Sviluppare le competenze non cognitive in ambito scolastico, di cosa si tratta. C’è una proposta di legge, ne parliamo con Maurizio Lupi [INTERVISTA]
Da tempo è avviato il dibattito sulla capacità delle istituzioni scolastiche di formare la persona nella sua interezza. Alle competenze già richieste nei percorsi scolastici sta maturando la convinzione di affiancare quelle che vengono identificate come competenze non cognitive, tanto da aver portato alla redazione di un disegno di legge in tal senso. Ne abbiamo parlato con l’Onorevole Maurizio Lupi, presidente dell’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà.
Onorevole Lupi, lei è il primo firmatario della proposta di legge sull’introduzione dello sviluppo delle competenze non cognitive in ambito scolastico. La proposta è supportata dall’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà che vede coinvolti esponenti dei vari schieramenti parlamentari. Cosa vi ha spinto ad elaborare questa proposta di legge di iniziativa parlamentare?
Ci ha spinto la convinzione che educazione e istruzione sono la priorità per un Paese, il primo investimento che la politica e la società devono fare se hanno a cuore la crescita umana dei giovani e la crescita economica del Paese, cioè lo sviluppo, con tutto quello che questa parola implica. Le competenze non cognitive – lo ha dimostrato un premio Nobel per l’Economia, James Heckman – sono decisive sia per la formazione integrale della persona sia per il suo inserimento lavorativo e quindi per il contributo che da adulto darà alla costruzione del bene comune.
Rispetto alla proposta iniziale il testo ha subito diverse modificazioni. Secondo lei il testo finale ha mantenuto fede all’obiettivo che vi eravate prefissati?
Ogni legislatore vorrebbe di più di quel che ottiene, ma la politica è, in senso nobile, l’arte del compromesso. E quello che abbiamo raggiunto tiene conto delle sensibilità di tutti quelli che hanno concorso alla stesura del testo e nello stesso tempo non devia dall’intento iniziale. È stato un compromesso alto.
Voi prevedete di introdurre l’insegnamento delle competenze non cognitive nelle scuole già dal prossimo anno scolastico ed è previsto un percorso di formazione per i docenti. Quali sono gli obiettivi intermedi prefissati prima di arrivare ad una piena padronanza dell’insegnamento delle competenze non cognitive.
Con questa proposta di legge quello che finora era lasciato “al buon cuore” degli insegnanti inizia ad essere un percorso formativo voluto, finanziato, sviluppato e migliorato dal ministero dell’Istruzione. Adesso è un progetto sperimentale della durata di un triennio, ma successivamente e dopo un’attenta valutazione ministeriale, la speranza, che è anche l’intenzione dei promotori, è che diventi un percorso definitivo.
Nell’intervento alla Camera dello scorso novembre lei ha sottolineato l’aspetto che bisogna insegnare agli allievi ad “imparare ad imparare”, poi, citando don Giussani, che “lo scopo dell’educazione è far sì che l’educando agisca da sé e sempre più da sé affronti l’ambiente”. Quanto è importante l’aspetto ambientale nell’educazione delle competenze non cognitive e come si può aiutare i docenti a costruire setting ambientali sempre più performanti.
Nell’educazione interagiscono due libertà, quella dell’educatore e quella dell’educando, ed è quindi sempre un fatto in divenire. La prima condizione perché si attui un processo educativo è che il ragazzo si trovi davanti degli adulti, capaci di una proposta di lettura della realtà. La seconda, secondo me, che questo avvenga in un ambiente favorevole. In questo senso usavo la parola ambiente. Alcuni dicono: una comunità educante. Papa Francesco, citando un proverbio africano, dice che “per educare un giovane ci vuole un intero villaggio”. È in questo contesto che si inserisce l’importanza didattica delle competenze non cognitive come la coscienziosità, la perseveranza, la capacità di lavorare in gruppo, l’orientamento agli obiettivi, il saper prendere decisioni… che si comunicano e si educano più per osmosi che con definizioni, si attingono da un humus fatto di relazioni, esperimenti, tentativi. L’ambiente non sostituisce mai la responsabilità personale, ma è importantissimo nel sollecitarla ed educarla, cioè nel farla emergere coscientemente.
Un’ultima domanda. NEET, dispersione scolastica e povertà educativa sono gli obiettivi che vi siete prefissati di contrastare. La pandemia ha inoltre acuito difficoltà e sofferenze nei giovani come da tempo stanno evidenziando diversi esperti. Imparare a conoscersi meglio e a relazionarsi con gli altri può essere un elemento importante per aiutare i ragazzi a crescere meglio e più consapevoli delle proprie capacità?
Il problema dei NEET chiama in causa la questione fondamentale dell’orientamento, soprattutto nel passaggio dalle scuole medie alle superiori, e nel quale è inevitabilmente coinvolta la conoscenza di sé del ragazzo, ma anche la considerazione delle sue attitudini e delle sue aspirazioni da parte delle famiglie. L’orientamento è un processo che dovrebbe durare tutti e tre gli anni della scuola media inferiore e coinvolgere, oltre agli insegnanti e alle famiglie, soggetti esterni alla scuola. La maggior parte degli abbandoni avviene nei primi due anni delle superiori, spesso per una scelta poco riflessa. La liceizzazione della nostra scuola non aiuta e porta le famiglie a considerare come minori altre scelte. L’Italia ha avuto una grande istruzione tecnica e professionale, il vero segreto del nostro boom, che ha una dignità culturale da riscoprire e da rilanciare.