Stop ai voti e valutazioni descrittive, “ecco perché gli studenti lavorano di più”. L’esperienza al Liceo Copernico-Luxemburg di Torino. INTERVISTA a Roberto Trinchero

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“Ricevere il voto per me è indifferente: l’interrogazione ha sempre lo stesso valore”, risponde uno studente. Gli fa eco un altro: “Non serve un voto a farmi capire se sono andato bene o male”.

Un altro ancora osserva: “Senza il voto sono più propenso a focalizzarmi su ciò che è andato bene o male nella mia interrogazione”. E ancora un’altra risposta: “Trovo che il metodo cooperativo sia utile per socializzare e ottenere più conoscenza”; Di più: “Mi sono anche divertito”. Si prosegue: “Dove non arrivi tu, arriva il tuo compagno”; “Puoi farti dare una mano”; “Puoi vedere come lavora il tuo compagno”; “Si impara insieme”.

Per Ernestina Morello, docente di materie letterarie e latino presso l’Istituto d’istruzione secondaria Copernico-Luxemburg di Torino, le risposte dei suoi ragazzi di 1D del Liceo scientifico sono commoventi. La professoressa in effetti si commuove a mano a mano che legge le risposte dei suoi alunni alle domande di autovalutazione e sul metodo di lavoro, collegate ai giudizi descrittivi che la docente assegna alla classe al posto dei voti. “Era da moltissimo tempo – ammette – che aspettavo la possibilità di realizzare questo progetto.

Da quest’anno lavoro all’I.I.S. “Copernico-Luxemburg” di Torino e ho trovato un ambiente fervido di iniziative e propenso all’innovazione. Ma soprattutto c’è un grande senso della libertà di insegnamento, non affossato dall’omologazione burocratica e rafforzato dal rispetto reciproco. C’è inoltre una grande alleanza nel mantenere alto il profilo educativo e culturale dell’Istituto. Ho pensato quindi che ci fossero tutte le condizioni idonee perché il progetto potesse prendere vita e potesse essere sviluppato nelle sue potenzialità. Voglio ringraziare le famiglie e gli studenti che mi hanno dato fiducia e hanno deciso di accompagnarmi in questa avventura, di cui scopriremo insieme gli esiti”. Il progetto ha coinvolto anche i docenti di scienze, sostegno e inglese”.

L’Istituto Copernico-Luxemburg è nato nell’anno scolastico 2015/16, dalla fusione del Liceo Scientifico Niccolò Copernico con l’Istituto Tecnico Economico Rosa Luxemburg, già attivi sul territorio fin dal 1977. Ai due ambiti tradizionali di Liceo Scientifico e di Istituto Tecnico, nell’anno scolastico 2015/2016 si è poi aggiunta la sezione di Liceo Linguistico. “I motivi che mi hanno spinta ad attuare la sperimentazione, oltre a quelli di natura docimologica – precisa Morello – sono la rincorsa al 10 e la commercializzazione del voto, che frustrano il piacere dell’apprendimento e dello stare insieme”.

Invece, “con questa metodologia – prosegue lei – il docente e lo studente lavorano di più. Il docente produce delle valutazioni non più numeriche ma descrittive sulla base dei processi cognitivi acquisiti e maturati e lo studente lavora per svilupparli e rinforzarli. I processi cognitivi sono essi stessi la finalità, oltre che la base, della conoscenza. Inoltre la valutazione descrittiva riduce il rischio di soggettività per il suo carattere discorsivo fondato sulle evidenze accertabili dai processi cognitivi. La valutazione descrittiva è anche più inclusiva perché esprime un giudizio tecnico senza creare classifiche”.

L’esperienza della classe senza voti, che arriva proprio nel bel mezzo del dibattito suscitato dall’analoga esperienza condotta a Roma presso il Liceo Morgagni, di cui abbiamo ampiamente riferito, si avvale della collaborazione del professor Roberto Trinchero, professore ordinario di Pedagogia sperimentale e Docimologia presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino.

Professor Roberto Trinchero, come nasce il progetto della classe senza voti nel Liceo Copernico-Luxemburg di Torino?

“Il progetto nasce da un’idea della professoressa Ernestina Morello, che ha voluto mettere in pratica nella sua classe le teorie della valutazione formativa. L’idea della valutazione formativa risale agli anni ’60 e negli ultimi anni ha ricevuto un’attenzione crescente, anche grazie al passaggio, nella scuola primaria, dal voto numerico ai giudizi descrittivi. Questo ha agevolato il processo perché ha posto l’attenzione sul perché si valuta, più che sull’espressione della valutazione”.

Perché si valuta?

