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Studente problematico? Potrebbe essere un ragazzo plusdotato, sono il 6% della popolazione. Cosa fare? INTERVISTA [VIDEO]

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Continuiamo il nostro viaggio nel mondo della plusdotazione, un mondo che ha ancora tanto da raccontarci. Ne parliamo con la Dottoressa Viviana Castelli, Presidente di Step-Net ODV e vicepresidente di CTS Gifted APS, ente accreditato al Ministero Istruzione per la formazione, nonché autrice di diversi libri sul tema e di progetti, e con il Professor Fabio Giona, Dirigente scolastico dell’Istituto di Istruzione Superiore “Bragaglia” di Frosinone e Presidente del CTS di Frosinone, capofila dei CTS del Lazio.

Dottoressa Castelli, lei è impegnata da molti anni ad accendere i riflettori in tutta Italia sul tema della plusdotazione cognitiva. Ci aiuta a capire meglio chi sono i bambini e i ragazzi Gifted quali sono i loro punti di forza e le loro debolezze?

Innanzitutto vorrei ringraziarvi per l’invito perché è un momento importante per parlare di questi bambini e di questi ragazzi. La prima cosa che mi sento di dire è quella di voler uscire dai miti e dai pregiudizi che possono aleggiare intorno a loro, perché per fare chiarezza dobbiamo metterci dei nuovi occhiali che ci permettano di focalizzarci sulle loro peculiarità, le loro capacità e le loro qualità. Spesso questi bambini arrivano con misdiagnosis o con sospetti di essere dei bambini che hanno delle problematiche, quando invece la prima cosa che dobbiamo dire è che ci troviamo di fronte a un numero considerevole di studenti, di bambini e di ragazzi, che la ricerca scientifica attesta intorno al 5/6% della popolazione, che hanno delle particolarità di apprendimento, di sensibilità, di lettura della realtà ed hanno modalità differenti di interpretare le informazioni e di rielaborarle. Se dovessimo dirlo scientificamente, sono dei bambini che hanno uno sviluppo atipico neurocognitivo delle proprie capacità. Questa parola però non ci deve indurre a pensare che stiamo patologicizzando, infatti voglio uscire da questo aspetto che rappresenta il primo mito e pregiudizio da sfatare. Sono dei bambini precoci che hanno uno sviluppo atipico rispetto allo standard, perché noi chiaramente lavoriamo sullo standard, che porta però un valore aggiunto, una qualità alla persona, al gruppo, alla società ed ai sistemi territoriali in cui vengono inseriti nei loro percorsi formativi di crescita. Come possiamo accorgerci che ci troviamo di fronte a dei bambini dei ragazzi così particolari? Fin da piccoli si possono notare dei predittori significativi e sono tutte delle qualità bellissime che possono dare un aspetto diverso anche alla nostra azione di educatori, sia che siamo genitori, insegnanti, dirigenti scolastici o esperti della salute. Parliamo di bambini molto precoci nella prima fase di vita, magari già dal primo anno di età, rispetto a quegli schematismi psicomotori che conosciamo tutti nelle varie fasi evolutive. Spesso alcuni sono anche precoci nella parola, che imparano a parlare improvvisamente e con un linguaggio complesso e forbito per la loro età. Se poi hanno delle caratteristiche specifiche in alcuni ambiti, in alcuni domini, possono essere precoci nella leadership e nella parte sociale, così come potrebbero esserlo negli aspetti logico matematici, nella lettura e nella scrittura. Questi sono gli aspetti più evidenti, più accademici, ma le altre qualità che loro hanno sono quelle dell’introspezione, dell’empatia, del farsi domande. Io li chiamo un po’ i bambini metafisici, quelli delle domande profonde sulla vita e sulla morte, sugli aspetti della solidarietà umana, dei valori quali la giustizia. Parliamo di bambini profondi, curiosi, che sono interessati all’uomo e alla vita e amanti della conoscenza, non sicuramente del nozionismo e delle cose banali.

