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Studenti fragili e l’esperienza della matematica insegnata utilizzando le teorie di Piaget e Russ. Ne parliamo con Alessandra Nardoni ed Enrico Mansueti [VIDEO INTERVISTA]

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Quanto è difficile lavorare in contesti classe molto eterogenei e per di più con alunni fragili? Ne abbiamo parlato con il Professor Enrico Mansueti, docente di chimica specializzato per le attività di sostegno e tutor TFA, e con la Professoressa Alessandra Nardoni, dirigente scolastica dell’IIS di Ceccano (FR).

Professoressa Nardoni, la scuola vive molte difficoltà tra cui la gestione degli alunni con fragilità. Quanto è importante il lavoro di integrazione in contesti così eterogenei e come coordinare il lavoro tra insegnanti curricolari e di sostegno?

La responsabilità della cura educativa dei ragazzi con fragilità investe tutte le scuole, in particolare investe la mia scuola in quanto sono molto numerosi gli studenti che sono fragili sia con certificazione L. 104/92 che con bisogni educativi speciali, sia DSA che per diversità dovute a differenze culturali o linguistiche. Entrando nei numeri, e quindi nella realtà della nostra scuola, su circa 900 ragazzi che frequentano il nostro istituto abbiamo circa 90 alunni con certificazione L. 104/92 e circa 100 con BES.

In pratica ogni classe del nostro istituto accoglie alunni fragili, la cosiddetta diversità. Ne deriva che tutti i consigli di classe sono coinvolti in questo difficile lavoro di integrazione della diversità. Quello che vorrei sottolineare, e che tocco con mano, è che spesso questa diversità viene vissuta come un problema ed è proprio questo che in qualche modo limita la nostra azione come educatori. Lo sforzo che dovremmo fare come educatori è appunto quello di far sì che tutti i nostri studenti, in quel contesto classe, rispettino la diversità, si approccino a questa diversità in maniera tale da cogliere le positività che la diversità ha. Diversità che a noi può apparire inconsueta, insolita, ma che comunque rappresenta una ricchezza. Questo è un percorso difficile e particolare, richiede una preparazione da parte dei docenti e un coordinamento che deve coniugare la stessa visione tra il docente di sostegni e i docenti del consiglio di classe.

Venendo alla sua seconda domanda, il successo degli studenti in generale, e di quelli fragili in particolare, è collegato al coordinamento e alla collaborazione esistente all’interno del consiglio di classe. Bisogna innanzitutto partire da una criticità, ovvero il fatto che spesso, o a volte, si cede alla facile tentazione di delegare in via prioritaria, se non in via totale, la cura dell’alunno fragile al docente di sostegno. Una prima forma di coordinamento ci viene data dagli strumenti previsti dalla normativa, ovvero l’elaborazione del PEI e del PDP che devono essere fatti in maniera condivisa dal team dei docenti, unitamente alla famiglia e agli esperti specialistici.

Ma l’elaborazione di questi strumenti è condizione sufficiente per garantire il coordinamento e quindi la collaborazione da parte dei docenti di quel consiglio di classe? Non sempre è così, per questo è necessaria una operazione di tipo culturale affinché tutti i docenti del consiglio di classe consapevolizzino l’importanza delle tre “C”: Collegialità nella stesura del PEI o del PDP, quindi poi verifica di quanto progettato, Contitolarità, ovvero essere tutti contitolari nel portare avanti le attività previste in questi strumenti e infine la Corresponsabilità educativa. In tal senso è già intervenuto il decisore politico perché con la legge di bilancio del 2021 ai docenti curricolari che avevano ragazzi fragili in classe fu fatto obbligo di partecipare ad una formazione per affermare e riaffermare questo principio di contitolarità nella gestione dei percorsi di apprendimento negli alunni fragili.

A tal proposito la mia scuola investe molto in formazione per riaffermare l’importanza delle metodologie didattiche, in tal senso curiamo molto il setting d’aula, favoriamo il passaggio da una lezione trasmissiva ad una lezione che favorisca il lavoro di gruppo, lavorando molto sull’empatia che si deve instaurare nel contesto classe, ascoltare l’altro proprio per far fronte alle necessità dei nostri ragazzi. Attraverso la formazione indirettamente c’è una forma di coordinamento che si completa con un’azione relativa agli aspetti organizzativi, come ad esempio gli incontri previsti nel piano annuale delle attività collegiali, del GLI e del GLO, che permettono di verificare l’andamento di quanto è stato progettato ad inizio anno.

