Superare gli stereotipi, le ragazze e la fisica quantistica, un binomio possibile: “Esorcizzare la paura e il rifiuto della matematica”. INTERVISTA a Anna Parisi e Valentina Schettini

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La fisica quantistica emerge come una frontiera affascinante ma spesso considerata inaccessibile ai più. Le esperte Anna Parisi e Valentina Schettini, in un’intervista a Orizzonte Scuola, ci guidano attraverso le complessità e le opportunità offerte dall’insegnamento di questa disciplina rivoluzionaria.

Le due studiose, autrici di un libro “QUANTI QUANTI? La fisica quantistica per tutti (ed. Salani), mirano rendere la fisica quantistica comprensibile a un vasto pubblico, affrontano questioni cruciali: come rendere accessibili concetti scientifici complessi, le sfide nell’insegnamento di materie che sfidano l’intuizione comune, e l’importanza di promuovere un approccio collaborativo nell’apprendimento scientifico.

Attraverso le loro risposte, Parisi e Schettini offrono spunti preziosi per educatori, studenti e genitori, sottolineando come la comprensione della fisica quantistica non sia solo una questione di formule e concetti, ma una chiave per aprire nuove prospettive sul mondo che ci circonda.

Il vostro libro sembra voler rendere la fisica quantistica accessibile a tutti. Quanto è importante, secondo voi, trovare nuovi linguaggi e metodi per insegnare materie scientifiche complesse anche a chi non possiede un background specifico?

AP: “Per imparare materie complesse (scientifiche o non) c’è una sola strada: bisogna studiare, e studiare tanto. Dietro ogni materia complessa, però, ci sono delle idee generali e su queste idee si fonda la cultura di un’epoca, e non appartengono solo a chi ha un background specifico. Basti pensare alla rivoluzione culturale generata dall’eliocentrismo, in cui l’essere umano è stato scalzato dal centro dell’universo per ritrovarsi abitante di uno delle miriadi di pianeti vaganti nel vuoto cosmico. La rivoluzione quantistica ci indica la necessità di abbandonare una descrizione deterministica della natura. Questa frase, detta così, ha poco senso e dobbiamo capire da dove nasce l’esigenza di cambiare modello culturale. Il metodo che noi abbiamo scelto per spiegarla è stato quello di ripercorrere la storia delle idee e degli esperimenti che hanno portato alla nascita della meccanica quantistica. Pensiamo che questo metodo aiuti a seguire l’evoluzione delle idee e il lettore non si trovi costretto ad accettare “verità” calate dall’alto alle quali bisogna credere senza capire”.

VS: “Al di fuori del percorso scolastico, insegnarle davvero è quasi impossibile. Quello che è però possibile, e doveroso per colmare una grossa lacuna nella cultura condivisa, è far conoscere queste materie e far appassionare il grande pubblico alle scoperte più importanti; questo è il ruolo della divulgazione, ben diverso da quello della didattica scolastica o universitaria. Non è necessario che tutti sappiano scrivere o svolgere un’equazione, ma è importante sapere che esistono questi strumenti, da quelli più teorici a quelli sperimentali, per fare calcoli e mettere alla prova il comportamento della materia. E bisogna impegnarsi nel proporre una varietà di input: una lettura divulgativa (come il nostro libro), una mostra che illustri i passaggi storici, una visita in un vero laboratorio di fisica, uno spettacolo teatrale dove poter rivivere le vicende personali degli scienziati… La scienza può e deve usare qualsiasi linguaggio comunicativo, anche dell’intrattenimento, perché non sappiamo quale specifico linguaggio andrà a colpire le orecchie e l’immaginazione della singola persona; bisogna moltiplicare e diversificare le proposte”.

Quali sono le sfide principali nell’insegnamento della fisica quantistica, una materia che spesso sfida l’intuizione e il senso comune?