“La funzione della valutazione – e lo dicono tutte le norme che la disciplinano – è una funzione formativa, cioè deve servire a migliorare gli apprendimenti. In questo senso il voto è del tutto inutile. Il voto può avere senso al termine di un percorso, come valutazione sommativa, ossia sintesi di quanto acquisito nel percorso stesso. Il voto in sé non fornisce indicazioni su come migliorare l’apprendimento, il giudizio descrittivo sì, fa capire in modo dettagliato quanto è stato appreso dagli studenti e quali sono i margini di miglioramento, li aiuta ad avere consapevolezza dei propri punti di forza e delle carenze del momento e quindi ad avviare un percorso migliorativo. E’ dagli anni ‘90 che la normativa insiste sull’adozione di questa prospettiva valutativa. Il voto può essere utile al termine di un ciclo di studi, come certificazione finale, ma se dato all’interno di un percorso non adempie proprio a questa funzione”.

Professore, quali sono i riferimenti normativi sulla valutazione che è bene avere sempre presenti?

“Anzitutto lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti della Scuola secondaria (DPR 249/98), che all’art. 2, comma 4 recita: «Lo studente ha […] diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che lo conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento». La trasparenza della valutazione si realizza con un giudizio descrittivo dettagliato. Un “7” o un “8” sono tutto fuorché trasparenti. Il DL 62/2017 all’art. 1, comma 1, recita: «La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze» e all’art. 2, comma 1, aggiunge: «La valutazione periodica e finale degli apprendimenti delle alunne e degli alunni nel primo ciclo, ivi compresa la valutazione dell’esame di Stato, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo, è espressa con votazioni in decimi che indicano differenti livelli di apprendimento». Anche qui la normativa è molto chiara: si valuta per migliorare gli apprendimenti, documentare lo sviluppo dell’identità personale e promuovere l’autovalutazione. In tal senso solo sulle schede di valutazione periodica e finale devono essere espresse votazioni in decimi e comunque questi devono essere «correlati alla esplicitazione dei livelli di apprendimento raggiunti dall’alunno» (Schede di approfondimento ai decreti attuativi de ‘La Buona Scuola’, disponibili sul sito MIM). Quindi il voto va inteso come sintesi periodica e finale di giudizi descrittivi relativi ai livelli di apprendimento e non come unica espressione della valutazione”.

Da questi spunti normativi si potrebbe dedurre per assurdo che il voto numerico per la valutazione delle singole prove dell’allievo sia illegittimo?

“I voti non sono proibiti dalla normativa che, ovviamente, non dice all’insegnante come deve valutare. La normativa dice semplicemente: devi scegliere una forma di valutazione che concorra a migliorare gli apprendimenti, documentare lo sviluppo dell’identità personale e promuovere l’autovalutazione. L’insegnante può scegliere, ed è giusto che possa farlo. Però, nello scegliere, deve orientarsi verso quelle forme di valutazione che sono coerenti con le finalità espresse dalla normativa. Non vedo proprio come un voto numerico assegnato alla singola prova dello studente possa esserlo, se non viene accompagnato da un solido giudizio descrittivo che riporti in modo chiaro gli obiettivi raggiunti e quelli in via di raggiungimento. Se il docente si limita a dare un voto senza fornire una chiara esplicitazione dei livelli di apprendimento raggiunti dall’alunno non sta ottemperando nel modo migliore alla normativa. Non sto dicendo che l’insegnante non deve dare il voto – ci mancherebbe – ma che quello che conta è il giudizio descrittivo che lo accompagna, e soprattutto laddove vi è il giudizio descrittivo non vi è alcun obbligo di dare un voto nella singola prova”.

Il giudizio descrittivo dovrebbe focalizzarsi soprattutto sugli obiettivi non conseguiti?

“Anche su quelli raggiunti, per favorire la motivazione dello studente, per fargli acquisire consapevolezza degli esiti positivi che i suoi sforzi hanno portato. Sapere quali obiettivi sono stati raggiunti e quali non sono stati raggiunti e cosa deve fare dopo per riuscire a raggiungerli è uno straordinario veicolo di apprendimento. Aggiungo che la CM 1865/2017 sottolinea che dall’anno scolastico 2017-2018 «per tutte le alunne e tutti gli alunni di scuola primaria e secondaria di primo grado la valutazione periodica e finale viene integrata con la descrizione dei processi formativi (in termini di progressi nello sviluppo culturale, personale e sociale) e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti conseguito», quindi è la normativa stessa a chiedere di affiancare alla sintesi numerica periodica e finale una descrizione analitica e formativa dello studente, probabilmente proprio per la consapevolezza che il voto da solo non dà informazioni utili sulle acquisizioni, sulle potenzialità e sulle carenze dell’allievo”.