Facciamo il punto sulla Normativa.

Certamente. Qui c’è il lavoro grosso che ha fatto tutto il team di volontari e professionisti che prestano le loro capacità a Step-net, l’associazione che rappresento, che è un’associazione di volontariato, ma anche all’ente formatore, che fa ricerca, formazione e fa progetti per questi ragazzi, per le loro famiglie e per le scuole che è CTS Gifted. Negli anni in cui ci siamo impegnati, personalmente me ne occupo da più di 15 anni e con i miei enti da più di 11 anni, abbiamo fortemente lavorato con le istituzioni, quindi con il Ministero, la settima Commissione della Camera dei Deputati, con i provveditorati, con le scuole e poi con i vari enti territoriali locali per portare questa tematica e farla conoscere sempre meglio, perché l’Italia è stata, e lo è ancora in parte, fanalino di coda rispetto alla Comunità europea su questi temi, sull’includere e sul far riconoscere i diritti di inclusione scolastica e allo studio per questi ragazzini. Questo lavoro ha portato, con il contributo di tantissime persone, a stimolare le massime istituzioni e quelle territoriali. Per cui a livello normativo possiamo dire che nel 2018 è stato istituito un tavolo tecnico al Ministero dell’Istruzione, di cui io sono membro, con l’obiettivo di scrivere le linee guida nazionali, delle quali mi auguro l’emanazione il prima possibile, che darebbero indicazioni oggettive nazionale. È vero che noi ci possiamo muovere in virtù dell’autonomia scolastica, ma avere comunque delle indicazioni di guida che siano uguali dalla Val d’Aosta alla Sicilia sarebbe importante. Altrimenti facciamo molta sperimentazione, molta ricerca azione, ed è quello che fa il mio ente, ma che però poi ha bisogno di concretizzarsi, in modo da poter portare questo lavoro in tutte le regioni d’Italia. Rispetto alla tutela dei diritti di questi ragazzi possiamo direche già una nota del Ministero dell’Istruzione del 2019, la nota 562, ci dice che possono essere inseriti all’interno degli studenti BES. In effetti la personalizzazione della didattica sicuramente sottiene ad un discorso d’inclusione riconoscendo che quando uno studente ha stili e ritmi diversi di apprendimento è corretto che la scuola si adoperi per una loro personalizzazione. Ci sono poi altre note che vanno a specificare come possiamo attivare il salto di classe per questi ragazzi, che è sicuramente una procedura dal punto di vista metodologico ottima, abbiamo visto che l’accelerazione e la verticalizzazione sono due delle metodologie più indicate per questi ragazzi, ma voglio dire che vanno utilizzate con cautela, con degli esperti all’interno di u nteam che segue questi ragazzi. Ogni caso è una storia a sé. È importante citare che noi possiamo lavorare per questi ragazzi semplicemente applicando l’inclusione, che deve essere valida per tutti gli studenti e quindi anche per quelli plusdotati, conoscendo bene la tematica, e quindi qui il valore della formazione, attivando la legge in vigore, la legge 107 del 2015, che all’articolo 1, ed in particolare al comma 29, che la scuola deve facilitare e sostenere la valorizzazione delle eccellenze, deve personalizzare i percorsi educativi e formativi dei nostri studenti, sostenendo i loro stili e ritmi di apprendimento. La norma stessa e la lungimiranza del lavoro della scuola, che è sempre stato fatto già dal ’77 quando si parlava di PDP, ovvero dei piani didattici personalizzati, senza dargli un’etichetta che riferissero ai DSA ma che riferissero appunto ai bisogni dei ragazzi per come si evincessero durante il loro percorso scolastico. Tornando all’esempio degli occhiali, possiamo dire che basterebbe utilizzare gli occhiali giusti per riconoscere questi ragazzi, che vuol dire semplicemente utilizzare il pensiero divergente per essere in grado di uscire dagli schemi ed andare oltre. Basta un’attenzione diversa e una rivalutazione delle competenze dei nostri docenti che mi permetto di dire sono veramente alte, e lo posso dire con cognizione di causa avendo collaborato anche con enti ed esperti stranieri. Le competenze pedagogiche e metodologiche dei nostri insegnanti sono molto alte, così come l’attenzione all’individuo della scuola italiana. Questi aspetti rapresentano un punto di forza della nostra scuola che dobbiamo imparare a mettere a fuoco.

