Studente dislessico, come interagire? I consigli dell’esperto ai docenti

Tra i disturbi specifici dell’apprendimento possiamo dire che la dislessia è il più noto, ma come bisogna interagire con un alunno dislessico? Ne abbiamo parlato con il Professor Filippo Barbera, docente e formatore, specializzato in psicopatologia dell’apprendimento e nel metodo Montessori.
Professor Barbera, siamo nella settimana nazionale dedicata alla Dislessia, lei ha recentemente pubblicato il libro “Dislessia – Scuola Primaria”, una guida rapida per insegnanti edito dalla Erickson. Ci spiega qual è l’obiettivo che volete raggiungere con questo volume?
Gli obiettivi sono due. Il primo, se vogliamo, è pragmatico e didattico e si concretizza nel voler mettere a disposizione dei docenti uno strumento che possa fornire dei suggerimenti concreti mediante i quali è possibile adottare azioni di intervento e, allo stesso tempo, è possibile approfondire alcuni aspetti legati ai disturbi specifici dell’apprendimento, in particolare della dislessia, per attuare degli interventi che siano sempre più consapevoli e mirati. Dall’altra parte c’è un obiettivo di tipo divulgativo, nel senso che si mira a far passare il messaggio che avere una difficoltà non vuol dire non essere in grado di apprendere, ma semplicemente che è necessario investire di più su quelle che possono essere le strategie didattiche, sul rispetto dei tempi di apprendimento degli allievi e soprattutto su una maggiore sensibilità. Come tanti altri colleghi, essendo dentro la scuola, percepisco ogni giorno quella voglia di rimettere al centro la didattica e questa guida nasce un po’ con questo obiettivo, perché noto che gli insegnanti vogliono concentrarsi maggiormente su questi aspetti più che su obblighi che possono essere di natura burocratica, gli insegnanti hanno voglia di mettersi in gioco in questo campo.
In questa guida vi rivolgete principalmente alla scuola Primaria, ci spiega i motivi di questa scelta?
La decisione è stata effettuata perché la scuola Primaria ha un ruolo chiave nella costruzione delle competenze, soprattutto quelle legate alla lettura, alla scrittura e al calcolo, che stanno alla base degli apprendimenti futuri, ma è anche il ciclo di studi dove potrebbe verificarsi maggiormente l’emergere degli aspetti legati ai disturbi specifici dell’apprendimento, in particolare la dislessia. Da questo punto di vista è importante avere presente che la dislessia è un disturbo che si manifesta in una difficoltà a decifrare, sostanzialmente, un testo, quindi se abbiamo chiare alcune situazioni e se siamo abili ad osservare, ecco che riusciremo ad intervenire con strategie molto precise ed efficaci, soprattutto senza stravolgere la didattica quotidiana, che è molto importante. In questo modo riusciremo a realizzare anche un processo di inclusione e seguire i bambini con un lavoro che potremmo definire di alta sartoria, che permetta di realizzare degli interventi mirati alle caratteristiche dei bambini dandogli le strategie, gli strumenti e determinati contenuti presentati in un certo modo. La guida parte proprio da questo, si parte dall’individuare la situazione in atto, si indica quello che è possibile fare per raggiungere un livello minimo e se poi l’insegnante investe anche sugli aspetti relazionali ecco che può ottenere un livello molto importante.
Riconoscere un alunno dislessico non è semplice, spesso questo disturbo viene confuso con una scarsa motivazione allo studio. Quanto è importante riuscire ad inquadrare correttamente l’alunno e farlo il più precocemente possibile?
È molto importante, è una delle chiavi di volta in grado di garantire il successo formativo dello studente. Ci tengo particolarmente e a tal proposito permettetemi di raccontare la mia storia. Io sono un dislessico, disgrafico, disortografico e discalculico, la mia fortuna è stata che nel 1994, in prima primaria, la mia insegnante, semplicemente osservando i miei comportamenti e i feedback che davo in merito a quelli che erano gli esercizi o la didattica che mi proponeva, ha cominciato ad avere dei dubbi sul fatto che potessi avere un profilo di funzionamento assimilabile alla dislessia. A quel punto ha contattato i miei genitori invitandoli a fare un percorso specialistico, quindi a rifarsi a persone che hanno competenze tecniche per valutare la presenza di disturbi specifici dell’apprendimento, e nel 1996, nella terza primaria, quando è possibile fare diagnosi di DSA, è arrivata la diagnosi vera e propria. Quello che voglio sottolineare, e che ritengo importante, è che grazie a queste osservazioni e a quest’iter che si è avviato, la mia insegnante e la mia famiglia hanno potuto lavorare con me, motivarmi, sostenermi, portarmi a fare degli esercizi che fossero focalizzati e mirati. L’altro aspetto importante legato all’osservazione è che quest’ultima venga effettuata priva dal giudizio, nel senso che non devo vedere delle caratteristiche in un mio allievo e assegnare subito l’etichetta diagnostica associata, perché questo non è particolarmente utile o efficace. È invece utile riflettere sulle manifestazioni dell’alunno e domandarsi come si può intervenire dal punto di vista didattico per fare la differenza e da lì praticamente si apre un mondo.
Quali sono gli errori più frequenti nell’approccio didattico verso questo disturbo?
