Sulla riforma del quinto anno di liceo, risposta a Zaccheo

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Vorrei innanzitutto ringraziare Alessandro Zaccheo per l’interesse dimostrato per la mia proposta e soprattutto per le sue obiezioni, che non solo contribuiscono a dare vita a una discussione in merito, ma permettono anche di chiarire alcuni aspetti della mia idea sulla riforma del quinto anno di liceo.

Procederò quindi seguendo l’ordine delle obiezioni dello stesso Zaccheo:

Rispetto alla parte introduttiva, la proposta non si basa sull’idea di una “naturale predisposizione dello studente verso determinate materie”, quanto sull’affinità intellettuale tra lo studente e determinate materie che si sviluppa nel corso dei quattro anni di liceo. Che questa affinità si sviluppi soprattutto per il modo in cui quella materia è spiegata dal docente è senz’altro vero, ma non vedo perché parlare in questo contesto di una “colpa” dell’insegnante. Parlerei piuttosto di una responsabilità dell’insegnante, la quale d’altra parte è il presupposto dell’intera relazione educativa, costituendo quel fattore umano che caratterizza nel profondo il destino scolastico di uno studente ed è pertanto ineliminabile (e per fortuna, mi viene da aggiungere!). In quanto fattore “umano”, è per ciò stesso imprevedibile e rappresenta l’elemento insostituibile, ma anche non addomesticabile, di qualunque progetto di riforma della scuola. Per cui credo che vada tenuto fuori dal discorso, perché, piaccia o meno, la sua presenza non è oggetto di discussione (a meno che l’attuale ubriacatura per il digitale e il 4.0, che per ora si limita a condizionare qualunque forma di finanziamento alla scuola, e già non è poco, un domani non giunga a causare la progressiva sostituzione del fattore umano dell’insegnamento con quello artificiale. Ma questo, va da sé, è argomento complesso, che meriterebbe un’altra riflessione).

Veniamo ora ai singoli punti dell’articolo di Zaccheo:

  1. Sarei il primo a tornare al vecchio modello dell’esame di maturità, intendo quello con le due materie, in vigore fino a circa la metà degli anni ’90 del secolo scorso. E ci tornerei perché sarebbe molto più propedeutico a una scelta universitaria, dal momento che aiuterebbe lo studente a selezionare le materie finali su cui essere esaminato, scelta che, all’epoca, ciascuno di noi ha fatto appunto sulla base della propria preparazione rispetto alle singole materie. Proprio questo ipotetico ritorno alla vecchia maturità, però, richiederebbe ancor di più una riforma del quinto anno di liceo nella direzione da me proposta, la quale si basa sull’idea di una specializzazione del percorso formativo del singolo studente, che avrebbe in un esame altrettanto specialistico il suo naturale coronamento. Sarebbe inoltre l’occasione per ritornare finalmente a uno studio serio, ma di certo rinnovato nei metodi, dei contenuti, liberandosi per sempre di tutto l’apparato fumoso e inconsistente delle cosiddette “competenze”.
  1. La questione della “valutazione del reale talento intellettuale di uno studente” è urgente, tuttavia, se riconosciuta davvero come un problema, allora metterebbe in discussione non solo il sistema scolastico, ma anche quello universitario. Siamo sicuri, infatti, che questo talento sia realmente riconosciuto in un esame universitario più che in un’interrogazione scolastica? Professori di manica larga esistono anche all’università, per non parlare di chi spiega la propria materia in modo superficiale: è vero, quindi, che uno studente potrebbe essere mal indirizzato negli studi universitari da insegnanti che, per diverse ragioni, gli hanno fatto credere di essere preparato in una certa materia; lo stesso problema, però, potrebbe emergere a livello universitario, dove uno studente potrebbe essere mal indirizzato o uscire con una scarsa preparazione verso il mondo del lavoro, con danni anche peggiori. Detto questo, il punto è che l’attitudine di uno studente per la materia non deve passare necessariamente per la valutazione, ma innanzitutto per il piacere e l’interesse che lo studio di quella materia suscitano nello studente, piacere e interesse che credo possano svilupparsi solo se, ad un certo punto del percorso formativo, lo studente è messo nella condizione di concentrarsi solo su alcune materie; se si fa della valutazione il criterio principale di questa attitudine, allora si rischia di far dipendere il percorso formativo quasi esclusivamente dal sistema valutativo, al quale si attribuisce una pretesa quanto falsa oggettività, che maschera spesso la sua natura di mero strumento di potere all’interno della relazione educativa. Per quel che riguarda l’eventuale insufficienza del metodo di insegnamento che potrebbe generare un interesse sì reale, ma superficiale, questo avviene già e costituisce di per sé un problema, che non credo la mia proposta potrebbe aggravare ma, al massimo, non riuscirebbe a risolvere (posto che sia risolvibile).
  2. La questione della storia e del suo insegnamento fino all’ultimo anno scolastico è senz’altro meritevole di attenzione ed è stata giustamente sollevata da Zaccheo, che alla storia sta dedicando non a caso i suoi studi universitari. Questione importante ma, credo, risolvibile: non si tratta di rendere obbligatorio l’insegnamento della storia tout court, quanto di rendere obbligatorie una serie di lezioni di storia (ma anche di altre materie) rispetto ad alcuni argomenti ritenuti indispensabili alla formazione complessiva di uno studente. A titolo di esempio e di pura ipotesi: per la storia potrebbero essere le guerre del novecento, comprese quelle dell’epoca della guerra fredda, non però nei dettagli, ma in due-tre lezioni da svolgere nel corso dell’anno rispetto a questione generali legate ai conflitti; una o due lezioni sulle grandi questioni sociali o culturali del novecento e così via, sempre seguendo l’idea di una presentazione per linee generali, ma comunque non superficiali, in modo da dare anche a uno studente che ha scelto di approfondire al quinto anno chimica e matematica, dei riferimenti essenziali al contesto storico contemporaneo. Si potrebbe anche pensare di impostare queste lezioni di storia dando rilievo agli aspetti più vicini alle materie scelte, come ad esempio la questione del nucleare per chi ha scelto di studiare fisica o in generale le materie scientifiche. Lo stesso, appunto, si può fare con la filosofia, la letteratura, le lingue straniere etc. L’idea, insomma, è quella di mantenere una formazione generale nell’ambito di un percorso specialistico, ciò che credo potrebbe essere stimolante sia per gli studenti che per i docenti. Anche considerando che lo studio sistematico della storia del novecento, così come si è fatto finora, non è bastato ad evitare che venisse eletta gente con i busti di Mussolini in casa…
  1. Per quel che riguarda questo punto, credo di aver risposto sostanzialmente nel punto 3), ossia se vai bene in tutte le materie e hai un’idea chiara della scelta universitaria, il “sapere ulteriore” lo ritroverai nelle lezioni generali delle altre materie. Mi limito solo ad aggiungere, però, che “andar bene” in una materia spesso non significa conoscerla davvero, perché, e qui riprendo la questione del punto 1), spesso quell’andar bene è il risultato di un sistema valutativo che all’ultimo anno tende a ripetere sé stesso, senza più mettersi in discussione, motivo per cui anche chi “va bene” non è più stimolato a far meglio o a sviluppare un rapporto con lo studio che vada oltre il semplice meccanismo spiegazione-interrogazione-valutazione. Ciò che invece potrebbe essere reso possibile se l’ultimo anno diventa un anno di approfondimento di determinate materie e non una mera ripetizione di quello che si è sempre fatto negli anni precedenti.

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