Sulla scuola Draghi è stato frainteso. Lettera

Inviato da Fernando Fratta – In questi concitati giorni per la formazione del nuovo Governo, si sono rincorsi numerosi i commenti sulle esternazioni del neo Presidente del Consiglio sulla Scuola.
Intanto è degno di nota che il fatto stesso che il Presidente del Consiglio neoincaricato ha, tra le prime, parlato di scuola è un segnale importante, ma veniamo ai temi.
I punti su cui Draghi si è espresso, dato il frangente in modo inevitabilmente sintetico, sono sostanzialmente due: primo, ha parlato della necessità di far salire in cattedra già a settembre tutti i docenti; secondo, recuperare il tempo perso a causa della chiusura delle scuole. Fermo restando che la presenza di tutti i docenti in cattedra sin da settembre è stato un proposito di tutti i ministri dell’Istruzione e un desiderio di ciascuno, le parole sul “tempo perso” non sono state bene accolte nel mondo della Scuola, che si è sentito ferito perché, se è vero che le attività didattiche in presenza sono state sospese in tutto o in parte (e lo sono tutt’ora), è anche vero che le scuole non sono state mai chiuse, neppure durante la totale assenza degli alunni perché in dad. Infatti, l’attività didattica non si è mai interrotta, in presenza o a distanza che fosse, e i docenti hanno lavorato sempre e comunque e anche di più di quanto accadesse precedentemente, facendo compiere alla scuola un balzo in avanti che, in condizioni normali, in Italia avrebbe richiesto forse un decennio.
Pare certo, quindi, che si sia trattato di un fraintendimento. Logico pensare che il Presidente del Consiglio si riferisse ad una sorta di recovery dad, nel senso che avendo l’apprendimento degli studenti subìto pregiudizio dalla dad – verità che credo nessuno possa mettere in discussione – necessita di un piano di recupero. Che la dad (didattica a distanza) non sia la stessa cosa della dip (didattica in presenza) è, anzi, una verità che finalmente, si spera, ha fatto capire quanto importante sia il lavoro dei docenti in classe, a contatto con i propri ragazzi e quindi è un riconoscimento del valore del lavoro dei docenti, un valore che è stato finora misconosciuto sia dal punto di vista sociale, che economico. Le cause di tale misconoscimento sono tante e non si può analizzarle qui.
Ciò premesso, se è vero che il tempo perso cui il Presidente si riferiva, va interpretato in questo modo, è meritoria la proposta di concedere ai nostri studenti la possibilità di recuperare. Le soluzioni delineate sono due: o si estende l’attività didattica in orario pomeridiano, oppure si estende il calendario scolastico ai mesi di giugno e luglio, escludendo agosto per le ferie.
Se quest’analisi è corretta, le critiche che sono state rivolte al Presidente del Consiglio sono immeritate; lo sono perché pare inverosimile che egli ignori quale sia la condizione in cui versa la scuola italiana. Ne consegue che, se si vuole estendere l’attività didattica alle ore pomeridiane, significa che, nel giro di qualche settimana, le scuole verranno attrezzare sul modello degli altri Paesi europei, dotandole tutte di mensa, cineteatro, piscina, palestra e di quelle infrastrutture che servono a far trascorrere agli studenti l’intera giornata a scuola. Non è infatti pensabile che gli studenti entrino alle 8 e terminino alle 17 in modalità di studio continuato: anziché fargli recuperare le conoscenze, gli faremmo perdere il ben dell’intelletto.
Inoltre, sarà necessario procedere al reclutamento di altrettanti docenti e personale ata per il pomeriggio poiché non è ipotizzabile che, con l’attuale orario di servizio, il personale possa coprire anche la fascia pomeridiana; a parte il fatto che gli attuali contratti di lavoro non lo consentono, ma poi c’è la difficoltà oggettiva: dopo 4/5 ore di docenza, le energie psicofisiche degli insegnanti sono esaurite, a maggior ragione in uno scenario come quello attuale. Dunque, se il Governo pensa di attivare l’estensione della didattica all’orario pomeridiano, evidentemente medita anche di reclutare, nel giro di qualche settimana, alcune centinaia di migliaia di docenti da destinare a quello che potremmo definire, seguendo la bieca moda dell’inglese a tutti i costi, afternoon recovery dad.
Per contro, se si ritiene invece di estendere il calendario scolastico ai mesi di giugno e luglio, ossia una extended calendar recovery dad, allora significa che si vogliono finalmente dotare tutte le scuole di quegli impianti di areazione e climatizzazione che in tanti anni non sono stati mai realizzati. Impianti che potrebbero anche essere un’arma molto efficace per evitare la circolazione di batteri e virus in generale, e del corona virus in particolare, nei locali scolastici, preservando così la salute di studenti e lavoratori e facendo anche risparmiare alle casse pubbliche indennità di malattia miliardarie, atteso che gli ambienti affollati, come le scuole, sono veicolo di contagio formidabile per tutti i tipi di malattie infettive, nonostante la ferrea osservanza delle misure precauzionali.
Con queste premesse, è del tutto evidente che, in assenza di tali impianti, risulta impossibile per studenti e personale scolastico rimanere in aula senza boccheggiare o peggio, se vi dovesse essere ancora l’obbligo di portare le mascherine. Quindi, se l’ipotesi fosse questa, anziché criticare il Presidente, bisognerebbe elogiare questa sua determinazione a realizzare questi impianti entro il prossimo mese di giugno, in considerazione del fatto che le temperature, a giugno e luglio, supereranno facilmente trenta e, in alcune parti d’Italia, anche quaranta gradi centigradi.
Quale che sia la soluzione che il Governo adotterà, merita certamente sinceri auguri di buon lavoro.