Sull’efficacia del reclutamento del personale docente. Lettera

Inviata da Mauro Pichezzi – Vorrei avviare una riflessione sul metodo con cui nel nostro Paese si stanno reclutando docenti per la scuola. Stando ai dati che vanno emergendo dall’ultimo concorso straordinario, gli ammessi sono pari al 47% dei candidati iscritti.
Il dato generale mette in evidenza solo un aspetto della questione, il primo di una serie che qui proverò brevemente ad analizzare, quello cioè dei posti che rimarranno vacanti a conclusione della procedura concorsuale, 4.460, pari al 27,7% dei posti delle classi di concorso pubblicate. Se quasi il 30 % per cento delle cattedre disponibili per il concorso non è stato assegnato, vuol dire che evidentemente la maggior parte dei candidati non era abbastanza preparata e ha mancato una preziosa occasione di inserimento nei ruoli della docenza nella scuola pubblica italiana. Se però si analizzano nel dettaglio i risultati si notano alcune sorprendenti – e in parte inquietanti – evidenze. Facciamo un esempio ma se ne potrebbero fare tanti: in Piemonte per la classe di concorso A027, Matematica e Fisica – una delle tanto discusse STEM per le quali presto si bandirà un concorso estivo di cui più avanti parlerò – i vincitori sono il 26% degli iscritti, lasciando 28 cattedre vacanti; in Toscana per la medesima classe di concorso i vincitori sono il 73%.
All’analisi del dato le ipotesi possono essere due: o i fisici toscani sono molto più preparati dei fisici piemontesi, oppure il sistema concorsuale ha consentito una grande discrezionalità alle commissioni che hanno giudicato magari con la medesima griglia, ma con metri assai diversi i propri candidati. Vale la pena di ricordare a questo punto che stiamo parlando di un concorso straordinario per titoli ed esami a cui hanno potuto accedere solo docenti “esperti”, con almeno tre anni di onorato servizio presso scuole statali.
Ed ecco presentarsi il secondo aspetto della questione dell’efficacia del reclutamento dei docenti: i cinque quesiti posti ai candidati richiedevano la dimostrazione di conoscenze assai più che di competenze. Un esame – come neanche alla maturità si propone più – incoerente con il sistema di formazione che prevede già una preselezione e un preventivo accertamento dei prerequisiti necessari per accedere all’esame stesso. Sono convinto infatti che i candidati docenti al concorso straordinario abbiano già compiuto un meritevole e affidabile percorso di formazione universitaria in cui le loro conoscenze sono state consolidate da anni di studio e convalidate da esami certificati.
Chiedere ad esempio in uno dei cinque quesiti della A020 Fisica: “Il candidato tratti i concetti di base del Caos Deterministico ed evidenzi aspetti didattici comuni ad altre materie di indirizzo (es. il concetto di equilibrio nei sistemi complessi in fisica e biologia)”, senza peraltro richiedere alcuna competenza docimologica né provare a verificare competenze proprie di un docente nell’esercizio delle proprie funzioni e su questo poi arruolarlo o meno, risulta quanto meno imbarazzante. Se nei
concorsi a cattedre il Ministero dell’Istruzione deve rinnovare e reiterare la richiesta di conoscenze disciplinari ai candidati in 150 minuti di prova scritta al computer, tramite un semplice e piuttosto primitivo software di elaborazione testi, allora non vi è alcuna continuità nel sistema di formazione che lo stesso Ministero organizza e controlla.
Il terzo aspetto della questione è tutto interno proprio alla gestione del personale. Ricordando di nuovo che i candidati al concorso straordinario sono quasi tutti “precari storici” con almeno tre anni di servizio alle spalle, non si spiega la loro feroce selezione nella prova – sola ed unica – in cui è stata articolata la procedura concorsuale. Il Ministero certifica così di aver messo in servizio (e ovviamente di continuare a farlo per i prossimi anni) supplenti che poi ha valutato come inidonei
in un concorso. Oppure lo stesso Ministero certifica che chi è oggetto di incarico di supplente e spesso resta all’interno della stessa scuola per anni – il precario “di ruolo” – in realtà non è un buon docente perché non ha saputo superare la prova proprio per essere ammesso in ruolo.
Ho infine posto la questione delle STEM e voglio tornarci sopra per richiamare l’attenzione sul prossimo svolgimento del concorso estivo per le cattedre nelle quali risulta più grande la carenza di titolari e per le quali a settembre si profila il pericolo di classi senza docenti. Per affrontare la situazione “emergenziale” si è provveduto a effettuare un concorso riservato alle STEM e per la prova da sostenere si è pensato, senza tante complicazioni, a snellire la procedura ricorrendo alle
“crocette”: ai candidati, stavolta anche neolaureati, si proporranno 50 (cinquanta) quesiti disciplinari, senza alcun riferimento alle metodologie didattiche o al “mestiere dell’insegnante”.
Una prova scritta, dunque, che ritorna indietro di tanti anni, testando solo le conoscenze. Il reclutamento degli insegnanti è un passaggio chiave per una scuola che ancora non ha deciso se strutturalmente potenziare l’autonomia o minimizzarne gli effetti, una scuola che chiede ai dirigenti scolastici di produrre risultati senza poter scegliere il proprio personale, una scuola che chiede ai propri docenti di impegnarsi al massimo delle loro possibilità, materiali e professionali, per formare ed istruire i propri studenti senza alcun riconoscimento per il lavoro effettivamente svolto, una scuola in cui per ogni istituto esiste un solo generale (il DS) e tutti soldati di pari grado (i docenti) senza il middle management di cui tanto si parla ormai da troppo tempo, una scuola infine in cui, impegnandosi a fondo – ricordando l’aforisma di Peter Drucker, “Management is doing things right; leadership is doing the right things” – non sapendo quale sia la cosa giusta da fare, si rischia spesso di fare bene la cosa sbagliata.