Altrettanto importante è prevedere nel proprio organigramma delle figure di sistema con compiti ben chiari e precisi come la funzione strumentale, il referente per l’inclusione, i capi dipartimento o i coordinatori di classe, che devono avere il ruolo di raccordare la parte gestionale/decisoria con la parte dell’aspetto didattico al fine di monitorare l’andamento di quanto è stato progettato. Poi personalmente non trascuro dei momenti di focus group proprio con queste figure di sistema, per fare un’analisi SWOT per vedere i punti forti e quelli di criticità al fine di apportare i necessari correttivi. In sintesi è questa l’esperienza che mi sento di portare nei miei undici anni da dirigente di questo istituto.

Professor Mansueti, la matematica forse è una delle materie più ostili per gli alunni fragili, come ha strutturato il percorso formativo del suo allievo con disturbo dello spettro autistico?

Ho iniziato a lavorare all’inizio dell’anno scolastico con questo ragazzo che ha quasi 18 anni rendendomi subito conto delle sue criticità e quindi ho deciso di iniziare l’attività partendo dagli aspetti grammaticali, quindi rimandando la parte legata alla matematica perché ero molto preoccupato benché avessi letto sulla relazione dello scorso anno che il ragazzo era in grado di effettuare le addizioni in autonomia. Siamo andati avanti con la parte grammaticale fino a quando siamo arrivati al punto di toccare la parte della matematica alla quale ho approcciato mediante l’utilizzo di alcune carte da gioco realizzate appositamente per il progetto che avevo preparato, anche grazie ai suggerimenti del Professor Danilo Capua e del Vicepreside Professor Domenico Crocca.

La mia idea è stata fortemente influenzata dalle teorie sul gioco di Jean Piaget e di Sandra Russ e dell’influenza delle emozioni sulla motivazione. Successivamente, su suggerimento del DSGA dottoressa Tiziana Viti, lo abbiamo strutturato in funzione di un concorso sulla matematica STEM femminile plurale. In sostanza è stato costruito un mazzo di carte da gioco che poi veniva utilizzato per effettuare le addizioni, il tutto in modo piacevole e facendo divertire il ragazzo.

Abbiamo continuato il nostro progetto, al quale hanno partecipato anche due compagne di classe dell’alunno, fino a quando ci siamo accorti che nel ragazzo mancava il concetto di quantità. Sebbene riconoscesse i numeri non era in grado di associarli alle quantità. Questo ci ha portato a modificare il progetto realizzando diversi mazzi di carte che rappresentavano il mazzo dei numeri, il mazzo delle quantità e il mazzo delle parole-numero.

È un lavoro che avevo iniziato nel 2018 con il professor Cardellini dell’università di Ancona con il quale abbiamo lavorato sulla memoria di lavoro e la memoria a breve termine, partendo da alcuni articoli di Holmes, che raccontava dei benefici dell’allenamento mnemonico, anche se in particolare con soggetti ADHD. A questi aspetti ho legato le teorie di Shiffrin sulla memoria sensoriale a breve e lungo termine, che mi hanno portato a concentrami sul lavoro incentrato sulla priorità e sulla recenza. In pratica in una lista di numeri o di parole i ragazzi tendono a ricordare maggiormente i primi termini, la priorità, e gli ultimi, la recenza.

Adottando questo metodo, nel lavorare con il ragazzo cambiavo man mano l’ordine dei termini fino a quando il ragazzo non è riuscito a seguirci. Inoltre mi ha fatto piacere che al lavoro svolto hanno collaborato queste due ragazze che anche loro, per diverse ragioni, hanno delle fragilità, una è discalculica e l’altra ha difficoltà ad adeguarsi alle regole di gestione della classe.

Oltre agli aspetti legati all’apprendimento della materia, è importante il lavoro di integrazione degli alunni fragili nel contesto classe. Quanto è difficile lavorare con gli alunni per una reale integrazione?

Mi piace che ha utilizzato il termine integrazione che preferisco al termine inclusione, per quanto pertinente, perché il progetto di inclusione da un po’ il senso che qualcuno sia escluso. Nel lavoro fatto, che è il frutto di idee che porto avanti e sviluppo da tempo, mi viene da chiedere se gli esclusi sono questi ragazzi fragili o noi.

A me piace molto ricordare alcune esperienze, ad esempio ad Ancona c’è il museo tattile Omero dove ci sono delle riproduzioni di statue, prevalentemente classiche ma anche dei modellini come il duomo di Firenze, che sono realizzati in maniera specifica per i non vedenti che possono entrare e toccare queste strutture. A Milano c’è una situazione analoga dove c’è una mostra/percorso che si chiama “Dialogo nel buio” che organizza passeggiate e degustazioni in un percorso tutto al buio, in pratica si è guidati da non vedenti e si assaporano pietanze al buio. Questa esperienza ti permette di apprezzare sapori, odori e altri aspetti che normalmente non verrebbero valorizzati. Un altro esempio l’ho vissuto di recente alla galleria Borghese a Roma dove si trova una statua che rappresenta Enea, Anchise e Ascanio, ovvero nonno, figlio e nipote.

