“Supporto agli studenti con difficoltà integrando personale specializzato, il nostro progetto inclusivo”, ecco cosa facciamo: INTERVISTA alla Dirigente Maria Venuti

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Per una scuola sempre più inclusiva è necessaria una formazione continua e un’organizzazione scolastica sempre aggiornata, ma tra i tanti impegni burocratici a cui il mondo della scuola è sottoposto, è possibile riuscire a raggiungere questi obiettivi? Ne abbiamo parlato con Maria Venuti, Dirigente Scolastico dell’Istituto di Istruzione Superiore “San Benedetto” di Cassino.

Professoressa Venuti, lei dirige un Istituto molto complesso che ha diversi indirizzi di formazione, alberghiero nelle articolazioni di enogastronomia, sala e vendita e accoglienza turistica, moda made in Italy, servizi per la sanità e l’assistenza sociale, manutenzione e assistenza tecnica, il corso serale e avete anche una sezione nella locale casa circondariale. Per riuscire a seguire l’eterogeneità degli alunni a cui vi rivolgete è importante una formazione continua di tutto il personale, docente e non. Voi come vi siete organizzati per raggiungere questo obiettivo?

Ha detto bene, questa è una scuola molto complessa, inteso nell’accezione sociologica del termine. È una scuola articolata che richiede un’organizzazione capillare all’interno, richiede la strutturazione di un organigramma preciso in cui ci sia una differenziazione dei ruoli molto ben definita. La formazione in tutto questo, ma questo discorso vale per tutte le scuole, è un’opportunità, un dovere/diritto di tutto il personale, siano essi docenti, personale amministrativo, personale tecnico o collaboratori scolastici, ognuno per quanto riguarda le proprie mansioni e i compiti che si vanno a svolgere. In questa scuola la formazione è uno degli elementi su cui puntiamo principalmente.

Come dicevamo vale per tutte le scuole, perché la scuola è un sistema complesso ma è anche un sistema aperto, quindi in continua interazione con l’ambiente circostante dal quale riceve informazioni e al quale deve restituire, quindi è un’interazione continua all’interno di una realtà sociale e culturale che come ben sappiamo è in continuo movimento. Bauman parla di realtà fluide, di situazioni mutevoli, e la scuola deve essere pronta a rispondere ai cambiamenti della società, per questo dobbiamo essere capaci di avere la nostra “valigetta degli attrezzi” sempre ben attrezzata, essere consapevoli del lavoro che stiamo facendo, dobbiamo lavorare per essere innanzitutto, tutti all’interno della scuola, dei bravi educatori, partendo dal Dirigente Scolastico ovviamente.

Nella nostra scuola il contesto, l’ambito, prettamente formativo si struttura a partire da due elementi che si combinano perfettamente l’uno all’altro, per cui se da una lato c’è una richiesta da parte dei docenti, quindi la volontà dell’Istituzione di rispondere ai bisogni formativi dei docenti, dall’altra parte altri percorsi formativi partono dalla nostra autovalutazione che attraverso un’analisi SWOT interna ci permette di individuare quali sono i nostri punti di forza e le nostre criticità, quali sono le opportunità del contesto circostante e quali sono le minacce dello stesso contesto. In questo modo riusciamo a strutturare percorsi che siano calibrati sulle nostre esigenze, dobbiamo essere capaci a rispondere ai bisogni dei nostri studenti, perché il lavoro principale è quello di creare all’interno della scuola un clima che sia favorevole al benessere di ognuno e di tutti, affinché tutti insieme, perché è la comunità che deve muoversi, riusciamo ad aumentare, migliorare, potenziare il livello qualitativo della vita dei nostri studenti nel rispetto della loro provenienza, del loro background, nel rispetto delle loro caratteristiche e delle loro peculiarità. Devo dire che la risposta da parte del personale ai percorsi formativi ad oggi è stata eccellente, l’ultimo percorso formativo lo abbiamo svolto fino agli inizi di luglio sui temi legati all’ADHD e agli alunni con bisogni educativi speciali, ma accanto a questo ci sono anche dei percorsi più specifici.

