Stipendi docenti, Saraceno: “Differenze retributive devono riguardare la quantità di lavoro e responsabilità, non il costo della vita”

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“Il ministro non mette in discussione il contratto nazionale, ma cercherà il modo, e i fondi, per aggiungere qualcosa ai compensi stabiliti a livello nazionale nelle città in cui il costo della vita è più alto. Dove sta la smentita? Immagino che altri dipendenti statali si metteranno legittimamente in fila per chiedere lo stesso trattamento”.

Lo scrive su La Repubblica la sociologa Chiara Saraceno, che commenta il tema della differenziazione salariale per gli insegnanti che lavorano in regioni con un costo della vita più alto. Tema caro alle Regioni rilanciato dal Ministro Valditara pochi giorni fa e che ha fatto discutere.

Le gabbie salariali eliminate dal settore privato – prosegue Saraceno – verranno reintrodotte nel settore pubblico, con lo Stato, cioè noi, che finanzierà indirettamente il più elevato costo della vita nelle città e regioni più ricche, invece di migliorare la qualità del welfare, dei trasporti, delle scuole e dei servizi per l’infanzia, della sanità, la cui inadeguatezza spesso abbassa la qualità della vita nelle zone a costo della vita (per quanto riguarda alcuni beni di mercato come l’abitazione o gli alimentari) più basso“.

Secondo la sociologa, è “paradossale che uno Stato che non è capace di fornire servizi pubblici fondamentali in quantità e qualità omogenea sul tutto il territorio nazionale pensi di usare il differenziale nel costo della vita (di mercato) come criterio per definire i compensi“.

Posto che poi sia facile individuare aree omogenee per costo della vita senza cadere vuoi in una frammentazione impossibile da gestire, vuoi nell’accorpamento di situazioni molto differenziate“, aggiunge.

Che gli insegnanti siano pagati troppo poco e abbiano una carriera e una progressione stipendiale piatta è vero – osserva Saraceno -. Ma lo è su tutto il territorio nazionale. Se si può e deve pensare ad una differenziazione retributiva, inoltre, deve riguardare la quantità di lavoro e responsabilità. Ad esempio, chi, lavorando in contesti difficili, ad alta intensità di povertà educativa, dedica più tempo al lavoro con gli studenti e alla costruzione di collaborazioni con la comunità circostante e con l’associazionismo per creare contesti favorevoli all’apprendimento, meriterebbe di essere pagato di più di chi, legittimamente, si attiene alle attività curriculari e all’orario contrattuale”, conclude.

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