Professor Giona, lei dirige un Istituto scolastico e porta avanti il Centro di Supporto Territoriale di Frosinone, da diversi anni state lavorando anche sul tema della plusdotazione, ci spiega quanto è importante questo tema a scuola e a che punto siamo con la formazione dei docenti?

Intanto mi preme dire che quello della plusdotazione è un tema estremamente importante per l’identificazione di un bisogno educativo. Attualmente siamo nella fase di identificazione degli studenti con plusdotazione. Questi due aspetti, identificazione del bisogno educativo e della platea degli studenti coinvolti, ci devono portare ad aprire una discussione sulle metodologie da applicare per questi alunni. Come già detto dalla dottoressa Castelli, ci sono già le opportunità, da parte delle scuole, di poter attivare dei percorsi di studio personalizzati, tuttavia credo che questa sia ancora, invece, una fase di studio, di analisi, perché, come abbiamo individuato, questi ragazzi rappresentano circa il 5% della nostra popolazione studentesca, quindi è chiaro che la scuola si deve interrogare su quali possano essere le metodologie più adatte da adottare. In questi anni abbiamo già avuto anche qualche spunto di riflessione, infatti noi, come scuola, abbiamo partecipato all’iniziativa Erasmus talent per confrontarci con quello che sta accadendo in Europa. Questo ci ha portati a scoprire che in Europa, su questo tema, sono un po’ più avanti. Noi, invece, ci distinguiamo in modo particolare per quanto riguarda l’inclusione. Come già detto noi siamo anche un Centro Territoriale di Supporto e quindi come CTS parlare di inclusione e parlare di buone pratiche è un nostro obiettivo. È molto importante che se ne parli di questo tema, come detto in precedenza, il tavolo tecnico istituito presso il Ministero, su questo tema, non ha ancora terminato i suoi lavori, però è ovvio che come scuola ci dobbiamo interrogare su quali siano gli approcci metodologici più adatti. Il confronto, l’opportunità della discussione, tutte le iniziative che i centri territoriali possono fare, rappresentano proprio i momenti che ci permettono, come dicevo prima, di individuare un bisogno educativo e soprattutto identificare questi studenti. Sentire gli esperti facilita il nostro lavoro, confrontarci con quella che è l’esperienza, chiamiamola un po’ così, delle persone specializzate, aiuta la scuola a individuare questi bisogni educativi. Poi lo strumento, certo, un piano personalizzato, ma io credo molto nella discussione, come ci diceva anche la dottoressa Castelli, e il confronto con i professori pionieri su questo tema ci aiuta a vedere quali sono le strategie che hanno trovato per affrontare questo bisogno educativo. Da questo confronto, da un’analisi sulle metodologie, noi ci auguriamo che presto si possa arrivare, ovviamente se è il caso, a delle linee nazionali che possano permetterci di meglio individuare il fenomeno nell’ambito della scuola.

Una domanda ad entrambi. Perché è importante occuparsi degli studenti plusdotati?

Professor Giona.

