Suor Alfieri: si avvii una collaborazione reale fra scuole statali e paritarie. Si intervenga sul problema dei trasporti

“Mettere in strada i mezzi di trasporto pubblici e privati avrebbe scongiurato il rischio dei contagi provocato dall’effetto sardine in scatola, come è invece avvenuto. Il covid ha reso il re nudo: se la scuola non riparte non è per il covid o per mancanza di risorse finanziarie, ma per pura ideologia, nutrita di crassa ignoranza riguardo a ciò che veramente è utile all’essere umano”. Lo denuncia Anna Monia Alfieri, referente scuola Usmi, paladina delle paritarie, intervenendo con l’Adnkronos sulla misura di carattere nazionale contenuta nel nuovo Dpcm che il Governo si appresta a varare domani riguardo alla Dad al 100% alle superiori, illustrata dal premier Giuseppe Conte alla Camera.
Alfieri quindi propone: “Si avviino subito accordi con i mezzi di trasporto pubblici e privati per far viaggiare in sicurezza i ragazzi e chi si sposta nello stesso orario. E si avvii in Parlamento, a camere unificate, una collaborazione reale fra scuole statali e paritarie e con la quota capitaria di 5.500 euro, garantendo il diritto di apprendere in distanziamento e sicurezza per tutti gli studenti. E’ sconcertante apprendere che in Italia ci si appresta nella fase 3, a poco meno di un mese dalla ripartenza, alla dad al 100% per le scuole secondarie di secondo grado. Una misura ancor più allarmante in quanto funesto presagio della chiusura della scuola e di un sistema scolastico che da iniquo è divenuto d’élite perché sta trasformando il diritto all’istruzione in un privilegio”.
“In Italia – prosegue l’Alfieri – la Dad è stata scientemente perseguita, cosi come la chiusura della scuola, senza alcuna logica, senza alcuna comprensione degli effetti negativi sia di una didattica a distanza ‘fatta bene’ per un numero insignificante di scuole pubbliche, statali e paritarie, sia dell’abbandono totale degli alunni a se stessi, in particolare nelle Regioni che si sono affrettate a chiudere al 100% (Campania, Puglia). L’allievo di tutte le età, condannato a fissare una telecamera per sei ore al giorno, può solo vomitare, morire di inedia culturale e relazionale. Il cervello è distrutto. Peggio ancora quando il docente abbandona il ragazzo a se stesso con la scusa che ”nessuno lo ha formato” alla didattica a distanza. Risultato: tre mesi di vacanza con stipendio assicurato”.