Tagli e spesa pubblica. CGIL, I dati OCSE sull’istruzione ci preoccupano
L’articolata e attendibile ricerca dell’Ocse sui sistemi generali dell’istruzione conferma sostanzialmente l’allarme che ormai da anni la FLC, insieme alle altre organizzazioni sindacali, lancia, quasi sempre inascoltato.
L’analisi della riduzione della spesa pubblica per l’istruzione, sia in relazione al PIL che in termini assoluti, tra il 2008 e il 2014, rilevata dall’Ocse, non solo fa scendere l’Italia agli ultimi posti della classifica mondiale, ma coglie le vere vittime delle politiche economiche di questi anni e dei tentativi di uscita dalla crisi attraverso meccanismi di austerity.
Il sistema dell’istruzione pubblica ha pagato, insieme ad altri settori del welfare e dei servizi, la politica sbagliata dei tagli alla spesa pubblica, mentre si consegnavano miliardi ai privati sotto forma di cunei fiscali e decontribuzioni e non si aggrediva l’enorme evasione fiscale. Ne hanno fatto le spese le istituzioni pubbliche dell’istruzione e della ricerca, dalle primarie alle Università, deprivate e impoverite di risorse; ne hanno fatto le spese i lavoratori della scuola e della conoscenza, i cui salari sono notevolmente al di sotto della media Ocse, mentre la riforma Fornero sulle pensioni, tra le peggiori in Europa, ha determinato una media di età sempre più alta tra i docenti. Ne hanno fatto le spese gli studenti che hanno visto negare dai governi il sacrosanto diritto allo studio e al lavoro sancito dalla Costituzione; sono state colpite le famiglie, la cui spesa privata per i figli a scuola è cresciuta in modo esponenziale, in assenza di risorse per il diritto allo studio.
Ci sembra che anche il governo Renzi non abbia invertito quelle scelte che vanno nella stessa direzione negativa denunciata dall’Ocse: ridurre sempre di più la spesa pubblica invece di investire, nella formazione e nella cultura delle giovani generazioni, nonostante i proclami della propaganda. Le risorse stanziate per la scuola sono positive, ma la legge 107 resta un disastro. Nei prossimi anni non si prevede l’aumento degli investimenti in istruzione e ricerca. Anzi, l’ennesima riduzione. Così non può più andare. Occorre alzare il dibattito pubblico sulla qualità della spesa pubblica e il destino delle nuove generazioni, investendo maggiori risorse in settori strategici come la scuola, l’università, la ricerca, e l’alta formazione.
Solo così si esce dalla crisi, affermando un modello di società che riduca le disuguaglianze e le ingiustizie.