La formazione non deve essere necessariamente un percorso standardizzato per tutti i docenti e tutti devono partecipare agli stessi percorsi, ci possono essere anche percorsi che più che formazione in termini stretti sia una sorta di aggiornamento interno in termini di peer to peer, quindi se un docente partecipa a percorsi formativi esterni e vuole poi far sì che i propri colleghi possano usufruire di questo nuovo materiale intellettuale che è riuscito a raccogliere, si organizzano percorsi a piccoli gruppi, come piccoli gruppi classe o piccoli consigli di classe, oppure all’interno dei dipartimenti, quindi è un ambito articolato, diversificato. Ritengo sia importante affrontare tematiche anche di carattere basilari, perché prima di parlare di qualsiasi formazione specialistica dobbiamo lavorare su concetti base legati al mondo educativo, per riuscire veramente ad educare, a educere.

Ad esempio si può lavorare sulla psicologia umanistica, volendo riprendere il pensiero di Rogers, oppure lavorare sul concetto di empatia, di pensiero divergente, sulla creatività, sull’intelligenza emotiva, perché solo creando una relazione educativa forte, importante, vera, è possibile far sì che gli studenti apprendano, soprattutto in un contesto come il nostro, che è un contesto di una scuola di frontiera, la definirei così perché è un istituto professionale.

Un lavoro importante che abbiamo svolto con i nostri studenti della casa circondariale, con gli adulti del serale, con i ragazzi che frequentano i corsi diurni standard e che magari provengono da contesti socio-culturali particolari, ma anche i ragazzi che hanno dei percorsi diversificati in termini di plusdotazione. Quindi è importante riuscire ad avere una lucidità in termini sistemici, organizzare dei percorsi diversificati, organizzare dei percorsi che non siano calati dall’alto ma che nascano dai bisogni formativi dei docenti e che rispondano al nostro rapporto di autovalutazione, ovvero cosa stiamo sbagliano e cosa stiamo facendo molto bene.

Nel vostro istituto avete potenziato il supporto agli studenti con difficoltà mediante l’integrazione con personale dell’assistenza specialistica. Quanto è importante questa figura e come si integra con il personale docente sia di sostegno che delle discipline curricolari?

C’è un proverbio africano che dice che per crescere un bambino è necessario un intero villaggio. La scuola non può, per dirla alla Anna Arendt, avere la pretesa di essere il mondo, ma lo rappresenta. I ragazzi devono imparare ad avere a che fare con figure differenti che ruotano intorno a loro favorendo la loro crescita. In questo momento siamo in una fase di riavvio dell’assistenza specialistica per la quale fino ad oggi, devo dire, c’è stata una collaborazione eccellente con la partecipazione ai viaggi d’istruzione, alle uscite didattiche, ai progetti anche extracurricolari, con un supporto importante all’interno del gruppo classe non solo per i ragazzi con disabilità ma necessariamente anche per tutti gli altri.

L’assistente entra in gioco non a supporto del lavoro del docente, ma entra in gioco a supporto di un bisogno d’inclusione da parte dei ragazzi con disabilità lavorando inevitabilmente sugli altri, perché se l’inclusione è necessaria è fondamentale per i ragazzi disabili, lo è allo stesso modo per quelli che potremmo definire normodotati, anche se questo termine a me personalmente piace poco, ma è così.

