Stop agli smartphone fino a 14 anni e lo stop ai social media fino ai 16 anni, Novara: “L’esortazione al buon uso ha fallito”. INTERVISTA

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Educare al digitale, giusto introdurre divieti per rafforzarne l’azione? Ne abbiamo parlato con il Professor Daniele Novara, pedagogista, autore, fondatore e direttore del CPP, Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.

Professor Novara, lei, insieme a tanti altri autorevoli esperti dell’educazione, sostiene una petizione per vietare smartphone e social ai più giovani. Come nasce la vostra petizione ed in particolare quali sono le vostre richieste?

È un appello al governo affinché finalmente ci sia un intervento chiaro, che metta ordine e regolamentazione in una situazione come quella degli smartphone che ha creato nelle famiglie, nel rapporto genitori/figli, una serie di sconquassamenti non da poco. Per entrare nel merito l’appello è stato promosso da me e da Alberto Pellai, con tanti altri specialisti, e attualmente abbiamo raggiunto circa 60.000 firme. L’appello punta a due obiettivi che poi sono gli stessi promossi da Jonathan Hidt, lo psicologo americano che di recente ha scritto il libro “la generazione ansiosa”, ossia lo stop agli smartphone fino a 14 anni e lo stop ai social media fino ai 16 anni. Questo perché la situazione è assolutamente fuori controllo, non si può pretendere che i genitori facciano i poliziotti, questa è una pretesa che non ha riscontri né tecnici né scientifici. I genitori cercano di educare ma qui siamo oltre, perché lo smartphone è un prodotto che proviene dalle più grandi aziende del pianeta, con un battage pubblicitario enorme, incalzante, che non lascia molti margini di manovra e che purtroppo ha coinvolto anche i bambini. Quindi è necessario che i genitori tornino ad educare e che il poliziotto lo faccia lo Stato, voler cambiare questo inequivocabile quadro della situazione pretendendo che i genitori facciano i poliziotti è un’ingerenza indebita. Le leggi le deve faro lo Stato, a tal proposito noi abbiamo già delle leggi con specifici divieti, ad esempio fino a 14 anni non si può guidare il motorino, fino a 18 non si può guidare l’auto, non si può comprare l’alcol e il tabacco, pertanto mettiamo questo limite che fino a 14 anni non si può utilizzare uno strumento come lo smartphone che è inedito come tecnologia e che ha preso alla sprovvista le famiglie dove improvvisamente ci si trova in mano un oggetto nel quale c’è dentro un mondo. È un computer con l’accesso illimitato e immediato alla rete, giorno e notte e senza password, dove un bambino di 8 anni può accedere liberamente a siti porno, film dell’orrore e qualsiasi altra disgrazia e finire ad assorbire contenuti decisamente fuori misura rispetto alla sua età. La situazione è fuori controllo e necessita di un intervento chiaro, preciso e determinato.

Tra gli esperti ci sono diverse posizioni su questo argomento, c’è un filone di pensiero che sposta l’attenzione sull’educare al buon uso delle tecnologie digitali. Cosa differenzia la vostra posizione da quest’ultima?

Niente, non la differenzia niente. Anche noi siamo d’accordo sull’educare al buon uso, anzi riteniamo che proprio mettere un limite, una regolamentazione, permetterà di fare questo, perché senza una limitazione non ci sarà mail il buon uso, è tecnicamente impossibile. Sfido chiunque a dire che in questi dieci anni di esortazione al buon uso nell’utilizzo alla tecnologia la situazione sia migliorata. Se qualcuno che si definisce specialista osa dire che la situazione è migliorata è in mala fede. È mettendo una limitazione chiara che otteniamo quello che qualcuno giustamente chiede e che chiediamo anche noi, il buon uso. Dobbiamo agire così come si fa ovviamente con l’alcol e non come quando ero piccolo io dove a sei anni ti davano il “goccietto”, chi ha la mia età purtroppo si ricorderà, non è quello il buon uso; ad un certo punto lo Stato dice ai genitori basta con il “goccetto”, bisogna che il pargolo abbia almeno diciotto anni per bere l’alcol, e questo per un motivo molto semplice, perché a diciotto anni finisce lo sviluppo fisico e quindi l’alcol non compromette questo sviluppo. È un elemento di sicurezza e lo stesso dobbiamo fare con le tecnologie digitali, perché fino ai quattordici anni il cervello è estremamente plastico, prende tutto, e non possiamo mettere a repentaglio la crescita di ragazze e ragazzi, ma tanto più dei bambini; sappiamo bene cosa è successo all’inizio dove lo smartphone veniva dato come regalo della prima comunione, gli storici ricorderanno questo come una delle principali nefandezze della nostra società. Allora mettiamo un attimo di chiarezza proprio per procedere nella direzione di educare al buon uso delle tecnologie digitali.

Un altro aspetto importante è legato alla famiglia, perché si può vietare l’uso ma i genitori a casa poi adottano le decisioni che ritengono più opportune. Come si può rafforzare l’alleanza con la famiglia?

