Supplenze ottenute dichiarando titoli falsi: il docente deve restituire gli stipendi percepiti? La Corte dei Conti fornisce un nuovo orientamento
La Procura regionale competente per territorio citava in giudizio un collaboratore scolastico che, a seguito della segnalazione del Dirigente Scolastico, era emerso che aveva ottenuto mediante false dichiarazioni sia incarichi di supplenza presso diversi Istituti Scolastici, sia l’immissione nei ruoli del personale scolastico, percependo conseguentemente un indebito trattamento economico connesso allo svolgimento delle prestazioni del profilo professionale di collaboratore scolastico. Vediamo come si pronuncia con Sentenza n.97/2024 Corte dei Conti per la Lombardia proponendo un orientamento innovativo rispetto al passato.
La questione
La fattispecie sottoposta al Collegio concerne un ipotizzato danno erariale da indebita percezione di trattamento economico connesso allo svolgimento da parte di un collaboratore scolastico con qualifica di ruolo ottenuta però (al pari di pregresse supplenze) sulla base di false dichiarazioni sul titolo di studio necessario, ovvero sul possesso del diploma di “operatore di ristorazione – settore cucina” asseritamente conseguito presso una scuola, in realtà mai conseguito. La difesa del convenuto, osserva la Corte dei Conti, non contesta tale assenza di titolo.
Gli orientamenti costanti sui titoli di accesso nella PA e falsa attestazione
Su tale ricorrente questione, la costante e consolidata giurisprudenza della Corte è sempre stata univoca nel ribadire che, nell’ipotesi di accesso a posti di impiego pubblico conseguito mediante la falsa attestazione del possesso del titolo di studio richiesto, si versa in una fattispecie di illiceità della causa che, ai sensi dell’art. 2126, primo comma, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto di lavoro, stante il contrasto con norme fondamentali e generali e con i basilari principi pubblicistici dell’ordinamento (cfr. Corte Cost. n. 296/1990). Pertanto, secondo tale indirizzo giuscontabile, la prestazione lavorativa resa in assenza del titolo prescritto e dichiarato, essendo non espressiva della capacità derivante dalla preparazione professionale conseguita con regolare percorso di studi, non arreca all’ente pubblico alcuna utilità ex art.1, co. l-bis, n.20/1994 e determina il venir meno del rapporto sinallagmatico tra prestazione e retribuzione, a nulla rilevando la circostanza che agli emolumenti percepiti abbiano corrisposto prestazioni effettivamente svolte (cfr., ex pluribus, C.conti, sez.Lombardia 7.5.2024 n.76; id. n. 263/2022 e n. 138/2023, nonché id., sez. App. Sicilia, n. 243/2012 e n. 469/2014; sez. I App. n. 527/2017; Sez. II App. n. 568/2018; Sez. Toscana n. 463/2021; Sez. Molise, n. 2 e n. 13/2023; Sez. Emilia-Romagna n. 199/2022 e n. 19/2023).
Il nuovo orientamento della Corte dei Conti sulla prestazione lavorativa resa in assenza di titolo
Ad avviso del Collegio, tale approdo giuscontabile, andrebbe in via generale rimeditato. Dopo aver richiamato diverse sentenze e precetti normativi conclude che sia l’ampia dizione dell’art.1, co. l-bis, n.20/1994, lex specialis rispetto all’art.2126 c.c., sia la applicabilità di questa stessa norma che impone il pagamento delle prestazioni di fatto salvo che le parti, congiuntamente e pariteticamente, si siano codeterminate ad un contratto causalmente illecito “in senso forte”, cioè in contrasto con norme generali e fondamentali e con principi basilari dell’ordinamento, portano, sulla scorta della miglior giurisprudenza civile, ad un superamento del tralaticio indirizzo giuscontabile ostativo in materia, quanto meno a fronte di prestazione routinarie che non richiedono titoli di elevata specializzazione. Per tradurla con linguaggio comprensibile dai comuni mortali, in sostanza si apre al riconoscimento della retribuzione anche in caso di attività resa in assenza di titolo purchè trattasi di attività non altamente qualificate.
Nel caso in commento anche se è innegabile che un titolo con votazione più bassa (60/100 del titolo veritiero predetto, invece dei 100/100 dichiarati sulla base di altro titolo falso) non avrebbe forse consentito al CS di entrare in graduatoria ed ottenere prima le supplenze e poi lo stabile rapporto lavorativo di collaboratore, tuttavia l’oggettivo conseguimento di un titolo, astrattamente e concretamente, idoneo a svolgere le mansioni minimali di collaboratore amministrativo (che, secondo il CCNL di Comparto, si traducono in mera accoglienza e vigilanza generica degli alunni e pulizia dei locali) portano il Collegio a valutare come utili le mansioni svolte dal convenuto nelle Istituzioni scolastiche ove ha lavorato. Né parte attrice, né la PA datrice di lavoro hanno del resto dato prova, come loro onere, del mancato o minor vantaggio derivante dalla prestazione resa dal convenuto. In altre parole, ferma restando la valenza penale, disciplinare e civile (per evidenti danni arrecati ai soggetti scavalcati e pretermessi dalle supplenze e dagli incarichi sulla base di titolo falso del convenuto) della condotta mendace del CS, sotto il diverso profilo amministrativo-contabile, l’aver conseguito un titolo idoneo comunque alle mansioni minimali proficuamente svolte presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito, rendono ben considerabili come “vantaggio” reso alla PA ed alla comunità amministrata ex art.1, co. l-bis, n.20/1994 le mansioni svolte dal convenuto e rendono quindi leciti ex art.2126 c.c. e non forieri di danno erariale gli esborsi stipendiali a favore dello Zelante.
I criteri della Cortei dei Conti per valutare l’utilità del lavoro prestato e l’assenza del titolo idoneo
Dunque se si possiede un titolo inferiore rispetto a quello previsto si può riconoscere l’utilità del lavoro prestato invece, osserva la Corte, in altre evenienze connotate da assoluta mancanza del titolo o dal possesso di altro titolo “reale” diverso da quello “falso” prodotto per ottenere un pubblico impiego, dovrà comunque valutarsi da parte di questa Corte:
a) la piena fungibilità dei titoli in relazione alla tipologia di incarico svolto (tale fungibilità è difatti di più difficile ipotizzabilità a fronte di prestazioni altamente specialistiche: es. sanitarie o tecniche);
b) se la totale assenza o la minor qualità (es. nel voto di laurea o nel curriculum) del titolo realmente conseguito rispetto a quello falso dichiarato porti ad un vantaggio o ad un vantaggio “minore” a favore della PA o della comunità amministrata rispetto alla erogazione stipendiale riconosciuta per quella qualifica, con conseguente scomputo della differenza da qualificare come danno erariale.
Ma nel caso in esame tali parametri valutativi portano a ritenere che le semplici mansioni di collaboratore amministrativo in una Istituzione scolastica potevano essere svolte adeguatamente per la PA sia con un diploma ottenuto con 60/100, sia con un diploma ottenuto con 100/100. E manca, come detto, una prova in atti di una cattiva o inadeguata resa lavorativa del convenuto.