Ribadisco che il tema dell’inclusione è un tema estremamente importante. È chiaro che noi abbiamo avuto una grande attenzione per i ragazzi con le difficoltà, come anche lei ci diceva con la rappresentazione degli studenti secondo la curva gaussiana. Questi, invece, sono dei ragazzi che possono aiutare la didattica, perché attraverso il loro estro, le loro capacità, che possono essere analizzate e studiate, possono contribuire in una migliore didattica per tutti. La scuola è chiaro che ha un interesse per tutti gli studenti, e questi sono dei ragazzi speciali e come tali hanno bisogno della nostra attenzione. Fino ad oggi la scuola, chiaramente, trovandosi di fronte a dei ragazzi che tutto sommato alla fine rispondevano agli obiettivi della scuola, magari non ha prestato quell’attenzione che presume invece debbano avere. È proprio dall’analisi, dallo studio e dal confronto che vedremo come intervenire, ad esempio con dei compiti di realtà, con delle accelerazioni, con quegli strumenti che riteniamo, nella discussione accademica, siano gli strumenti più adatti. Ecco che possiamo arrivare ad una migliore didattica anche per questi gruppi ristretti. Il mio problema è sempre quello di non vanificare questi grandi doni di questi studenti e quindi l’obiettivo, per ognuno, è di cercare di arrivare ai loro sogni, alle loro capacità, ai loro estri e quindi ecco che portare questo tema all’interno del mondo della scuola, come vedete, vuol dire essere nel mondo dell’inclusione, dove anche chi ha una capacità, magari superiore alla media, non si senta escluso per altri motivi, che poi è la preoccupazione più grande che in questo momento porta la scuola a interrogarsi su questo tema. Come già evidenziato siamo ancora nella fase della sperimentazione, come ci ricordava la Dottoressa Castelli che da tanti anni lavora su questo tema, ma la scuola, come sempre, è un po’ un elefante, nel senso ci mette un po’ magari per partire, però di sicuro degli strumenti già ci sono, basta identificarli. Ecco che ritorna la fase di identificazione, ovvero la fase di individuazione del bisogno educativo. È la fase che in questo momento sta affrontando la scuola, ecco perché i Centri Territoriali cercano, in qualche modo, di parlare di questo tema, perché il confrontarci su questo argomento, e soprattutto su questi numeri, che sono dei numeri importanti, ci porta, appunto, ad una discussione metodologica e ad un miglioramento delle nostre pratiche didattiche.

Dottoressa Castelli.

Diciamo che ci sono degli argomenti molto interessanti ed è il motivo per cui ce ne dobbiamo occupare. Perché se ci occupiamo dei bambini e dei ragazzi ci dobbiamo occupare di tutti i bambini e ragazzi, sembra quasi scontato, lapalissiano, ma per molti anni questi ragazzi sono risultati invisibili e non per volontà o per non capacità, ma perché non c’era una conoscenza adeguata. Vorrei ribadire che la plusdotazione non è una diagnosi, non una malattia, ma è un dono. Sono delle capacità, dei talenti che però afferiscono ad un funzionamento differente dalla media. Intercettare questo bisogno, come diceva il Professor Giona, e sono molto concorde con la sua analisi, è fondamentale, e mettere anche a frutto tutto quel lavoro che la nostra scuola fa in merito alle metodologie innovative, perché la nostra scuola lavora tanto su questo, in merito anche all’inclusione. È vero che la scuola italiana è il capofila dell’inclusione in Europa, ma deve completarla sulla parte destra della curva gaussiana degli studenti, perché annesso alla plusdotazione ci sono quelli che noi chiamiamo i fattori di rischio. Voglio sempre dare una concezione positiva della tematica, però dobbiamo essere anche consapevoli che le persone che hanno dei bisogni particolari sono soggetti, poiché in un sistema troppo omologante e livellante questi ragazzi si sentono letteralmente dei pesci fuor d’acqua, non si sentono parte del gruppo né del sistema in cui sono inseriti. Non si sentono accolti nei loro veri bisogni e quindi il rischio di demotivazione sottende poi al sottorendimento e poi ad una frustrazione tale che può portare anche alla dispersione scolastica di questi ragazzi. Le derive sono, dal punto di vista scolastico, un fallimento per il nostro sistema scuola, perché se un ragazzo abbandona la responsabilità ce la dobbiamo prendere. Dall’altra parte è però un problema di proiezione e di prospettive verso il futuro e tutta quella parte che riguarda le competenze non prettamente accademiche/didattiche, ma che da tempo continuiamo a dire che sono fondamentali tanto quanto l’apprendimento didattico, cioè le competenze socio-emotivo-relazionali che sono la qualità che fa la differenza di un intervento educativo e formativo della scuola sui ragazzi, ma anche della famiglia e dei territori in generale, dove diamo valore aggiunto alla nostra aziona formativa ed educativa e siamo un po’ delle guide rispetto alla proiezione di questi ragazzi. Sicuramente con queste qualità noi rischiamo, in una situazione troppo omologante e non accogliente, di disperdere questo capitale. In primis la battuta a discapito della serenità e del benessere di questi ragazzi, ma poi, se lo guardiamo in un sistema più ampio quale siamo noi, è una dispersione che è un danno per tutta la collettività. Perché se il nostro scopo è creare dei cittadini consapevoli e competenti, inseriti in un mondo sicuramente complesso, ma pieno di sfide e anche di progetti che possono migliorare la vita di tutti, le risorse di questi ragazzi diventano veramente importanti per la collettività. Quindi abbiamo un doppio aspetto, quello individuale, dove dobbiamo promuovere il benessere e la salute di questi studenti, e dall’altra parte un benessere per la collettività. Il nostro impegno credo che sia un impegno importante e la presenza di questi studenti può dare valore a tutti, a sé stessi, alla meritocrazia e alla professionalità dei docenti, perché, come dico sempre, se un docente può aver accompagnato un ragazzo di qualità a fare un percorso e metterlo a servizio della collettività, penso che possa essere soltanto che orgoglioso di questo, allo stesso modo di come accompagniamo un ragazzo in difficoltà. Quindi credo che questo sia un tema fondamentale proprio per il nostro futuro, visti anche i tempi che stiamo vivendo che poi non sono così sereni, e rappresenta una bella sfida educativa.

