Studenti hanno diritto al panino da casa e possono mangiarlo in mensa, scuola deve vigilare su scambio alimenti. Sentenza

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Le ricorrenti impugnavano tramite i propri difensori la circolare dirigenziale nonché, in minima parte, il “Regolamento consumazione pasto domestico per gli alunni della scuola primaria iscritti al tempo pieno” nella parte in cui imponeva la divisione del refettorio in aree separate, l’una destinata ai minori clienti del servizio, l’atra ai minori autorefezionanti

Chiedevamo, inoltre, di accertarsi con sentenza, il diritto soggettivo dei figli minori ad essere ammessi a consumare i propri pasti di preparazione domestica nel locale adibito a refettorio, unitamente ai compagni di classe, sotto la vigilanza e con l’assistenza educativa dei propri docenti per poter condividere appieno dei contenuti educativi e formativi tipici del tempo mensa, con conseguente condanna della dirigente scolastica ad attivarsi a tal fine adottando tutte le misure e gli accorgimenti di legge. Il TAR del Lazio con sentenza N. 07814/2020 del 7 luglio 2020 si pronuncia a favore dei ricorrenti confermando l’orientamento della giustizia amministrativa che ad oggi pare essere consolidato in materia. L’orientamento di riferimento è quello emerso con la sentenza n 14368/2019.

La normativa violata

“Con il primo motivo del ricorso introduttivo hanno dedotto: Violazione di legge con riferimento al D.Lgs 19 febbraio 2004 n. 59, ed alla circolare M.I.U.R. n. 29 del 5 marzo 2004; Violazione di legge con riferimento all’art. 6 del D.lgs 13 aprile 2017 n. 63, al D.M. 31.12.1983 ed al D.L. 28.2.1983, n. 55 convertito in Legge 26.4.1983, n. 131; Violazione di Legge con riferimento agli artt. 3, 32, 34, 35 della Costituzione. Violazione di legge ed omessa applicazione della nota MIUR 7 marzo 2017, prot.n. 348; Violazione di legge con riferimento alla Convenzione dei diritti del fanciullo approvata a New York in data 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176; violazione degli artt. 1, 2, 3, 5, 14, 16, 18, 19, 28 e 42 della legge n. 176/91; Contraddittorietà manifesta. Eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento e della violazione del principio generale di uguaglianza, della carenza assoluta di istruttoria e di motivazione, di illogicità, di arbitrarietà e di ragionevolezza. I ricorrenti hanno richiamato i principi affermati nelle sentenza della Corte di Appello di Torino e nella successiva giurisprudenza civile nonchè la Convenzione dei diritti del fanciullo, adottata a New York il 20 novembre 1989 e recepita in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176; e in particolare all’art. 2, comma 2 per il quale gli Stati adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente TUTELATO CONTRO OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, dalle opinioni professate o dalle convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari”.

L’autorefezione è diritto all’autodeterminazione

La scelta dell’autorefezione, da leggersi come esplicazione del diritto all’autodeterminazione nelle scelte alimentari di cui all’art. 32 della Costituzione, sarebbe certamente una di queste. In tutti i vari procedimenti, radicati innanzi al Giudice Amministrativo nell’ambito della propria giurisdizione esclusiva ex art. 133, lett. c) del c.p.a., il tema della sussistenza del diritto all’autorefezione dei minori in ambito scolastico è sempre stato trattato e risolto in favore delle rivendicazioni delle famiglie.

Il diritto all’istruzione primaria e il tempo mensa

“Il Collegio ritiene di condividere i principi affermati nella sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1049/2016 che, dagli artt. 5 e 7 del D.Lgs. n. 59/2004, evince il principio secondo cui “il diritto all’istruzione primaria non corrisponde più al solo diritto di ricevere cognizioni, ma coincide con il diritto di partecipare al complessivo progetto educativo e formativo che il servizio scolastico deve fornire nell’ambito del “tempo scuola in tutte le sue componenti e non soltanto a quelle di tipo strettamente didattico, ragion per cui il permanere presso la scuola nell’orario della mensa costituisce un diritto soggettivo perfetto proprio perché costituisce esercizio del diritto all’istruzione così come delineato”. Il “tempo mensa”, se vissuto e condiviso tra tutti i membri della classe, rappresenta un essenziale momento di condivisione, di socializzazione, di emersione e valorizzazione delle personalità individuali, oltre che di confronto degli studenti con i limiti e le regole che derivano dal rispetto degli altri e dalla civile convivenza. Il tempo mensa, dunque, è a tutti gli effetti tempo scuola. Il servizio mensa, non può dirsi invece strettamente qualificante il servizio di pubblica istruzione e, pertanto, va tenuto distinto dal concetto di tempo mensa. Le argomentazioni utilizzate dalle SS.U della Corte di Cassazione con la sentenza n. 20504 del 30 luglio 2019 nell’affermare che, nel vigente sistema scolastico italiano, tra le varie finalità educative proprio del progetto formativo scolastico, vi sarebbe quella della “ educazione all’ alimentazione”, non appaiono persuasive”.

La scuola deve solo vigilare sulla fruizione dei pasti

“La sola competenza del dirigente e del corpo docente è quella che passa attraverso la vigilanza sui minori, volta ad evitare che vi siano scambi di alimenti, la stessa identica funzione che, presumibilmente, dovrebbero assolvere anche durante gli intervalli del mattino. L’inidoneità del locale refettorio, argomento richiamato genericamente dalla Dirigente Scolastica, va affrontato e risolto facendo applicazione delle norme vigenti in materia di gestione del rischio nei luoghi di lavoro. Competerà, quindi, all’Amministrazione scolastica ed a quella comunale adottare le corrette procedure per gestire i rischi da interferenze, con applicazione dell’art. 26, commi 3 e 3 ter del D.Lgs n. 81/08, applicabile al caso dei refettori scolastici, ossia con conseguente adeguamento del documento unico di valutazione dei rischi”.

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