Studiare all’estero: un’opportunità per aumentare il proprio valore sul mercato del lavoro

È universalmente nota l’importanza di un periodo di studi più o meno prolungato in un paese straniero ai fini dell’implementazione del proprio profilo curricolare. Questo è il motivo principale per il quale molti studenti universitari, o persino delle scuole superiori, ambiscono a trascorrere un periodo più o meno lungo di studi fuori dall’Italia. I più fortunati arrivano a spendere interi anni scolastici, o persino un intero percorso didattico quinquennale, in un altro paese; mentre chi non ha la possibilità – prevalentemente di natura economica – di garantirsi un percorso di studi prolungato tende in ogni caso a non rinunciare a questa opzioni, e a rivolgersi a soluzioni analoghe ma più sostenibili, come ad esempio le classiche vacanze studio all’estero da consumare durante il periodo estivo. Certo, non tutte le offerte didattiche sono di pari livello, ma è pur vero che al giorno d’oggi il ventaglio di offerte e opzioni è talmente ampio da garantire una certa libertà di scelta.
Indipendentemente dalla durata del soggiorno e dalla tipologia di percorso didattico intrapreso, un periodo di studio all’estero può avere delle ricadute anche sul piano della reputazione sul mercato del lavoro. Infatti, come accennato in precedenza, un CV che presenti un iter di studi quanto più possibile variegato, anche sul piano della delocalizzazione rispetto al proprio paese natale, costituisce molto spesso, e in molti ambiti, una sorta di corsia preferenziale, o se vogliamo un rafforzamento del ventaglio di conoscenze e competenze esibite nel curriculum stesso. Questo, essenzialmente, per due motivi: in primis, perché si suppone che la prima ricaduta di un periodo di studi all’estero sia l’apprendimento di una lingua straniera a livelli di molto superiori rispetto a quelli di un normale apprendimento scolastico; e in seconda battuta perché confrontarsi con diverse metodologie di insegnamento, e in generale con un contesto antropologico e culturale almeno in parte diverso, dovrebbe rappresentare un upgrade dal punto di vista della capacità di condivisione di un medesimo spazio di lavoro.
Un’analisi di mercato americana ha rivelato come le aziende presenti sul territorio degli Stati Uniti, indipendentemente dalla loro tipologia e dalle loro dimensioni, fondano il criterio delle loro assunzioni, specie per quanto riguarda i quadri dirigenziali, su quattro parametri: hard-working attitude, team-working attitude, problem solving e leadership. Sono quattro caratteristiche che in genere si forgiano attraverso la diversificazione delle esperienze e il confronto con realtà culturali differenti da quella di provenienza: esattamente il tipo di percorso che un periodo di studio all’estero può garantire. Per questo motivo molti recruiter per grandi o medie imprese prestano particolare attenzione all’ampiezza degli orizzonti culturali di un candidato: si suppone infatti che maggiore è la vastità di questi ultimi e maggiore sia la capacità del candidato di interagire in differenti contesti e con diverse personalità.
Infine, non va trascurato uno dei più significativi effetti collaterali di un periodo di studio in un paese straniero: la lontananza, spesso incolmabile, dalla propria famiglia, che mette i più giovani nelle condizioni di sottoporre a verifica il loro livello di autosufficienza e di forgiare la loro tempra. A guadagnarne, in questo caso, non è il profilo curricolare, o almeno non direttamente. Sono semmai l’autostima e la fiducia nei propri mezzi a risentirne profondamente: due aspetti che, in ambito lavorativo, possono comunque essere spesi con profitto e generare vantaggi sulla lunga distanza, come promozioni e avanzamenti di carriera.