A maggio si è svolto un convegno sulla plusdotazione a Cassino presso l’Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale, il prossimo 24 novembre si svolgerà a Roma un Seminario formativo regionale su questo tema. Chiedo ad entrambi quanto sono importanti questi appuntamenti e quali sono i vostri obiettivi?

Dottoressa Castelli.

Intanto ringrazio la disponibilità del territorio e le persone che hanno lavorato per realizzare il convegno all’Università di Cassino. Entrare nelle massime istituzioni è fondamentale. Volevo precisare che il lavoro di massima sulle linee guida è stato terminato, si aspettava la firma del Ministro che ora, con il cambio avvenuto di recente, avrà necessità di rivederle. È anche vero che in attesa di istruzioni superiori non bisogna fermarsi, perché altrimenti la scuola non si muoverebbe. Perché è vero che è un po’ elefantiaca, ma è anche tanto attenta, e la predisposizione di persone illuminate della scuola, come dirigenti scolastici ed insegnati, ci mette sicuramente in una buona condizione. La volontà e la preparazione cambiano tante cose. Questi eventi sono importanti per disseminare, per portare il bisogno e cogliere il bisogno, è doppio il motivo, raccogliamo il bisogno e lo evidenziamo. Questo ha permesso di incontrarci con il Professor Giona, con il suo staff e la sua scuola, ed è stato un incontro che a livello di modo muoverci c’ha trovato molto in sintonia e c’ha permesso, appunto, di ideare questo progetto del 24 di novembre, del quale tengo a dire che sarà formativo, e la partecipazione delle scuole del Lazio è un primo segno per dire che si può lavorare con una vera rete territoriale. Credo che lavorare in rete sia la parola chiave, dove tutte le figure adeguate, che ruotano intorno ai percorsi dei bambini e dei ragazzi, mettano insieme le loro competenze e costruiscano dei modelli virtuosi di collaborazione. Penso che l’obiettivo del seminario debba essere quello di portare la tematica ed il bisogno ad una platea più ampia, in questo caso quella delle scuole del Lazio, perché dobbiamo occuparci di questi ragazzi e dare già alcune indicazioni strategiche. Per quanto mi riguarda l’obiettivo è quello di portare una formazione specifica che metta in condizione gli insegnanti afferenti ai CTS del Lazio, dei quali capofila è quello del Professor Giona, ad avere già dei primi strumenti, per una precoce attività osservativa in classe, prima di passare ad una fase valutativa che spetta ai clinici, e lavorare con questi ragazzi perché la media ci dice che ce ne sia almeno uno per classe. Sono tantissimi e molti di loro sono invisibili ai più, quindi sicuramente può servire a questo il seminario.

