Tra lauree, dottorati e abilitazioni: cos’ha da fare un insegnante oggi per poter essere stabilizzato? Lettera

Inviata da Francesco L. Gallo – Il reclutamento degli insegnanti di sostegno è tra gli aspetti più problematici e ambigui dell’ordinamento scolastico italiano in materia di inclusione scolastica. Il sistema vigente non riesce a garantire né l’equità né la continuità didattica che sono invece pilastri fondamentali di un’educazione inclusiva.
Come dimostra la mia esperienza diretta, e quella di tanti altri colleghi, il reclutamento degli insegnanti di sostegno si presenta come una dinamica che, anziché promuovere il benessere degli studenti con disabilità, rischia di minare le fondamenta stesse della didattica inclusiva e, aspetto ancor più grave, l’equilibrio esistenziale (prima che scolastico) degli studenti con disabilità.
Le difficoltà del reclutamento: tra continuità didattica e meccanismi poco trasparenti
Uno degli aspetti più critici del reclutamento degli insegnanti di sostegno è la costante discontinuità didattica che si viene a creare ogni anno. Questo problema non è più una mera discussione teorica, ma una realtà ben visibile per chi lavora sul campo. Come docente di sostegno specializzato (specializzazione conseguita presso l’Università della Calabria a seguito del IV ciclo del TFA sostegno), posso testimoniare quanto questa discontinuità danneggi gli studenti, e non solo sul piano educativo, ma anche su quello emotivo e psicologico.
A settembre 2024, con grande dolore, ho visto la storia scolastica dello studente che seguivo da due anni completamente distrutta. Questo studente, che frequentava una scuola secondaria di secondo grado nella provincia di Cosenza, ha abbandonato la scuola non appena ha saputo che non sarei stato più convocato. Nonostante avessi inserito quell’istituto come prima scelta nelle Graduatorie Provinciali per le Supplenze (GPS), e nonostante il mio punteggio fosse di 104 punti (sufficiente per garantirmi la riconferma nello stesso istituto scolastico), sono stato superato da colleghi con punteggi inferiori ma che avevano ottenuto 36 punti aggiuntivi grazie al corso abilitante, a cui io non avevo potuto partecipare per ragioni principalmente economiche (danno maggiorato dall’invasione sconsiderata di riservisti che hanno vantato una certa priorità nelle prime convocazioni). Non solo non è stata sufficiente la mia specializzazione, né gli anni di servizio, né il punteggio derivante dal mio dottorato di ricerca, ma il sistema mi ha escluso in favore di colleghi con punteggi inferiori, ma che avevano acquisito un certo numero di punti grazie a corsi abilitanti.
Una persona, ad esempio, con 70 punti è riuscita a superarmi in graduatoria perché a questo punteggio ha aggiunto 36 punti del corso abilitante, arrivando così ad un punteggio di 106 (rispetto ai miei 104), facendomi perdere l’occasione di rinsaldare la continuità didattica con lo studente che seguivo da due anni.
Il sistema delle GPS, dunque, ha privilegiato un criterio che non valorizza né la specializzazione, né l’esperienza diretta sul campo. È una logica che riduce la didattica a una competizione di punteggi, dove il valore del docente, delle sue competenze e della sua relazione con lo studente viene oscurato da numeri che, purtroppo, non raccontano la realtà. Alla luce di queste imbarazzanti dinamiche potremmo domandarci se davvero la nostra normativa scolastica in materia di inclusione sia così avanzata.
Inoltre, sarebbe assai interessante riuscire a comprendere su quali criteri, in base a quali argomenti e rispetto a quali valori un corso abilitante della durata di tre mesi possa essere considerato, sotto il profilo del punteggio, pari a tre annualità di servizio, quindi equipollente a ciò che l’esperienza umana sul campo può dare. Per quanto un corso abilitante possa essere perfettamente strutturato e realizzato da docenti altamente preparati (su questo non nutro dubbio alcuno) e per quanto i corsisti possano seguirlo con attenzione, dedizione ed impegno (anche su questo non nutro dubbi, almeno per quanto mi è dato sapere), non è possibile comprendere come un corso di soli tre mesi possa essere così sopravvalutato in termini di punteggio. L’equivalenza tra un corso abilitante online di tre mesi e tre anni di servizio rappresenta un’anomalia bizzarra e incomprensibile.