AP: “Penso che il motivo principale per il quale la meccanica quantistica ci risulta ostica è che è il concetto stesso di probabilità a risultare ostico. Il nostro cervello si rifiuta di capire che dopo 50 volte in cui lanciando una moneta abbiamo ottenuto testa, la 51esima volta è sempre equiprobabile che esca ancora testa. Anche perché la “legge dei grandi numeri” ci assicura che al crescere del numero dei lanci i due risultati tenderanno a essere uguali. Quale delle due leggi è vera? Sembrano contraddirsi. Ogni piccolissimo pezzetto di materia, così come ogni raggio di luce, è formato da un numero talmente elevato di particelle elementari che studiando il loro comportamento ci troviamo sempre in regioni in cui vale la legge dei grandi numeri e il loro comportamento, quindi, sembra deterministico. Entrando però dentro la materia, o guardando ai singoli fotoni, ci rendiamo conto del comportamento probabilistico delle singole particelle e partendo da questo ci accorgiamo che dobbiamo aggiungere il concetto di probabilità se vogliamo capire la fisica elementare”.

VS: “Individuo tre gruppi di difficoltà. Uno risiede addirittura nel suo pregio, cioè la sua portata rivoluzionaria. È difficile far capire in cosa esattamente è stata rivoluzionaria la meccanica quantistica, perché si rischia di far venire il dubbio, al lettore inesperto di scienza, che allora tutto quello che si sapeva prima del Novecento “non valga più” e che la fisica classica fosse già “troppo” difficile di per sé, figuriamoci questa “nuova”. Il risultato è di far allontanare chi ci legge o ascolta, non di incuriosirlo. Un’altra difficoltà è nella mancanza di un apparato grafico, diciamo di immagini che possiamo proporre. Per chi si appassiona a fotografie o visualizzazioni dettagliate è molto difficile proporre immagini interessanti. Chi non è rimasto affascinato da bambino dalle fotografie di galassie lontane o dalla semplice scia di una cometa? Come possiamo fare lo stesso con gli atomi, o con un laboratorio di ottica quantistica? La terza difficoltà a cui possiamo pensare è nel suo formalismo. La sua bellezza, e di nuovo, portata rivoluzionaria, è proprio in una riscrittura sostanziale delle equazioni che descrivono la materia: quanto di questo formalismo possiamo condividere con un pubblico che in maggioranza mal sopporta, se non rifiuta completamente, il linguaggio matematico? Noi non abbiamo avuto paura di inserire qualche equazione nel libro, non perché il lettore dovrà poi memorizzarle o svolgerle, ma perché possa venire a conoscenza della loro esistenza, di quello che contengono e di quello a cui servono. Bisogna esorcizzare la paura e il rifiuto della matematica. Come una semplice ricetta di un dolce, potrò non sapere tutti i passaggi, ma riconoscere gli ingredienti sì, per poi godermi appieno la sua bontà”.

Come si può rendere l’apprendimento della fisica quantistica più coinvolgente e stimolante per gli studenti, andando oltre la semplice memorizzazione di formule e concetti?

AP: “Penso sempre che il metodo di apprendimento più coinvolgente sia quello di presentare delle domande e ragionare con l’interlocutore per trovare una risposta. Questo per altro è il metodo che effettivamente viene seguito nelle attività di ricerca. Risolvere un problema è di per sé un’attività stimolante. Su questo approccio si fondano tutti i giochi, dagli antichi scacchi ai modernissimi video games: risolvere problemi è una cosa che ci diverte! Penso quindi che non sia necessario rendere divertente una materia, ma invitare i ragazzi a ragionare, stimolarli a risolvere il problema e non fornire loro una risposta calata dall’alto”.

VS: “Per esempio dai suoi due estremi: da una parte raccontando i protagonisti che con passione e testardaggine ne hanno capito i concetti chiave, e dunque sottolineare lo sforzo umano che c’è dietro, e dall’altra illustrare le grandi applicazioni tecnologiche a cui siamo arrivati, con le ricadute nei nostri gesti di tutti i giorni”.

Il libro sottolinea l’aspetto collaborativo della ricerca scientifica. Come si può promuovere un approccio simile nell’insegnamento, incoraggiando gli studenti a lavorare insieme e a confrontarsi su temi scientifici complessi?