Professor Giona.

Nella realtà, come poi è anche il titolo di questa iniziativa, la plusdotazione è un nuovo orizzonte per l’innovazione didattica e come tale ha bisogno e necessità di essere nutrito. Mi ritrovo in tutto quello che la Dottoressa Castelli ha evidenziato, è chiaro che siamo ancora nella fase di identificazione, nella fase in cui dobbiamo capire quali sono i bisogni socio-emotivo-relazionali con l’obiettivo dell’ampliamento delle prospettive di questi studenti. Quindi il momento è quello di ampliare la platea di insegnanti che conosca questo tema. Qualche scuola, come la mia, ha già provato ad interrogarsi su questi talenti. Noi, avendo all’interno del nostro istituto un liceo musicale, veniamo spesso in contatto con un talento particolare, che è poi il talento e l’amore per questa scienza. Capire che esistono questi ragazzi, che hanno un bisogno educativo speciale, è un nuovo orizzonte dove si lavora e si deve andare su una discussione che porti a riflettere sulle metodologie e gli approcci da avere. Un altro piccolo aspetto, che credo abbia bisogno questa discussione, è cercare di capire in quale fase di sviluppo intervenire. È chiaro che in ogni fase, del mondo della scuola e della vita, avere un’informazione in più sui nostri studenti è sempre utile, però si può cominciare presto, già nelle prime fasi degli istituti comprensivi per poi arrivare alle superiori. Quindi discutere, analizzare, studiare l’innovazione didattica rappresenta un tema che certamente per i Centri Territoriali di Supporto, come hanno già fatto per l’inclusione su quella che lei ha chiamato la prima fetta della gaussiana, debba invece oggi rappresentare il coinvolgimento della totalità degli studenti, includendo anche queste nuove necessità formative.

Chiudiamo con un’ultima domanda. Dottoressa Castelli, cosa può fare chi cerca un aiuto per un bambino/ragazzo gifted sia esso un genitore o un docente?