Questo non è solo un paradosso, ma un vero e proprio errore sistemico. Ancor più assurdo, se si considera che il dottorato di ricerca, che richiede anni di studio e impegno accademico e scientifico (essendo il titolo accademico più elevato e prestigioso che possa essere conseguito), equivale a soli 12 punti nelle graduatorie, gli stessi punti che vengono attribuiti a un anno di servizio. In altre parole, il mio dottorato di ricerca, della durata di tre anni, viene equiparato, dal Ministero, al corso abilitante di 30 CFU che un collega (o io stesso) può completare con corsi online e una lezione simulata. Si tratta di dinamiche imbarazzanti che riducono la complessità e il valore delle esperienze professionali a un semplice punteggio, annullando qualsiasi considerazione sul reale impatto di una formazione o di un percorso didattico.
Un’altra delle problematiche incomprensibili che affligge il sistema scolastico italiano riguarda l’organizzazione dei concorsi e la gestione delle graduatorie di merito. Nella mia esperienza, come insegnante specializzato e con anni di servizio alle spalle, trovo del tutto irrazionale che vengano banditi ulteriori concorsi mentre nelle graduatorie di merito vi sono docenti idonei, con titoli, esperienza e specializzazione, ancora in attesa di essere convocati. Il sistema sembra non tener conto della condizione di precarietà in cui si trovano molti insegnanti, rendendo un percorso che potrebbe portare alla stabilizzazione un processo interminabile e paradossale.
Il concorso ordinario ADSS Calabria: una realtà che non trova spiegazioni
Un esempio evidente di questa contraddizione è rappresentato dalla continua promozione di nuovi concorsi. Io appartengono alla lista di insegnanti idonei (GM 2020 ADSS Calabria, secondaria di II grado) e sono in posizione 43esima. Le future autorizzazioni per le immissioni in ruolo non scorreranno lisce ma dovranno tenere in conto le spartizioni con il contingente dei concorsi PNRR. Questo approccio crea un’ulteriore frammentazione delle risorse e dei posti disponibili, mentre i docenti già presenti nelle graduatorie, come me, sono messi da parte nonostante abbiano superato con merito le prove concorsuali, maturato nel frattempo anni di servizio e conseguendo anche titoli aggiuntivi. La logica sembra non rispondere a un principio di efficienza e utilità sociale, ma piuttosto a criteri che appaiono più politici e burocratici, con il rischio di vanificare gli sforzi di chi, nel tempo, ha cercato di investire sulla propria formazione e sulla propria carriera.
Stabilizzare prima, poi bandire nuovi concorsi: una proposta ragionevole
Alla luce di quanto esposto, mi sembra decisamente più sensato e razionale stabilizzare prima tutti gli insegnanti già idonei presenti nelle graduatorie di merito, sfruttando l’esperienza e la preparazione che già sono pronte a essere messe a servizio della scuola pubblica. La soluzione proposta sarebbe quella di portare a termine, per quanto possibile, il processo di stabilizzazione, iniziando dalle graduatorie di merito esistenti, senza farle rimanere in uno stato di attesa indefinita.
Una volta che le graduatorie esistenti sono state “pulite” e i docenti stabilizzati, si potrebbe procedere con un unico concorso, magari annuale, per l’inserimento di nuovi insegnanti, evitando così un sovraffollamento delle graduatorie che, se non controllato, rischia di perpetuare l’esistenza di un precariato infinito.
Questa proposta non è solo una questione di buon senso, ma anche una necessità sociale ed educativa. Le scuole, infatti, necessitano di insegnanti che possano garantire continuità didattica, che siano in grado di sviluppare relazioni educative durature con gli studenti e che non siano costretti a vivere nel limbo della precarietà. La continua alternanza tra insegnanti, che lascia gli studenti senza una figura stabile di riferimento, compromette gravemente l’efficacia del processo educativo. Un insegnante precario non può infatti dedicarsi completamente alla crescita degli studenti come un collega stabilizzato che ha la possibilità di investire nel proprio lavoro senza l’angoscia di dover cambiare istituto ogni anno.