Gli errori possono essere di vario genere, quello più frequente è legato all’applicazione dell’effetto pigmalione che si realizza nel momento in cui noi docenti abbiamo delle aspettative relative ai nostri allievi e queste aspettative di fatto determinano delle profezie che poi si autoavverano. Questo perché inconsciamente ci comportiamo in un determinato modo che ci porta a dare meno attenzione ad un bambino che invece avrebbe più necessità. In pratica subiamo un effetto di distorsione dato da questo nostro pregiudizio, se voglio un vero e proprio stereotipo. È molto importante avere fiducia negli allievi e non partire prevenuti dando per scontato che un bambino non possa farcela, come e capitato a me con alcuni miei insegnanti che per il fatto che fossi dislessico davano per scontato che non avrei mai imparato a leggere bene e quindi rinunciavano ad investire su di me. Questa cosa ha creato non pochi problemi andando avanti, però ho trovato anche tanti professori che invece partivano dalla mia caratteristica e provavano ad adottare varie strategie per supportarmi.
L’atteggiamento di questi docenti per me è stato veramente d’ispirazione, in questo caso mi rivolgo anche alla scuola secondaria di secondo grado dove le strategie sul metodo di studio che diversi professori mi hanno dato sono poi state alla base della costruzione di un mio metodo personale per studiare. Un altro errore che si può commettere è quello di arroccarsi su una didattica troppo tradizionale che se da un lato ha la sicurezza data da un contenuto, da una programmazione se vogliamo solida, dall’altro lato c’è il rischio di non avere quella personalizzazione che permetta all’allievo che ha un diverso stile di apprendimento, un diverso ritmo di apprendimento, di interiorizzare. Potremmo citarne molti, ma per brevità voglio soffermarmi solo su un altro punto che ritengo importante e che sono gli automatismi didattici. Spesso nella scuola si creano alcuni automatismi didattici che sono rischiosi, uno dei più frequenti è l’associazione dell’alunno con DSA alle misure dispensative, bisogna fare attenzione perché se è vero che gli alunni DSA hanno bisogno delle misure dispensative, queste misure devono essere utilizzate partendo da una scelta consapevole e ponderata, perché, ad esempio, è vero che ci sono dei casi in cui il computer può essere utile, ma in altri casi il computer può essere d’impaccio se non d’intralcio. Quell’elenco di strumenti compensativi che spesso viene fornito va pensato sul bambino, sulla situazione e sul contesto classe, anche perché ci sono dei casi, e lo si nota maggiormente salendo con i gradi scolastici, nei quali lo strumento compensativo può marcare tanto la differenza e quindi lo studente può rifiutare questi strumenti perché lo fanno sentire diverso rispetto ai compagni. Lì c’è tutto un lavoro di preparazione che deve essere fatto che è veramente molto importante. Questi sono gli aspetti su cui è importante fare una riflessione proprio perché sono frequenti, ma che sono, se vogliamo, facilmente risolvibili nel momento in cui ci fermiamo un attimo e ci mettiamo a pensare su quale direzione stiamo prendendo.
Un’ultima domanda. Abbiamo visto prima che non possiamo strutturare un’azione educativa efficace senza prima conoscere come apprende un alunno dislessico e quali siano gli ostacoli da superare. Nel suo libro per ogni argomento trattato lei suggerisce cosa fare e cosa non fare. Quanto è efficace questo tipo di approccio?
È un approccio molto pragmatico, quindi ha la sua efficacia per aver un intervento immediato. È chiaro che diventa tanto più efficace tanto più l’insegnante approfondisce e quindi ha una risposta specifica ad esempio a un tipo di esercizio, quale può essere quello con la figura o parola target, arrivando a personalizzare l’esercizio stesso e a costruire dei testi ad hoc. Ad esempio ci sono dei lavori sulla comprensione, che vengono citati nel libro, che se personalizzati sulla base di quello che è il contesto in cui l’insegnante si trova possono diventare anche un catalizzatore inclusivo, perché possono coinvolgere tutta la classe. Un altro esempio è il lavoro che si può fare sulla comprensione d’ascolto che diventa efficace per tantissimi alunni, perché si va a lavorare sulla comprensione e su altri aspetti. Quindi l’approccio proposto è efficace nella misura in cui un docente prende il suggerimento e lo arricchisce, questo permette di intervenire in maniera mirata e precisa. Voglio concludere precisando che i suggerimenti che si trovano nel libro si rifanno a quella che è attualmente la posizione della comunità scientifica, sono un insieme di buone pratiche che hanno avuto dei riscontri da parte della comunità scientifica.
punto di partenza. Sapere cosa fare e non fare è una strategia pragmatica che ti permette di effettuare dei carotaggi e di approfondire partendo da una base. Quello dell’insegnante è un lavoro di alta sartoria… sui nostri alunni compiamo un lavoro raffinato e il vestito che realizziamo è per certi versi unico… io penso sempre alla didattica come all’unione di tecnica e creatività. Questi aspetti devono essere interconnessi. L’insegnante appassionato sa prendere un suggerimento … un cosa fare o un cosa non fare… e trasformarlo in qualcosa di più… in qualcosa che sicuramente lascia il segno nei bambini… un po’ come ha fatto la mia maestra delle elementari. Io credo nella Didattica… e sono convinto di non essere l’unico nella scuola!