AP: “Un’idea potrebbe essere quella di fare affrontare ai ragazzi un problema di fisica discutendone insieme in classe senza prima aver spiegato niente. Si può iniziare da domande facili come ad esempio invitare gli studenti a trovare il modo di capire quale può essere la forma della Terra. Senza dare niente per scontato e lasciando ognuno libero di esprimersi giustificando le sue affermazioni. Oppure provare a rispondere insieme a domande del tipo: “Che cosa è il calore?” e quali esperimenti posso fare per cercare di capirlo. È importante lasciare sviluppare anche idee oggi considerate sbagliate e vedere se ragionando tra di loro troveranno il motivo per il quale queste idee debbano essere scartate. In questo processo collaborativo non è detto che “il più bravo” sia anche “il più creativo”, e magari qualcuno che non ama il pensiero troppo astratto potrebbe rivelarsi un ottimo sperimentatore”.

VS: “Invitando gli studenti a lavorare in gruppo sugli approfondimenti ma non chiedendo loro di contribuire equamente in ogni fase della ricerca, ma spronandoli a dare il loro personale e peculiare contributo in ciò che gli riesce meglio – che sia nella raccolta di informazioni, nell’astrazione teorica, nella pianificazione e realizzazione di un esperimento, nella produzione della sintesi, fino alla presentazione al pubblico – per far capire loro che ognuno con i propri talenti e il proprio carisma può fare la differenza in fasi specifiche del lavoro di ricerca, che è più ampio e variegato di quanto si pensi”.

La fisica quantistica ha portato a innovazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato la nostra vita. Quanto è importante, secondo voi, investire nell’insegnamento delle materie STEM per preparare le nuove generazioni alle sfide del futuro?

AP: “Oggi molti dicono che per vincere le sfide del futuro servirà un modo di ragionare critico, aperto al cambiamento, capace di affrontare situazioni sempre nuove e non aver paura di compiere errori. Servirà imparare a collaborare, a confrontarsi, a mettere insieme le nostre competenze perché nessuno ha più le conoscenze necessarie per risolvere un qualsiasi problema, anche banale. Sicuramente lo studio delle materie STEM può aiutare a formare queste capacità, ma penso che lo stesso risultato si possa raggiungere con ogni altro studio. Però le idee di base della cultura scientifica devono diventare patrimonio condiviso. Così come penso sia importante che un fisico legga libri di letteratura, ascolti musica, frequenti teatri, sale cinematografiche o musei, così penso che un umanista debba conoscere le idee che sono alla base della nostra conoscenza della natura. Le idee scientifiche, come ogni altra idea culturale, non possono essere appannaggio degli specialisti del settore”.

VS: “Non c’è sfida attuale che non coinvolga le materie scientifiche, e in generale l’approccio e la mentalità che lo studio delle materie STEM può dare agli studenti si dimostrano efficaci se applicati davvero a qualsiasi argomento. Spesso si sente dire che le ragazze sono meno portate per le materie scientifiche”.

Oltre alle competenze tecniche, quali sono le altre abilità che gli studenti possono sviluppare attraverso lo studio delle materie STEM?

AP: “Chiaramente noi stiamo ancora subendo le conseguenze del fatto che, almeno fino al secolo scorso, ma probabilmente anche adesso, le ragazze smettevano gli studi ben prima dei loro coetanei maschi e studiando poco non potevano certo raggiungere la competenza richiesta. Non studiare non vuol dire non essere portate, infatti le poche donne che avevano accesso alle università si sono dimostrate in genere molto brave come ricercatrici. Oggi alcuni dei più grandi laboratori del mondo sono diretti da donne, come Fabiola Gianotti al CERN o Anna Grassellino al FermiLab, e penso che parlare di questi esempi possa aiutare le studentesse a prendere fiducia in loro stesse. A mio parere, la competenza in assoluto più importante che si acquista studiando le materie STEM è quella di imparare a risolvere i problemi. Tutto il resto si trova sui libri oppure online, ma risolvere i problemi si impara giorno dopo giorno e nessuno te lo può insegnare in astratto, perché bisogna trovarsi sul campo e avere la necessità di risolverli per ottenere qualche risultato”.