Questa è una domanda importantissima perché è quello che si vuole fare anche con il seminario e con gli interventi che noi facciamo. Personalmente ho incontrato centinaia di famiglie in Italia con bambini e ragazzi plusdotati. Molti non lo vogliono dire a scuola perché temono una sorta di emarginazione al contrario. Noi dobbiamo fare un lavoro importante anche con le famiglie, dobbiamo creare un’alleanza vera tra la scuola, la famiglia, le istituzioni ed il territorio che sostenga i genitori di questi bambini. A volte il pregiudizio sulla tematica nel nostro paese parte anche dal nome stesso di “plusdotazione”, sono dotato di più e quindi non ho bisogno di niente. In realtà in tutto il mondo questi studenti vengono chiamati Gifted Children, bambini che portano dei doni, forse questo è un termine più corretto per far capire chi sono e toglierebbe tutto questo aspetto di prestazione e di supponenza che sembra questo nome possa avere all’interno. In realtà l’ideale sarebbe proprio che la scuola, con la sua sensibilità di osservazione e conoscenza indirizzi i genitori, perché molto spesso i genitori sono i primi a non conoscere questo tema. È importante ribadire che la plusdotazione è su base biologico-genetica prima di tutto, non si ha la plusdotazione e non si diventa plusdotati. Posso potenziare le capacità, ma non divento plusdotato. È una condizione particolare che riguarda tutta la persona nella sua globalità, come dicevamo brevemente all’inizio, quindi è veramente un fattore democratico e succede che spesso chi arriva al suo traguardo di successo personale, che comprende anche quello scolastico, poi il realizzarsi come persona è una cosa un po’ più complicata. Spesso molti di loro non arrivano al successo personale perché magari nascono in un ambiente che magari non è supportivo culturalmente o economicamente. Noi sappiamo quanto l’ambiente incida nel percorso di tutti i nostri ragazzi e quindi anche di quelli plusdotati. Riuscire a scoprire questo dono, anche grazie all’intervento della scuola, può dare veramente una svolta alla vita di questi bambini che magari nascono in ambienti poco supportivi. Cosa possiamo fare, nel mio ente siamo a disposizione di tutti gli insegnanti che vogliono entrare in contatto con noi, negli ultimi due anni abbiamo formato più di 3.500 insegnanti, un numero enorme. Abbiamo formato tantissime scuole, siamo in contatto con molti insegnanti, anche personalmente, per seguire i percorsi di questi bambini e ragazzi. Abbiamo incontrato tantissime famiglie, abbiamo disseminato tantissimo, più di 10.000 persone sono entrate in contatto con noi negli ultimi 3 anni. E questi numeri ci fanno capire che il bisogno è enorme. Noi possiamo consigliare, indirizzare, aiutare a capire la tematica e ad aprire gli occhi, a togliere il sospetto della misdiagnosi, perché quando c’è una comorbidità va riconosciuta, ed è importantissimo, ma quando non c’è va assolutamente chiarito, perché inserire un bambino semplicemente plusdotato in un percorso, ad esempio per ADHD, gli fa solo del danno. Così come gli fa altrettanto danno non capire che è plusdotato con una comorbidità, ad esempio un DSA. Mi capita di seguire ragazzi che a 15 anni sono in questo profilo che chiamiamo di doppia eccezionalità, ovvero plusdotati e DSA. Capite bene che non c’è un’età per scoprirlo, e mi riallaccio alle parole del professor Giona, ma c’è la precocità, più siamo precoci nell’individuare, più facciamo bene il nostro lavoro, perché scoprire questa cosa a 15 anni è vero che si può fare, però è chiaro che è più complesso il lavoro da fare rispetto a quello con un bambino piccolo. Quindi più siamo attenti, più individuiamo precocemente, e più possiamo cambiare in positivo la traiettoria di sviluppo di questi bambini, dargli benessere, e rendergli la scuola o la famiglia un luogo felice in cui crescere. Uso spesso la parola felicità, che può sembrare una parola banale, ma che invece è importante e ricca di significato. Lo diceva anche la Montessori, se noi rendiamo un bambino a scuola felice abbiamo fatto gran parte del nostro lavoro, quindi viva la felicità ed il benessere dei nostri studenti. Per gli insegnanti è importante imparare a lavorare in una rete di competenze e avere l’umiltà, quando non si è in grado di supportare i propri studenti, di trovare all’interno del gruppo le giuste competenze ed imparare ognuno dall’altro. Questo credo sia la chiave per rendere felici questi bambini e ragazzi.

Un’ultima domanda anche a lei Professor Giona, come è possibile migliorare la formazione e l’attenzione sul tema della plusdotazione nel mondo della scuola a partire dai primi cicli di formazione?