Questo solo nella scuola primaria?

“No, questo vale per tutto il primo ciclo, quindi anche per la secondaria di primo grado. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti si applica però anche alla secondaria di secondo grado, quindi è palese come serva un impianto che garantisca la trasparenza della valutazione anche in questo ordine di scuola e che dia un significato ai numeri con cui si esprime la valutazione, che consenta agli studenti e alle famiglie di capire perché lo studente ha preso 7 e non 8 in una prova, sempre rapportando la sua prestazione agli obiettivi presenti nella programmazione”.

Se così stanno le cose perché c’è tanto ostracismo verso una scuola senza voti numerici?

“Anzitutto perché mettere un voto sulla base di criteri non precisati e interni al docente è un’operazione molto più rapida che redigere un giudizio descrittivo, il quale richiede tempo, impegno e un riferimento preciso agli obiettivi della programmazione”.

Gli insegnanti nel mettere un voto numerico in genere se la cavano con le griglie

“Può essere un modo per rendere trasparenti i criteri di assegnazione del voto numerico, però le griglie devono essere riferite agli obiettivi previsti in programmazione e questi devono essere formulati correttamente, se si riferiscono a criteri generici non sono esplicative. Poi le griglie vanno rese note in anticipo agli studenti e alle famiglie, altrimenti li studenti devono “indovinare” questi criteri e non è sintomo di buona valutazione. Spesso però una griglia esplicita di criteri manca proprio: si dà il voto basandosi sulla prima impressione e non sulla base di un impianto analitico”.

Il ragazzo – dicono i docenti che non condividono l’abolizione dei voti – capisce subito che cosa voglia dire prendere sei e mezzo o sette meno

“No, il ragazzo non capisce perché ha preso sei e mezzo o sette meno se manca un giudizio descrittivo che lo aiuti ad associare queste espressioni della valutazione agli obiettivi effettivamente raggiunti. E spesso non lo capisce nemmeno il docente: è dagli anni ’20 del secolo scorso che sappiamo che valutazioni degli stessi elaborati date senza sistemi di criteri espliciti e non ambigui cambiano da valutatore a valutatore e addirittura se lo stesso valutatore valuta in tempi differenti. E’ da queste riflessioni che è nata la docimologia. Dove manca un’esposizione precisa del perché si è assegnato sei e mezzo a quella prova anziché sette, l’allievo si chiederà sempre perché il suo compagno ha preso più di lui e si farà un’idea della valutazione come di un’azione arbitraria compiuta dal docente, un semplice ‘esercizio di potere’: ti ho dato sei e mezzo perché io, docente, ho deciso così…”.

Addirittura

“Se l’insegnante ha il potere di dare un voto senza attenersi a criteri espliciti e non ambigui, il voto diventa un’arma per la gestione della classe: ‘Siate disciplinati o prenderete un brutto voto…’. Ovviamente con il giudizio descrittivo l’effetto non sarebbe lo stesso….

E questo non va bene?

“Questo c’entra veramente poco con l’apprendimento, anzi non c’entra nulla. Sembra più una dinamica di rapporti di forza in classe…”

Può essere addirittura deleterio?

“Sì, dà l’idea che il voto non è ancorato alla preparazione dello studente ma a una pluralità di altri fattori, non tutti controllabili. Questo può demotivare gli studenti. L’obiettivo diventa quello di prendere un buon voto a tutti i costi, a prescindere da ciò che si è realmente appreso. In questi casi, prendere un buon voto non significa automaticamente aver ottenuto apprendimenti significativi e duraturi”.

Spesso i ragazzi stessi ammettono che senza il voto studiano meno, che non sono spronati a studiare se sanno di non avere un voto

“E’ un comportamento che mi preoccupa. Significa che sono stati abituati a studiare in funzione del voto e non in funzione di una vera comprensione degli argomenti studiati. Basta ripetere pedestremente quel che dice il professore anche senza comprenderlo, giusto per raggiungere un voto che consenta di superare l’ostacolo. Che tristezza una scuola così. Bisognerebbe chiedersi: cosa ha fatto sì che ragionino in questo modo? Il comportamento degli adulti nei loro confronti non c’entra proprio nulla?”.

E per far contento il genitore

“Il genitore a volte si accontenta di vedere un buon voto in pagella senza chiedersi cosa abbia davvero appreso il figlio. Anche questo è molto triste”.

Tante volte succede che leggendo i giudizi finali alla primaria non si comprende se quel giudizio possa corrispondere a un 5 o a un 9. Non sempre, insomma, i giudizi finali sono redatti in maniera coerente.

