Supplente dal 2012 fa causa al Ministero e vince: “Solo in Italia si sfruttano i precari per coprire il deficit permanente di personale”
Su Il Corriere della Sera si riporta uno dei casi in cui un docente precario vince il ricorso contro il Ministero, che dovrà versare al supplente le retribuzioni arretrate.
Dal 2012 l’insegnante di discipline scientifiche ha prestato servizio in diverse scuole della provincia di Venezia e così ha deciso di fare causa al Ministero, che secondo il Tribunale di Venezia dovrà così risarcire l’insegnante per le retribuzioni arretrate, con il riconoscimento degli scatti di anzianità.
Il docente lamenta infatti che la sua situazione da precario comporta la mancata possibilità di aumentare lo stipendio.
Le richieste dell’insegnante sono state dunque accolte dal tribunale civile di Venezia, che, per quanto riguarda gli accrediti degli importi sulla carta docente, il giudice ha stabilito che la richiesta del docente fosse prescritta fino all’anno scolastico 2017-2018, riconoscendo invece la pretesa per gli anni scolastici successivi, così come per la retribuzione professionale. Inoltre, il giudice ha riconosciuto gli scatti di anzianità professionale effettivi di lavoro.
Il docente in questione commenta la sentenza: “Solo in Italia la scuola pubblica ricorre alla precarietà del lavoro per coprire il deficit permanente di personale. Ai docenti che sono dietro la cattedra da anni si chiede di vincere un concorso per vedersi riconosciuti i i propri diritti di lavoratori ed essere, finalmente, assunti. In pratica, fanno pilotare un aereo per 10 anni ad una persona senza patente e poi chiedono di fare l’esame per prenderla. Una contraddizione per cui anche la Corte europea ha sanzionato il nostro Paese proprio perché, dopo 3 anni di contratto a termine, il lavoratore dovrebbe essere stabilizzato”.
“Agirò – aggiunge – affinché mi venga riconosciuta l’abilitazione senza che lo debba fare a mie spese, visto che il lavoro lo sto svolgendo da molto tempo. Noi storici precari non possiamo continuare a subire tutto questo, non è una questione economica ma ne vale la nostra dignità professionale”.