Sull’utilità ed il danno della storia per la scuola. Lettera
Inviato da Carlo Schiattarella – Per la scuola pubblica degli Stati moderni lo studio della Storia ha sempre rappresentato una questione delicata, spinosa, ma centrale, un veicolo di informazione e formazione identitaria imprescindibile come per la religione lo è solo il catechismo.
Fu proprio per questo che alla fine dell’Ottocento Nietzsche volle denunciare l’ipertrofismo storico della propria epoca, figlio dei sempre più emergenti ed accesi ardori nazionalisti, a favore di una Storia criticamente orientata per il presente.
Da versanti opposti sia Nietzsche che Croce coltivarono quindi l’idea che lo studio della Storia sia sempre un bisogno nato dalle concrete vicissitudini del proprio tempo. Tale idea, in realtà, non solo è condivisibile, ma è già sempre data per chi la Storia si appresta a raccoglierla e a narrarla.
L’oggettività della narrazione storica – non dico del singolo fatto storico – è sempre compromessa e resa spuria dall’attualità della propria origine. Pertanto, provare a descrivere il dibattito storiografico e le diverse filosofie della Storia succedutesi nel tempo significa scrivere o riscrivere in altro modo la Storia stessa.
Idealisti, materialisti, spiritualisti, cultori della storia evenemenziale, formalisti, strutturalisti, storici delle Annales, positivisti, archeologi, antiquari, le innumerevoli volture degli storicismi hanno tutti in modo proprio contribuito ad alimentare un dibattito lungo quanto la storia stessa – come dicevo prima.
Tuttavia, nelle scuole la Storia è stata presentata sempre come un dato o una somma di dati da apprendere, una sequela di quadri riproposti nel corso dei diversi cicli: ora come Storia nazionale e risorgimentale, ora come Storia risorgimentale fascista, ora come Storia di resistenza e di controversa lotta di classe. In ogni caso, è interessante osservare come tale sforzo pedagogico e didattico sia stato sempre utile alla sua evasione, dimenticanza, noia da parte dei poveri sottoposti allievi.
A fronte della vivacità del dibattito storiografico e filosofico riguardo la narrazione degli eventi e perciò della narrazione del vero e del falso, del bene e del male, del bello e del brutto, sembrerebbe che la scuola di Stato abbia percorso il sentiero inverso, polveroso e monotono di un incomprensibile quietismo sino alla sua evidente neutralizzazione nei diversi curricula disciplinari odierni.
Oggi la Storia si dice, infatti, al biennio geostoria come se spazio e tempo non fossero categorie istitutive della Storia; nei licei è stata poi di fatto – complice l’avariata marmellata dell’atipicità delle classi di concorso – separata dalla filosofia, relegandola così ulteriormente a ruolo ancillare, ancillare persino nei confronti dell’educazione civica, divenuta nel frattempo indistinto frasario comune.
Insomma, l’ora di Storia come l’ora di Religione!
Ma forse proprio verso questa storica catechesi Nietzsche, in una delle sue più celebri Considerazioni inattuali, volle scagliare il proprio ardore critico, convinto da professore presto dimissionario e da filosofo militante che ne andasse della verità e perciò della vita stessa.
L’arte e la scienza in Italia, più o meno come altrove, sono libere sino a quando sono quiete, encomiabili, insomma, inutili per ciò che non si è potuto, combattendo, ancora manifestare diversamente.