È una scultura di marmo ma si vedono ad occhio nudo le differenti venature della pelle o dei muscoli che rappresentano le varie fasi della vita. Credo che un non vedente, con la possibilità di toccare questa statua, si accorgerebbe di particolari dei quali non riusciamo a cogliere. Ecco che ritorno al punto di partenza, chi è l’escluso? Dopo la pubblicazione del nostro lavoro ho ricevuto commenti di persone che si lamentavano sul fatto che si continuasse a parlare di autismo come disturbo, a tal proposito ci sono diverse teorie legate alla neurodiversità, in particolare quella di Judy Singer, nelle quali si afferma che l’autismo non è un disturbo ma semplicemente un modo diverso di funzionamento del nostro cervello. In parte concordo con questa visione anche se credo che non riusciremo mai a comprendere pienamente. Dico questo perché quando mi capita di vedere il mio alunno negli occhi ho la netta sensazione che capisca più di quanto io riesca a percepire.

Gli stessi compagni di classe, nel corso del lavoro della matematica, hanno scoperto, con somma meraviglia, che il compagno conosceva i loro nomi sebbene fossero convinti che, nonostante questi due anni trascorsi insieme, non era in grado di distinguerli. Hanno visto dei progressi nel loro compagno che iniziava ad interagire con loro. Non solo, ma ha iniziato anche a gestirsi in autonomia, ad esempio fino a poco tempo fa ero io che mi dovevo preoccupare di chiedergli se dovesse andare in bagno, invece un giorno si è alzato per andare in bagno e, accortosi che non aveva chiesto il permesso, mentre camminava si è girato chiedendomi se poteva andare in bagno. È stato un lavoro difficile ma questi progressi ripagano di tutti gli sforzi fatti.

Forse la scuola è un po’ indietro su alcuni temi e dovremmo imparare anche da altre esperienze, ad esempio dal mondo dell’impresa. Non basta il risultato finale, è necessario un nuovo modo di valutare. Si dà poca attenzione al ruolo delle emozioni, del vissuto personale e ai desideri individuali.

Un’ultima domanda. L’obiettivo finale di un percorso di apprendimento è preparare i ragazzi ad affrontare la vita. Quanto è importante, allora, valorizzare anche l’aspetto legato alle emozioni e all’empatia per aiutare i ragazzi a sapersi relazionare al meglio?

È molto importante. La mia formazione è più di carattere scientifico, dal lato medico, e una mia esperienza è legata al lavoro sull’intestino dove, con l’allora giovane Professor Romanelli, somministravamo sostanze oppiacee e lì ho compreso l’importanza del sistema nervoso di questo apparato, che produce la maggior parte di serotonina del nostro corpo con conseguente benessere generale dell’intero nostro organismo. Non solo, ma gli esperimenti di Kandel sulla chiocciola di mare della California ha dimostrato come l’apprendimento sia legato ad un numero ristretto di neuroni legati alla stimolazione meccanica e con serotonina.

Questo neurotrasmettitore è considerato alla base del benessere, delle emozioni e dell’apprendimento, così come riportato in studi portoghesi e inglesi. Da quanto appena detto credo sia importante e necessario sviluppare un apprendimento attraverso le emozioni positive, che producono piacere in quello che facciamo. Un tema che affermava il Professor Rovetto, scomparso qualche anno fa, era che i concetti danno senso all’esperienza, ma l’esperienza serve anche per dare un senso ai concetti, quindi le due cose sono assolutamente legate. Se l’alunno impara divertendosi, con l’intelligenza emotiva, come ci insegna Goleman, con quelle che sono le soft skills, certamente l’apprendimento sarà significativo e duraturo.

Ovviamente è necessario un atteggiamento che deve essere inclusivo, un insegnante inclusivo deve essere in grado di saper ascoltare, deve essere attento alla comunicazione bidirezionale, alle emozioni e al vissuto dei ragazzi, soprattutto all’apertura verso punti di vista differenti. Di strada da fare ce n’è ancora molta, lavorando con un ragazzo autistico e vivendo questo mondo, mi spiace che ancora si parli di Asperger per identificare l’autismo ad alto funzionamento, dimenticando che Asperger è stato uno scienziato nazista che faceva esperimenti mandando a morire i disabili nei campi di concentramento.

Possiamo discutere su Gardner e le diverse intelligenze, sul fatto che il quoziente intellettivo non è adatto a delineare il quadro di un ragazzo autistico, perché il Qi rappresenta solo i domini linguistico e logico-matematico. La mia intenzione, invece, è di allargare il lavoro ai vari domini, la prospettiva per il prossimo anno è quella di lavorare anche sul dominio musicale perché noto che già oggi rappresenta un aspetto che stimola e motiva il mio alunno. Credo che in sintesi sia questo il lavoro che bisogna fare sulle emozioni e sulla motivazione che sono strettamente legate.

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