica. “Ti sovviene quando alle superiori ti impegnavi per avere la tua buona media e poi vedevi i fancazzisti e le capre promosse come te proprio perché avevano una situazione familiare difficile”, scrive un commentatore, evidenziando la contraddizione tra equità sociale e meritocrazia che attraversa la scuola italiana.

La frase “Il vero fallimento di un insegnante è bocciare qualcuno” sintetizza una filosofia educativa che ha dominato gli ultimi decenni, trasformando la scuola da luogo di formazione a centro di assistenza sociale. Ma forse la verità più amara è in un altro commento: “Dovrebbe essere il manifesto della scuola italiana. Ci sono tutte le debolezze e i limiti dei docenti che spesso condannano aspramente i ragazzi senza considerare le loro insicurezze e le famiglie infelici in cui vivono”.

Trent’anni dopo, “La Scuola” non è più una commedia: è diventata un documentario. E questo, forse, è il suo più grande successo e la nostra più grande sconfitta.

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