È chiaro che, come abbiamo accennato, ogni volta che abbiamo un’informazione in più sui nostri studenti è sempre importante, perché in tal modo riusciamo ad adeguare l’offerta formativa. Per fare ciò basta fornire degli strumenti per costruire quella che io chiamo la cassetta degli attrezzi, che ci permetta di affrontare anche il tema dei doni della plusdotazione. Effettivamente mi piace di più parlare dei ragazzi che hanno un dono, la reputo migliore come scelta, anche se in Italia abbiamo adottato questo termine di “plusdotazione” che qualche volta porta un po’ a parlare di quella supponenza di cui prima la dottoressa Castelli ci aveva accennato. Ecco perché siamo nel momento dell’individuazione, della discussione metodologica, ovvero della fase che ci porti a fornire questi strumenti, la necessità degli attrezzi, il sapere come posso includere anche questi studenti, come cambia la mia didattica in classe, quali sono le opportunità. come abbiamo riportato negli esempi in precedenza posso accelerare, dare compiti di realtà, dare stimoli nuovi, posso non farli fermare mai. È importante l’accenno che si è fatto della comorbidità con l’ADHD, questa è la grande distinzione. Noi spesso entriamo in classe e vediamo questi ragazzi che sono un po’ più agitati, però c’è chi è agitato perché ha una necessità di fare qualcosa in più e chi è invece agitato perché ha una difficoltà di apprendimento. Ecco, quando siamo in presenza di questi studenti, specialmente se poi magari hanno anche qualche altra comorbidità come ad esempio una dislessia o una disortografia, per un insegnante avere uno strumento, una metodologia, riuscire attraverso un test ad individuarli precocemente, riuscire ad avere una cassetta degli attrezzi, rappresenta la differenza per un’azione didattica efficace. È questo l’obiettivo che oggi il Centro Territoriale si è dato e questa iniziativa formativa del prossimo 24 novembre è un esempio di discussione informata tra tecnici che si confrontano per migliorare la metodologia didattica innovativa del mondo delle scuole.

Per salutarci, Dottoressa Castelli quali sono i prossimi appuntamenti e progetti?

Noi abbiamo tantissime attività extra-curriculari per sostenere le capacità di questi ragazzi e promuovere le loro competenze socio-emotivo-relazionali e le potete trovare sul nostro sito. Stiamo lavorando ad un progetto europeo e speriamo che venga selezionato. Questo potrà essere un importante altro spunto di argomento per l’approccio alla tematica. Abbiamo pubblicato sulla piattaforma SOFIA un corso per la plusdotazione, quindi anche individualmente i docenti interessati, con la carta del docente, possono prendere informazioni e partecipare. Mi auguro di proseguire la collaborazione con il Professor Giona, abbiamo aperto una porta nel Lazio, ma vorrei che riuscissimo ad aprire un portone in modo da poter lavorare in maniera importante. In prospettiva abbiamo l’intenzione di organizzare un convegno internazionale per il prossimo anno, cercando di coinvolgere tutte le persone che sono entrate in contatto con noi rispetto alla tematica. Vorrei anche dire che la nostra associazione ha una collaborazione con l’istituto nazionale di astrofisica e una nostra squadra, composta da nostri ragazzi con la collaborazione di un professore di Fisica delle scuole superiori, parteciperà ad un concorso internazionale di INAF. Con l’invio nello spazio del telescopio James Webb si è individuato una porzione di spazio dove ci sono molti sistemi solari simili al nostro con diversi esopianeti. Quindi ci sono tanti corpi celesti che non hanno ancora un nome. Anche questo è un modo diverso per fare didattica, coinvolgendo istituti italiani e fare orientamento. Se mi posso permettere un ultimo passaggio, mi preme dire che sto lavorando tanto con le scuole secondarie di secondo grado e la verticalità degli istituti comprensivi nella scuola italiana è molto importante, perché permette una continuità didattica e di informazioni preziosissima sulla personalità degli studenti di ciclo in ciclo. Il fatto poi di usare bene questo aspetto, che non si trova negli altri paesi, permette che all’arrivo nella scuola secondaria di secondo grado, con un portfolio e un accompagnamento di informazioni, permetterà ai professori di questi istituti di accoglierli nel modo adeguato e fare quel lavoro importantissimo di orientamento per questi ragazzi. Perché un altro problema della loro dispersione, o almeno della loro demotivazione, è che a volte sono in difficoltà nell’orientarsi in quanto hanno così tanti interessi che a volte fanno fatica e sbagliano a scegliere. Quindi avere il ruolo di mentore nella scuola, che gli aiuta ad indirizzarsi, a capire bene se stessi e dove si vogliono proiettare, sicuramente è un altro ruolo che possiamo assegnare alla scuola secondaria di secondo grado per i ragazzi plusdotati.

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