“Ma perché al genitore serve sapere se il figlio ha preso un 5 o un 9? Non è meglio sapere cosa il bambino è in grado di fare bene e su cosa deve migliorare? Certo, i giudizi vanno scritti bene, riferendosi a obiettivi di apprendimento che esplicitino in modo chiaro cosa deve saper fare lo studente e su quali contenuti”.

Lei insegna all’università. Ma all’università dopotutto date i voti, non le valutazioni descrittive. Cosa risponde su questo?

“Purtroppo la pratica della valutazione descrittiva non si è ancora diffusa in università, però almeno all’università il voto è riservato alla valutazione sommativa, ossia al resoconto finale degli apprendimenti ottenuti nel singolo corso. Il voto finale rappresenta una sintesi della preparazione dello studente sugli obiettivi su cui il corso insiste. Nelle singole prove è buona norma dare un feedback preciso e dettagliato sui punti di forza e di debolezza della preparazione. Sono gli studenti stessi a chiederlo. Una buona prassi è quella di far fare agli studenti una sessione di autovalutazione prima di dare l’esame, in modo che essi stessi possano valutare la loro preparazione e rivederla se necessario. L’esame si conclude con un voto, certo, ma questo è l’esito di un percorso in cui la valutazione formativa, se il docente è sensibile in tal senso, è presente in più momenti”.

Ammetterà che non succede spesso

“Oggi accade sempre di più rispetto a venti anni fa. La sensibilità dei docenti è cambiata. La valutazione analitica e formativa si sta diffondendo sempre di più tra i docenti universitari. In numerosi atenei, in tutto il Paese, ai docenti viene offerta formazione specifica per lavorare con questi strumenti”

Visto che siamo in tema, lei che giudizio s’è fatto della presunta caduta degli apprendimenti?

“Non c’è stata una caduta degli apprendimenti. Se andiamo a vedere gli esiti delle indagini internazionali da quarant’anni a questa parte rileviamo dei settori in cui siamo cresciuti e rimasti stabili e altri in cui siamo cresciuti e poi scesi. Una caduta si è avuta con la pandemia, ma purtroppo c’era da aspettarselo. Rispetto agli anni ‘90 però le competenze medie della popolazione scolastica sono cresciute. Dove siamo deboli, e da anni, è nelle competenze medie dei soggetti adulti (dai 16 ai 64 anni, indagini Ocse-Piaac): la scuola del passato non formava meglio della scuola del presente. Spesso era una scuola selettiva, molti allievi abbandonavano gli studi subito dopo aver conseguito l’obbligo scolastico e venivano avviati precocemente al lavoro. Quegli allievi sono quelli che oggi abbassano le medie nazionali nelle indagini Ocse-Piaac.”.

Ora gli studenti sono obbligati per legge ad andare a scuola

“Sì, ma è anche più difficile trovare precocemente un lavoro, perché le posizioni sono mediamente più qualificate. La scuola superiore e l’università del passato sembravano migliori semplicemente perché molti allievi con difficoltà non ci arrivavano, si fermavano prima.”.

Lei è anche Coordinatore del Centro Interateneo di Interesse Regionale per la Formazione degli Insegnanti Secondari. Secondo lei i nuovi docenti sono attrezzati sul piano della valutazione?

“Sicuramente li vedo più sensibili a certi temi. I docenti in formazione hanno capito il senso della valutazione formativa e ne riconoscono le potenzialità. Abbiamo tanti insegnanti molto preparati perché hanno frequentato le Ssis e i Tfa, purtroppo però questi percorsi sono stati aboliti e anche in passato non sono stati frequentati da tutti gli insegnanti attualmente in servizio, che si sono abilitati con percorsi paralleli. Molti insegnanti non hanno mai studiato la Docimologia nella loro formazione iniziale eppure sono chiamati a mettere dei voti. Non sembra una contraddizione? Non è sufficiente la pratica sul campo per imparare a valutare, serve formazione, altrimenti si rischia di replicare modelli visti da insegnanti del passato o di ‘inventarsi’ regole per dare i voti e modalità valutative prive di qualsiasi base teorica e riscontro empirico. Si rischia di fare grossi danni…”

Cosa fare?

“Formare gli insegnanti. Sistematicamente e continuativamente. Con formazione iniziale e in servizio. L’obiettivo che questo Paese deve porsi è portare tutti gli insegnanti a un livello minimo di competenze didattiche e valutative. Non sono un optional, sono la base per svolgere la propria professione.”.

Si può fare?

“Sì ma ci vuole un grosso impegno, servono finanziamenti e soprattutto quel che si deve evitare è ricorrere a soluzioni semplicistiche, utili a fini propagandistici ma dannose sul piano degli apprendimenti”

Ad esempio?

“Il ripristino dei voti alla scuola primaria sarebbe una di queste…”.

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