Oggi sentiamo tanto parlare di situazioni anche molto forti da parte dei ragazzi, pensiamo anche a questi ultimi avvenimenti accaduti, in questo caso la scuola ha un ruolo fondamentale insieme alla famiglia, perché se si lavora sul concetto di inclusione si lavora necessariamente sul concetto di diritto e riconoscimento dell’altro, di avvicinamento alle esigenze dell’altro e in questo il ruolo dell’assistente è fondamentale, perché è un ruolo quasi esclusivamente educativo, quindi a supporto di un approccio di gruppo che diventa fondamentale per i ragazzi disabili ma che lo è anche per gli altri. Devo dire che abbiamo fatto dei validi progetti con gli assistenti, trovando all’interno di quel gruppo delle specificità come l’assistente musicista, che ha supportato la band musicale dell’Istituto di cui fanno parte anche e soprattutto ragazzi con disabilità, perché la scuola è luogo di apprendimento ma deve essere anche, e soprattutto, luogo di inclusione e di divertimento, perché solo attraverso la gioia si riesce ad apprendere veramente.

Negli Istituti professionali si registra un elevato numero di ragazzi con bisogni educativi speciali e disturbi specifici dell’apprendimento. Quanto è complicata la gestione della classe in queste condizioni?

La gestione della classe è complessa, non complicata, è articolata. Come per il discorso che facevamo all’inizio di questa intervista, bisogna capire bene qual è il percorso che dobbiamo intraprendere, perché la gestione della classe non è un problema del singolo docente, non è un problema del singolo consiglio di classe, ma è una questione che interessa tutto il sistema e quindi, a mio avviso, intanto è importante fin dall’inizio dell’anno scolastico riconoscere figure che si occupano di questo, in collaborazione con lo sportello piscologico, ad esempio, ed in collaborazione con soggetti anche esterni alla scuola, perché se un gruppo è difficile e complesso da gestire, devono entrare in gioco più forze: i docenti, lo psicologo scolastico e tutti quei soggetti con cui la scuola è in rete e che a vario titolo concorrono alla crescita dei singoli studenti.

Noi, a tal proposito, cerchiamo di organizzare anche le attività curricolari, quindi legate alle discipline specifiche, in modalità differente utilizzando in molti momenti della giornata scolastica delle metodologie didattiche innovative. Sicuramente prima di tutte la Cooperative Learning, quindi lavorare su una modalità di apprendimento che sia partecipata e interattiva, che non è sempre facilissima ma, anche grazie al supporto delle nuove tecnologie, riusciamo a fare un lavoro decisamente importante che ci porta poi a degli ottimi risultati.

Il nostro Istituto è anche agevolato dalle attività laboratoriali dove il gruppo diventa una squadra vera e propria, con ruoli e mansioni differenti, e tante volte quel lavoro ha anche delle ottime ripercussioni su materie dell’asse generale. Credo che la gestione della classe può risultare complessa all’interno di quasi tutti gli Istituti, perché complessa è la realtà da cui i ragazzi provengono, quindi riuscire a lavorare bene sul gruppo diventa fondamentale e per lavorare bene sul gruppo studenti bisogna lavorare sul gruppo docenti.

Ciò vuol dire che quel gruppo deve essere un gruppo reale, un gruppo di supporto reciproco con, come dicevamo prima, una valigetta degli strumenti ben attrezzata e bisogna sicuramente partire, a mio avviso, dal concetto di empatia, cercare di capire perché quella classe è complessa, perché quel ragazzo non è di facile gestione, perché è oppositivo, perché quel gruppo non riesce a diventare tale, quindi conoscere e analizzare le dinamiche di gruppo per riuscire in qualche modo a veicolarle e a creare un buon setting, un clima emotivo che agevoli l’apprendimento, quindi il cooperative learning diventa fondamentale così come il tutoring e il peer to peer.

Chiudiamo con un’ultima domanda. Per far fronte alla realtà che abbiamo appena descritto è importante avere una progettualità inclusiva. Ci spiega come vi siete organizzati e quanto è importante avere questo tipo di approccio?

