Studentessa con disabilità dopo 15 anni chiede risarcimento danni per sostegno inadeguato: violazione del diritto alla formazione della personalità. Ecco cosa hanno detto i giudici

Una recente pronuncia del Consiglio di Stato, la sentenza n. 00306/2025, ha chiarito ulteriormente i limiti entro cui può essere richiesto il risarcimento danni per mancata o insufficiente assegnazione del sostegno scolastico agli studenti con disabilità. Il caso, emblematico, coinvolgeva un ricorrente che, a distanza di quasi quindici anni dalla conclusione della scuola dell’infanzia, chiedeva il riconoscimento di danni patrimoniali, non patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali, in conseguenza della mancata assegnazione di un assistente educatore.
La questione giudiziaria
Nel primo grado di giudizio, il Tribunale Amministrativo Regionale aveva respinto il ricorso, rilevando la tardività dell’azione. Il ricorso era stato depositato quasi quindici anni dopo la conclusione del percorso scolastico interessato, una circostanza che, di per sé, comprometteva la possibilità di accertare e quantificare i danni in modo attendibile.
Il ricorrente, tuttavia, sosteneva la violazione del diritto alla salute e alla formazione della personalità, con effetti negativi sulle proprie funzioni naturali, comprese quelle biologiche, sociali e relazionali. Le Amministrazioni interessate si sono costituite in giudizio, e la controversia è giunta al vaglio del Consiglio di Stato.
La giurisprudenza consolidata sul danno conseguenza
Nel pronunciarsi, il Consiglio di Stato ha riconosciuto la necessità, anche nei casi di inadeguato sostegno scolastico, di provare rigorosamente il cosiddetto danno conseguenza. Si tratta dell’obbligo per il ricorrente di dimostrare il nesso causale tra l’illecito amministrativo (in questo caso, l’omessa assegnazione dell’assistente educativo) e le conseguenze dannose concretamente subite.
Questa impostazione si fonda su un orientamento già espresso in altre sentenze (Cons. Stato n. 4291/2015, n. 3052/2017 e n. 2888/2018), e prevede criteri molto specifici:
- il danno morale e biologico è risarcibile solo se si dimostra la commissione di un reato nei confronti dell’alunno disabile oppure un peggioramento clinicamente valutabile della condizione psicofisica;
- il danno alla vita di relazione è riconosciuto solo se la mancata fruizione del sostegno ha interrotto o compromesso il “progetto di vita” tracciato nel Piano Educativo Individualizzato (PEI), lo strumento che definisce obiettivi e percorsi personalizzati per l’alunno.
L’importanza del PEI come parametro di riferimento
Il PEI, elaborato collegialmente con insegnanti, famiglia e specialisti, assume valore di parametro oggettivo per valutare se vi sia stato un danno effettivo. Secondo la giurisprudenza, il mancato rispetto delle indicazioni contenute nel PEI può costituire elemento di responsabilità dell’Amministrazione, ma solo se corroborato da effetti negativi documentabili sul piano dello sviluppo personale e relazionale dell’alunno.
Non basta dunque dimostrare la mancanza del sostegno: è necessario provare che tale omissione abbia compromesso le possibilità educative, sociali e di crescita, così come delineate nel progetto individualizzato.
La dimensione costituzionale del sostegno
Il Consiglio di Stato ha anche ribadito che la presenza del docente di sostegno rappresenta uno strumento essenziale per l’attuazione dei principi costituzionali relativi all’istruzione e all’inclusione. L’art. 3 della Costituzione italiana, che promuove l’uguaglianza sostanziale, legittima trattamenti differenziati ogni qual volta questi siano necessari per evitare discriminazioni. In quest’ottica, l’assegnazione di sostegno scolastico non è un privilegio, ma un diritto fondamentale che tutela l’integrità della persona.
Tuttavia, la violazione di tale diritto non comporta automaticamente il diritto al risarcimento, che va comunque valutato caso per caso, alla luce di elementi concreti e della tempestività dell’azione.
Il problema della tempestività dell’azione legale
Il caso esaminato nella sentenza n. 306/2025 evidenzia anche un problema di ordine procedurale: la tempistica dell’azione giudiziaria. Presentare un ricorso a distanza di molti anni rende difficile la raccolta di prove, la ricostruzione dei fatti e la determinazione delle responsabilità. La prescrizione, in questi casi, opera come limite sostanziale alla tutela giurisdizionale.
Il Consiglio di Stato, pur riconoscendo l’importanza del diritto al sostegno, ha quindi confermato la legittimità del rigetto del ricorso, anche in considerazione della lunga distanza temporale tra i fatti e l’iniziativa legale.