VS: “La materia in sé è appassionante e assolutamente avvicinabile da chiunque, non ci sono differenze in questo. Perché la curiosità e la voglia di capire “come funzionano le cose” definiscono l’essere umano nella tua interezza, senza distinzioni. Ciò che nel tempo comincia a formare la forbice, anche in maniera sottile, è nell’organizzazione del lavoro di ricerca, accademica o nel privato, nell’accesso al potere decisionale e al livello dirigenziale. Nello studio siamo tutte e tutti uguali, e chiunque può eccellere se ne ha le capacità, è nel passaggio “in società” che per ragioni storiche e culturali assistiamo a un allontanamento delle donne… Non basterà di certo un libro, né gli sforzi di un’intera generazione a ribaltare la struttura della società, ma i cambiamenti che stiamo vedendo nell’organizzazione generale del lavoro, non solo nel nostro ambito, vanno nella giusta direzione di una maggiore accessibilità e inclusività. Quello che abbiamo provato a fare con questo libro è illustrare la logica che ha caratterizzato lo sviluppo della meccanica quantistica. Quali erano i problemi ancora irrisolti? Cosa si doveva capire prima del resto per poter procedere? Quale esperimento andava fatto per distinguere un comportamento da un altro? Questo modo di procedere trascende la materia a cui si applica e può valere per moltissime altre scoperte, scientifiche o in altri campi. E per applicarlo in maniera efficace serve spirito investigativo, capacità organizzative, apertura al lavoro di gruppo, tutte competenze utili in qualsiasi campo e lavoro”.

Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti e sfide globali. Come può la ricerca scientifica contribuire a costruire un futuro migliore?

AP: “La ricerca scientifica è l’unica carta che davvero possiamo giocarci per costruire un mondo che produca risorse sufficienti per tutti gli abitanti senza che l’ambiente ne venga rovinato. Se ci guardiamo indietro, non c’è motivo di credere che il futuro sarà peggiore del passato, dato che fino ad oggi il futuro è sempre stato migliore. La scienza è stata molto importante in questo processo. Ad esempio, per merito della ricerca, la vita media dell’uomo si è allungata, le malattie sono state sconfitte o mitigate, la fame è stata drasticamente ridotta e l’acqua è distribuita sempre più capillarmente. Anche per quanto riguarda la ricchezza immateriale dell’umanità, la scienza è stata di importanza fondamentale: ha dato la possibilità a tutti di rimanere in contatto tra loro anche se vivono in posti molto lontani e di avere la conoscenza, l’arte, la musica o anche solo l’informazione sempre a portata di mano. E questo in tutti gli angoli del pianeta e sostanzialmente per tutti i suoi abitanti. Ci sono tante differenze di accesso a queste ricchezze materiali e immateriali che devono essere ancora superate e tanti problemi ci sono da risolvere, ma sicuramente le possibilità di crescita che ha ogni individuo oggi sono assolutamente superiori a quelle che aveva ieri. Ogni generazione ha dovuto affrontare un grande problema globale. Il problema dei giovani di oggi è la sostenibilità e la manutenzione del pianeta; la scienza sarà una grandissima alleata per trovare soluzioni adeguate”.

VS: “Prima di tutto la ricerca risponde a un bisogno profondo dell’essere umano, dunque solo soddisfacendo la sua fame di curiosità l’umanità può trovare piena realizzazione ed entusiasmo per affrontare le difficoltà. E inoltre bisogna sottolineare che le tanto agognate applicazioni tecnologiche possono nascere da qualsiasi campo della ricerca, anche da quelli che sembrano più futili, o al momento meno prolifici. Non ha senso, quindi, anzi rischia di essere addirittura controproducente limitare la ricerca scientifica a quello che ci appare utile solo oggi”.

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