Penso che le progettualità legate all’inclusione siano fondamentali in tutte le scuole e in modo particolare in un Istituto professionale. Le nostre progettualità, curricolari ed extracurricolari, si muovono sempre in una modalità ibrida e poliedrica, cioè non esistono, ad esempio, progetti per i ragazzi disabili, ma esistono progetti in cui ci sia un approccio diversificato anche all’interno delle attività extracurricolari. L’inclusione diventa importante all’interno di progetti in cui ci sono ragazzi con disabilità, ragazzi con generali bisogni educativi speciali, ragazzi stranieri affinché, come dicevamo prima richiamando la psicologia umanistica di Rogers, ognuno sia considerato e si senta una risorsa.

Bisogna, all’interno delle progettualità specifiche, far diventare ognuno protagonista. Penso, ad esempio, ai progetti che portiamo avanti di alternanza scuola-lavoro, il famoso PCTO, riuscire a strutturare dei progetti individuali che siano calibrati sulle peculiarità e le caratteristiche dello studente, anche disabile, ma contemporaneamente lavorare con un gruppo di docenti su un gruppo di studenti e devo dire che lo scorso anno scolastico abbiamo portato avanti dei progetti molto interessanti che hanno aumentato il nostro livello di inclusività. Questo ha portato ad una risposta positiva dei genitori in termini di customer satisfaction, devo dire che tante progettualità sono state profondamente apprezzate dai genitori proprio perché, al di là dei tecnicismi, delle specializzazioni, del sapere specifico, sono riuscite a creare un ottimo livello di inclusione.

Penso ai progetti dei nostri vari indirizzi a partire da quello Moda per arrivare all’Alberghiero e all’indirizzo Meccanica. Credo che all’interno delle progettualità, sia curricolari che non curricolari, quello che bisogna essere abili a fare è creare un ambiente tale che ogni studente, con le proprie caratteristiche, si senta attore protagonista, attore agente, e ci sia da parte dei docenti una consapevolezza educativa, che purtroppo oggi al di fuori della scuola potrebbe perdersi, quali adulti di riferimento che conoscono bene il percorso di inclusione e che aiutino i ragazzi a riconoscere l’altro e a rispettarlo nella sua diversità, tenendo presente che la diversità non è un luogo comune ma è assolutamente sempre un punto di forza e sempre un arricchimento. In questo la nostra scuola è agevolata perché all’interno dei vari gruppi classe ci sono tanti ragazzi con disabilità, ragazzi stranieri e tanti ragazzi che hanno diversi bisogni educativi speciali, l’inclusione è quasi un processo naturale, o meglio sembra un processo naturale, ma alla base c’è una struttura sistemica importante che parte dal Dirigente, dalle funzioni strumentali sull’inclusione, dalla rete sull’inclusione, e noi siamo capofila di una rete che si chiama “La forza dell’inclusione”.

In questa rete troviamo lo scambio delle buone prassi relativamente alle progettualità, perché, ritornando al concetto di formazione, al di là delle teorie quello di cui il personale, soprattutto docente, ha bisogno è confrontarsi con realtà differenti, scambiare le esperienze lavorative, creare una scuola e un confronto sulle buone prassi e anche diventando soggetti esportatori delle buone prassi come nel caso dei nostri progetti sull’inclusione, ad esempio penso alla nostra band musicale dell’Istituto, dove il tutto, anche in maniera molto ironica e semplice, porta tanti ragazzi con disabilità a sentirsi realmente protagonisti.

Quindi quel famoso concetto di empowerment, di appropriazione del contesto scolastico da parte degli studenti, diventa un elemento che viaggia all’interno delle nostre classi in maniera molto naturale e devo dire che in questo il personale risponde in maniera eccellente alle sollecitazioni che io o il mio staff riusciamo a portare avanti. L’importante è avere ben chiaro un obiettivo, che è un obiettivo alto e che ci fa superare, a mio avviso, tutte le difficoltà burocratiche delle autonomie scolastiche, che è quello di pensare al miglioramento della qualità della vita dei nostri studenti e per fare questo i nostri studenti dobbiamo conoscerli e dobbiamo conoscerli bene.

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