Anche in questo caso sfido chiunque a dire che aver messo il limite di diciotto anni sull’alcol abbia peggiorato la situazione nell’uso di questo prodotto tra i giovani, i dati sono incontrovertibili, c’è stato un deciso miglioramento. Non possiamo dire che il sedicenne in assoluto non beva alcol, ma possiamo senz’altro dire che c’è stato un miglioramento straordinario, le famiglie si sono sentite rafforzate dallo Stato, dal Governo, dalle istituzioni che hanno messo un divieto chiaro, perché questo consente ai genitori di dire al ragazzo di fermarsi, che non possono dargli i soldi né per il tabacco e nemmeno per l’alcol. Poi è ovvio che il ragazzo, per di più in età adolescenziale, cercherà la trasgressione, però questa sarà, appunto, una trasgressione e non una azione che la società consente, perché la società è anche una comunità educativa, non solo una comunità civile, è una comunità che si prende cura dei suoi strati più deboli, più fragili, tra cui i bambini e i ragazzi, cioè quelli che sono in età di formazione dove il cervello è ancora immaturo e non in grado di capire tutte le conseguenze. Pensiamo cosa voglia dire, ad esempio, andare in un locale di liquori alla frutta, tutti belli gelati che non ti accorgi neanche che c’è dentro dell’alcol a 40/45 gradi. Quindi, da questo punto di vista qualcuno ti deve aiutare, deve mettere un limite, una regolamentazione, un paletto ed è normale, questa è l’educazione, è la pedagogia. Tutto questo ovviamente con lo scopo non di proibire, ma di far crescere nella libertà, nell’espressione delle proprie risorse, non c’è nessun proibizionismo in questo, ad esempio qualcuno direbbe che il semaforo rosso è un proibizionismo? Oppure che uno stop sulla strada è proibizionismo? Sono delle iperbole esagerate, invece dobbiamo chiederci cosa è possibile fare per uscire dal pasticcio che in maniera sprovveduta abbiamo attraversato con l’arrivo di una tecnologia che non ci si aspettava, che le famiglie non si aspettavano, e che è stato molto improvviso, veicolato anche da claim pubblicitari fortissimi come il bambino touch o i bambini digitali, con i bambini stessi che ripetevano i reframe ai genitori affermando di essere gli unici a non avere l’ultimo modello di smartphone e che correvano il rischio di essere emarginati, sembravano bambini pagati direttamente dalle grandi aziende, indottrinati a dire tutto ciò. È ovvio che tutto questo veniva mosso da chi voleva e vuole ancora oggi fare del business, ma possiamo permettercelo? Io dico di no, dobbiamo, appunto, educare al buon uso della tecnologia digitale, impedendo questa invasione, perché quando c’è un’invasione poi non c’è più la possibilità di educare. Ritornando alla sua domanda la nostra è proprio una mossa nella stessa direzione.

Un’ultima domanda, in una società dove tutti siamo immersi costantemente nel mondo digitale, il Professor Floridi parla di società onlife, non sarebbe il caso di sensibilizzare il mondo adulto ad educare le nuove generazioni dando il buon esempio e limitando noi stessi l’utilizzo di questi dispositivi?

Personalmente me lo auguro, ma dobbiamo essere chiari, noi viviamo in una società tecnologica digitale, in questo momento la nostra intervista avviene grazie ad un canale tecnologico digitale e il nostro cervello è in grado di gestire tutto questo, non abbiamo come adulti una problematica di addiction dopaminergico. Non dimentichiamo che tutte le dipendenze dopaminergiche vengono acquisite sostanzialmente in adolescenza; io stesso, quando ero giovane, mi sono occupato tanto dei tossicodipendenti, ma erano tutti ragazzi, non era che veniva fuori il tossicodipendente che aveva iniziato a quarant’anni, era qualcosa che sostanzialmente non esisteva, semmai a quarant’anni uno riprendeva quello che aveva fatto in gioventù. Questo per dire che l’età pericolosa è l’adolescenza, dove anche il senso del pericolo, come ci dicono gli studiosi, viene percepito diversamente, è un’età lunga che arriva fino ai 23/24 anni perché la corteccia prefrontale ci mette più tempo del previsto a prendere il controllo della zona limbica. Mi spiace poi dare ogni volta questa terribile notizia ai poveri genitori che ovviamente già quando il proprio figlio ha 14/15 anni cominciano a dare segnali di cedimento. Quindi non dimentichiamo che stiamo parlando dei nostri bambini e dei nostri ragazzi, di un’età particolare, come dice Pellai nessuno si sognerebbe di dare una Ferrari ad un ragazzo di 12 anni, nessun genitore normodotato mette in mano le chiavi dell’auto a suo figlio che ne ha 13, perché semplicemente è pericoloso, allora dobbiamo cogliere che esistono questi limiti legati all’età. Quando si è adulti ovviamente bisogna darsi a nostra volta delle regole, ad esempio se si è a tavola con i propri figli bisogna evitare di rispondere al cellulare e di non smanettarci sopra, così come a suo tempo dicevamo, e io lo dico ancora, di non cenare con la televisione accesa, non c’è motivo, non è un bello spettacolo di questi tempi, le prime tre notizie al telegiornale sono tre guerre in giro per il mondo e la quarta è un omicidio, allora perché bisogna cenare con questo paesaggio inquietante e devastante, non ne vale la pena. Quindi sono regole che ci sono sempre state e che dobbiamo mantenere, per il resto gli adulti usano le tecnologie perché siamo in una società tecnologica, ma non dimentichiamo che stiamo parlando dello smartphone e stiamo parlando di divieti fino ad una certa età, fino a 14 anni e fino a 16, che poi sono età che le società hanno sempre cercato di proteggere. Così come si proteggono i bambini dobbiamo proteggere i preadolescenti e gli adolescenti, ovviamente chiedendo loro di fare le cose giuste. Detto ciò non possiamo equiparare gli adulti con i bambini, è una stupidaggine dal punto di vista pedagogico, quindi va bene dare l’esempio, però se dobbiamo lavorare con la tecnologia noi adulti dobbiamo farlo, punto e basta.

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