Titoli falsi per ottenere supplenze o ruolo, controlli da parte delle scuole possono avvenire anche dopo anni e il docente può essere licenziato. Sentenza

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Con sentenza la Corte d’appello accoglieva il reclamo del Ministero dell’Istruzione e rigettava la domanda proposta da una docente, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare per aver prodotto una falsa attestazione relativa al diploma di corso biennale di specializzazione per insegnanti di sostegno al fine di ottenere un incarico di supplenza presso l’Istituto scolastico. Si pronuncia la Cassazione, respingendo il ricorso della docente, con sentenza 33232/22, di cui richiamiamo alcuni passaggi.

La norma

La riforma di cui al d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75 (c.d. legge Madia) ha inserito nell’art. 55-bis del T.U. n. 165/2001 il comma 9 quater che così prevede: «Per il personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, il procedimento disciplinare per le infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni fino alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per dieci giorni è di competenza del responsabile della struttura in possesso di qualifica dirigenziale e si svolge secondo le disposizioni del presente articolo. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge dinanzi all’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari». Quindi, dopo la riforma Madia, la procedura applicabile alla scuola è quella del citato T.U.

Sull’obbligo della P.A di verificare i requisiti di idoneità dei dipendenti pubblici

Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello non abbia tenuto conto dell’obbligo della P.A. di controllo e verifica dei requisiti di idoneità dei dipendenti pubblici ed abbia omesso di pronunciarsi sulla doglianza di illegittimità del licenziamento per violazione del suddetto obbligo. Sostiene  in sostanza che per cinque anni l’amministrazione scolastica non aveva mai esercitato le attività di controllo e verifica dei requisiti di idoneità e che, quindi non poteva poi ricadere sulla dipendente il ritardo nell’accertamento della falsità del titolo. I giudici affermano che non è sancito in via generale a carico della P.A. un obbligo di controllo e verifica a pena di decadenza. Quindi i controlli si possono effettuare in qualsiasi momento, anche a distanza di anni e se si accertano dei vizi questi produrranno ugualmente i loro effetti.

Sui termini del procedimento disciplinare

Secondo la giurisprudenza della Corte, in tema di procedimento disciplinare, ai fini della decorrenza del termine per la contestazione dell’addebito, assume rilievo esclusivamente il momento in cui l’ufficio competente abbia acquisito una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire l’avvio del procedimento mediante la contestazione, la quale può essere ritenuta tardiva solo qualora la P.A. rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso degli elementi necessari per procedere, sicché il suddetto termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito (così, Cass. 7 aprile 2021, n. 9313; Cass. 13 maggio 2019, n. 12662; Cass. 11 settembre 2018, n. 22075 sulla conoscenza piena da parte dell’UPD si veda anche Cass. 7 maggio 2019, n. 11949 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Si ricorda, altresì, precisa la Cassazione, che solo il termine iniziale e quello finale del procedimento disciplinare sono perentori, mentre quelli endoprocedimentali hanno carattere ordinatorio ancorché debbano essere applicati nel rispetto dei principi di tempestività ed immediatezza (Cass. 14 giugno 2016, n. 12213; Cass. 14 dicembre 2018, n. 32491; Cass.
9 marzo 2022, n. 7642).

Cosa si intende per piena conoscenza dei fatti ai fini dell’avvio del procedimento disciplinare?
Il richiamo alla «piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare» contenuto ora nell’art. 55-bis del d.lgs. n. 165/2001 (come sostituito dall’art. 13, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 75/2015) conferma il sopra ricordato orientamento giurisprudenziale e vale a sottolineare che il termine per l’avvio del procedimento può decorrere in quanto la segnalazione pervenuta all’UPD (ufficio competente a gestire i procedimenti disciplinari), per il tramite del responsabile della struttura o in altro modo, consenta di dare avvio al procedimento e riguardi una notizia, per così dire, “circostanziata”, sulla base della quale sia possibile formulare una contestazione specifica e non generica, posto che la mancanza di specificità dell’atto di incolpazione minerebbe alla base l’intero procedimento. Precisano i giudici che sebbene il tenore letterale della norma sembri riferire la «piena conoscenza» alla sola acquisizione della notizia attraverso mezzi diversi dalla segnalazione ad opera del responsabile della struttura, quest’ultima può far decorrere il termine per la contestazione solo qualora sia dotata di quella specificità necessaria a porre l’amministrazione in grado di dare avvio al procedimento, giacché l’iniziativa disciplinare può essere ritenuta tardiva solo qualora la P.A. rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso di elementi sufficienti per procedere (così Cass. 25 giugno 2018, n. 16706).

Dunque da ciò si desume che una notizia generica e non circostanziata può non essere idonea per determinare l’avvio del procedimento disciplinare.  Ma questo non significa che l’amministrazione debba rimanere inerte, perchè qualora venga a conoscenza di fatti potenzialmente sanzionabili, anche se generici, può avviare una richiesta di chiarimenti, per poi avviare, in base ai riscontri ottenuti, l’eventuale procedimento disciplinare che dovrà concludersi entro 120 giorni.

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