Tornare tutti a scuola, per fare cosa? Proposte di idee a azioni per completare la scuola

lettera inviata da Gionata Tiengo – Il prossimo, imminente e annunciato ritorno di tutti gli studenti in presenza, al di là delle considerazioni di ciascuno a proposito della bontà di tale scelta, della sua opportunità, tempestività e necessità (questioni che lascio senz’altro ad altri ambiti di confronto e ruoli ad esso preposti), offre lo spunto per affrontare considerazioni che riguardano profondamente gli ambiti della progettualità educativa e formativa.
Tutti gli studenti torneranno finalmente a scuola (benissimo a detta di alcuni, malissimo a detta di altri) e ci saranno a disposizione cinque o sei settimane per completare questo (altro) inedito e scombussolato anno scolastico.
Volendo affrontare un ragionamento educativo e formativo approfondito è importante interrogarsi, oltre che su quanto tempo ci sia a disposizione, anche su cosa di preciso si possa fare in questo tempo residuo.
“Non è in gioco la quantità della scuola ma la sua qualità” afferma Daniele Novara.
Tornare tutti a scuola, si ma per fare cosa?
Questa istituzione, della quale la pandemia ne ha contemporaneamente messo a nudo le debolezze (molti sono mali di antica data) e ne ha in qualche modo riscoperto, o almeno pubblicamente evidenziato, la centralità nel contesto sociale, si è trovata strattonata e scossa, provocata nel profondo dall’incalzare della contemporaneità come non le accadeva da decenni, o forse come non le è mai accaduto in un così breve periodo.
Come dopo i terremoti o gli incendi, di fronte alle rovine degli edifici storici rappresentativi ci si interroga sulle opportunità di un restauro piuttosto che di una loro radicale ristrutturazione, ci si
presenta ora l’opportunità, storica, di poter ripensare, superficialmente oppure in profondità, il ruolo della scuola.
Dopo un anno vissuto in questo avvicendarsi di periodi di didattica in presenza e a distanza (comunque nella mia regione nemmeno un giorno di chiusura, per la precisione) è sicuramente necessario un attento e complesso ragionamento sul ruolo della scuola, perché il movimento tellurico che la pandemia ha innescato va indagato in profondità.
Occorrono perciò delle serie analisi e riflessioni che riescano a riconoscere l’esistenza di un nuovo contesto, decisamente differente da quello antecedente il 23 febbraio 2020, che riescano a fornire idonee e praticabili rappresentazioni di questo nuovo contesto di questo nuovo panorama dentro il quale la scuola si trova ad operare.
E’ necessario anche che vengano proposte e condivise ipotesi che riescano ad interpretare tutto quello che è successo, sta succedendo e che ancora succederà.
In questo senso appare semplificatorio e riduttivo ricorrere al motto utilizzato dopo i disastri per gli edifici storici: “Dov’era e com’era!”.
Semplificatorio perché sarebbe una rinuncia alla lettura della complessità del presente e un “mettere sotto il tappeto” la polvere degli antichi mali pre-covid; riduttivo perché implicherebbe una rinuncia, una fuga indietro rispetto alle molte novità positive che in questo periodo sono state, anche se non sempre con pieno successo, comunque generosamente approcciate.
Sarebbe anche fuorviante ed erroneo radicalizzare l’inutile diatriba tra la scuola in presenza o a distanza: tutti gli sforzi (davvero tanti) di questo periodo sono stati compiuti per salvaguardare e preservare, nelle circostanze che conosciamo che più avverse non si può, l’essenza ed il ruolo educativo e formativo della scuola.
Per tutelare e rendere possibile sotto il bombardamento della pandemia l’apprendimento degli studenti.
Per riorientare, anche con i violenti cambi di rotta che la tempesta imponeva, l’azione didattica e formativa per adeguarla alle nuove circostanze alle quali il contesto impietosamente obbligava a confrontarsi.
Questo nuovo contesto sta segnando e lasciando cicatrici nel modo della scuola e proprio sulla pelle degli studenti nonché, certamente, anche degli insegnanti.
La scuola deve quindi sapere interpretare i vari segnali di disagio, intercettare le richieste (che per lo più non sono esplicite) e farsene carico.
Sono bisogni inediti, che mai si sarebbe pensato di associare a talune fasce di età, o zone del Paese, o determinati status socio-economici degli studenti.
Sono bisogni che si manifestano con fenomeni di demotivazione e indifferenza, dichiarati stati di apatia, particolari stati psicologici che dall’insicurezza scivolano fino a lambire gli abissi della depressione, e molti altri che le inchieste giornalistiche e la pubblicazioni di settore stanno scandagliando e facendo progressivamente emergere.
Quale è il destino dell’apprendimento in questo contesto?
Come possiamo pensare e proporre una scuola adeguata a questa nuova e improvvisa contemporaneità?
Come possiamo “farci prossimi” ai nostri studenti?
Quale ruolo intendiamo ritagliare per la scuola nell’immediato futuro?
Tutte le scuole dovrebbero prendere in carico, al termine del percorso di riflessione proposto, le attuali esigenze e proporre interventi per adeguare il proprio pensiero e la propria azione al mutato contesto.
Questi passaggi non sono rimandabili genericamente a settembre, occorre che vengano progettate ed adottate nell’immediato le azioni che ogni scuola riterrà non solo opportune ma proprio necessarie per i propri studenti.
Non a settembre ma adesso. Ecco cosa fare in queste sei settimane, e nell’extra time che eventualmente sarà possibile sfruttare nei mesi di giugno e luglio.
La scuola abdicherebbe al suo ruolo se si rifugiasse, compiacendosi del rientro in presenza, nella rassicurante routine di interrogazioni e verifiche di fine anno tralasciando la lettura critica di quanto successo, rinunciando a farsene carico ed evitando di progettare adeguate azioni.
Con la fatica e l’impegno di tutti è stato possibile garantire tramite la DAD/DID la qualità della componente prettamente didattica dell’apprendimento, si potrebbe certamente migliorare sul versante della componente sociale dell’apprendimento, intendendo la sua dimensione gruppale ad esempio (realizzabile anche a distanza).
Resta da recuperare terreno negli ambiti della socializzazione e della dimensione comunitaria dell’apprendimento, questi e non gli apprendimenti in sè sono i veri nervi scoperti di questo periodo: le abilità sociali, le soft skills, le competenze di cittadinanza…
E’ necessario attivare con urgenza progetti dedicati al recupero della socialità (attenzione: anche se si dovesse sciaguratamente tornare in toto a distanza!!); è necessario integrare se non modificare radicalmente, se mai fossero partiti, i progetti di ampliamento dell’offerta formativa pianificati ad inizio anno; è necessario che i Consigli di Istituto investano fondi su questo versante.
E’ importante che la scuola, come autentico soggetto operante sul territorio, si confronti con gli altri enti e soggetti del territorio, cooperando con i vari partner individuabili verso gli obiettivi descritti anche all’interno dei percorsi PCTO (ex alternanza), progettando percorsi di educazione o ri-educazione alla socializzazione con il mondo delle associazioni, dello sport, del volontariato….
Non dobbiamo occuparci di scrutini e voti in pagella lasciando che siano esclusivamente le risorse del singolo studente o della singola famiglia a permettergli di superare questa complessa e difficile situazione: dobbiamo impegnarci per progettare e realizzare percorsi di crescita educativi e formativi per cercare di “sortirne insieme”.