Il paradosso della graduatoria infinita e la farsa del precariato
Non si può più parlare di “meritocrazia” in un sistema in cui le graduatorie di merito non vengono utilizzate per stabilizzare gli insegnanti, ma per continuare a bandire concorsi che affollano ulteriormente le liste di attesa. Il precariato diventa così un circolo vizioso, dove chi merita il ruolo viene spesso messo in secondo piano, mentre il sistema continua a generare nuove graduatorie che, di fatto, non risolvono nulla, ma anzi perpetuano l’instabilità. Inoltre, le nuove modalità di concorso, che spesso rispondono a logiche politiche più che educative, non fanno altro che aumentare la frustrazione tra i docenti e ridurre la qualità del servizio scolastico offerto.
È ora di rivedere il sistema di reclutamento e di stabilizzazione degli insegnanti. Non possiamo permetterci di continuare a creare graduatorie sempre più affollate, con il rischio che l’insegnamento diventi una professione a vita precaria. La scuola ha bisogno di stabilità, e la stabilità si ottiene non solo con il giusto reclutamento, ma anche con la valorizzazione delle risorse umane già presenti. Solo in questo modo si potrà creare un sistema educativo che funzioni davvero, dove gli insegnanti possano concentrarsi sul loro ruolo educativo, senza essere condizionati dalla costante incertezza del proprio futuro professionale.
Il mio invito è quello di dare un’opportunità concreta a chi ha già dimostrato il proprio valore e di costruire un percorso che porti alla stabilizzazione degli insegnanti idonei nelle graduatorie, per poi passare a un concorso limitato, che eviti l’ulteriore accavallarsi di graduatorie e continui a tenere sotto il segno del precariato intere generazioni di docenti.
Una questione etica e filosofica: il valore dell’inclusione
Questa riflessione non si limita, quindi, a una mera critica al sistema burocratico. Il vero problema è etico e filosofico. Come è possibile che un sistema che si proclama inclusivo, e che dovrebbe garantire il diritto all’educazione per tutti, possa distruggere la continuità educativa e le storie scolastiche già avviate? La logica del punteggio e delle graduatorie, che non considera la relazione tra docente e studente, non è solo un errore tecnico, ma una disumanizzazione del processo educativo. Quando un docente, con anni di esperienza, formazione e una relazione consolidata con lo studente, viene escluso in favore di un collega che non ha avuto la possibilità di costruire lo
stesso legame, si perde di vista l’essenza stessa dell’inclusione scolastica, che è quella di rispondere ai bisogni individuali degli studenti.
La proposta di dare alle famiglie un maggiore potere decisionale, come suggerito da alcune proposte ministeriali, potrebbe avere aspetti positivi, sebbene debba essere trattata con molta attenzione. Non si tratta solo di un problema tecnico, ma di una questione che riguarda la qualità stessa dell’educazione. È urgente ripensare il sistema di reclutamento e di formazione, per fare in modo che esso risponda davvero alle necessità degli studenti e non solo a logiche burocratiche e quantitative.
Conclusione: ripensare il sistema educativo in chiave inclusiva
Insegnante laureato, dottore di ricerca, specializzato in attività di sostegno didattico, idoneo, abilitato all’insegnamento di filosofia nella scuola secondaria di secondo grado, con incarichi annuali e titoli aggiuntivi. Cosa ha da fare un insegnante oggi per poter essere stabilizzato?
La riforma del reclutamento e della formazione degli insegnanti di sostegno deve andare ben oltre il mero aggiornamento delle norme. È necessario un ripensamento radicale del sistema educativo italiano, che ponga al centro la continuità didattica e il benessere degli studenti. Solo in questo modo sarà possibile superare le ingiustizie legate alle graduatorie e costruire un sistema scolastico veramente inclusivo, dove ogni storia educativa venga rispettata e valorizzata, senza essere sacrificata sull’altare di un sistema che, purtroppo, spesso dimentica l’essenza umana e relazionale dell’insegnamento.