Squid Game, un fenomeno planetario. Le grandi responsabilità dei genitori. Cosa può fare la scuola?

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Squid Game, il fenomeno mediatico cha ha stregato soprattutto i giovanissimi. Ora però si verifica l’ingrottamento mediatico e non solo. Grandi sono le responsabilità dei genitori. Gli interventi dell’istituzione scolastica.

Squid game, una successo planetario che ha sedotto i più giovani

Squid Game. L’ultima trovata mediatica coreana. Costata appena 21,4 milioni di dollari, secondo Netflix genererà un ricavo di 900 milioni. Commercialmente il dato parla da solo, spingendo il servizio in streaming a progettare una seconda stagione, nonostante le numerose petizioni alla censura.
La trama è arcinota, rendendo inutile ogni presentazione. Interessante per il nostro ragionamento, invece presentare i dati relativi alla visione diretta, alle visualizzazioni e gli effetti sulla produzione di applicazioni.

Nelle prime settimane  142 milioni di profili Netflix sono stati “interessati” alla visione. Molti bambini e i ragazzi  fungono da agenti pubblicitari presso gli adulti, i quali poi non sempre sono capaci a gestire educativamente la visione della serie. I genitori più illuminati hanno attivato il parental control.
La soluzione però non  ha risolto il problema, perché i bambini si sono diretti alle visualizzazioni su Youtube, comprendenti clip, interviste, giochi, videorecensioni, tutorial, contribuendo (ovviamente insieme ad altre categorie di persone) a raggiungere la stratosferica soglia di 17 miliardi di visualizzazioni in otto settimane ( dato Vobile società di analisi dei contenuti), superando di gran lunga il Trono di Spade.

La serie Squid Game ha poi favorito la proliferazione di applicazioni non sempre innocue. Tra queste è nota “”Squid Game Wallpaper 4K HD“, presente in Google Play store che non si limita a installare sfondi a tema, ma contemporaneamente implementa anche il malware Joker, grazie al quale si prende possesso del dispositivo, come una marionetta.

Grandi sono le responsabilità dei genitori

Indubbiamente grandi sono le responsabilità dei genitori.  Da diverso tempo hanno smesso di fare da filtro a quello che il mercato cinematografico e videoludico ( due esempi: Fortnite e Call of Duty) propongono. Ignorano o fanno finta di non leggere che nel caso specifico la visione è vietata ai minori di 14 anni. Scrive A. Pellai” Così piccoli, infatti, non hanno sviluppato le competenze cognitive per decifrare che Squid game è una satira sociale e non hanno l competenze emotive per digerire immagini crude, esplicite e sanguinolente che possono scatenare traumi. Si è vero che loro leggono fumetti e giocano ai videogame dove ci sono sfide in cui si muore. Ma qui il contesto è realistico: non si vedono disegni, ma uomini e donne. Assistendo a ripetute scene di omicidi, i bambini si anestetizzano” ai sentimenti e non provano quel dolore che è naturale provare di fronte alla scomparsa di un essere umano

L’anestesizzazione al dolore, ma soprattutto alla morte precondizioni alla formazione di una personalità che non sente più nulla o non prova emozioni, viene da lontano. Il nostro tempo ha occultato la morte. L’evento che fa parte della vita e che richiama la nostra finitezza (“essere per la morte” M. Heidegger) è stata rimosso dal mondo esperienziale di bambini, ai quali resta solo l’esperienza indiretta (la notizia della scomparsa di un parente) e la sua spettacolarizzazione attraverso il “Game Over” videoludico, che consente artificialmente di riavvolgere il nastro e riprendere l’avventura dall’ultimo Save game.

La scuola qualcosa può fare

In questo deserto educativo, che vede la ritirata dei genitori e la conseguente consegna al mercato dei propri figli la scuola può intervenire. Il suo esserci può trasmettere un messaggio chiaro, dimenticato dai genitori: i bambini hanno bisogno di “cura”(attenzione e valorizzazione). Una cura che non  si rifugia nel circondarli di oggetti o di attenzioni che in molti casi non li aiutano a crescere, mantenendoli in uno stato di dipendenza inadeguata ad affrontare la vita.

Apparentemente il fenomeno “Squid Game” pare scemato. In realtà si è ingrottato, mimetizzato e nascosto. Lo troviamo , come scritto sopra, nella ricerca di video, di challenge (Tik Tok), tutorial e altro ancora. L’operazione è attivata spesso nel chiuso della propria camera da letto o nell’isolamento creato intorno all’uso di un tablet o dello smartphone del genitore. Quindi, la diminuzione delle notizie non è garanzia di declino del fenomeno.

Quali allora le azioni che la scuola può proporre?

Innanzitutto una informativa ai genitori. In veste di referente al contrasto del bullismo online e offline del mio istituto (Squid game può declinarsi in uno o in entrambi i fenomeni) ho scritto sulla pagina Fb della scuola (molto frequentata dai genitori) una riflessione finalizzata a sensibilizzarli sul fenomeno.

Alcuni passaggi esemplificativi: Sono abituato a parlare dopo essermi documentato. Sulla piattaforma di Netflix ho visto quasi tutte le puntate di Squid Game.Valori proposti: alta competizione, mondo diviso in vincitori e perdenti, punizione o eliminazione dell’avversario…
Nella vita non sempre si è vincitori. Qualche volta si è perdenti.
In questo caso il finale non può essere l’eliminazione fisica, ma il rialzarsi e riprendere a lottare per raggiungere l’obiettivo. Gli amici, le persone possono aiutarmi (valore diverso dalla competizione)…
Sono da ammirare gli atleti paraolimpici che sono riusciti a ripartire dai loro limiti, attribuendo alla loro condizione UN SENSO.
I genitori devono porre attenzione a quello che i figli guardano sulle diverse piattaforme. (Sky, Amazon Prime, Now, Netflix…). “In anteprima” Devono essere loro a guardare la serie o il programma e poi valutare. Non devono lasciare mai da soli i figli! Occorre sempre discutere con loro il contenuto. Non tutti sono adeguati alla loro capacità di gestione critica. Nel caso concreto la serie “Squid Game” è vietata ai minori di 14 anni…”

Ovviamente poi è necessario intervenire direttamente sui bambini, proponendosi come baluardi del “No”. Monosillabo spesso abbandonato dai genitori per il più semplice e diseducativo “Si”, che come ha scritto recentemente P. Crepet” Quando un genitore dice: “io non ho mai fatto mancare niente a mio figlio” esprime la sua totale idiozia. Perché il compito di un genitore è di far mancare qualcosa, perché se non ti manca niente a che ti deve servire la curiosità, a che ti serve l’ingegno, a che ti serve il talento, a che ti serve tutto quello che abbiamo in questa scatola magica, non ti serve a niente no? In concreto occorre vigilare attivamente soprattutto nei momenti ricreativi dove è ricomparso il gioco “uno, due, tre stella” con la variante proposta da “Squid Game”. La presenza attiva rientra tra i doveri dell’insegnante. Rappresenta un baluardo documentaristico che limita la chiamata davanti al giudice, perché accusati di “Culpa in vigilando (art. 2048 codice civile). La conditio sine qua non è il controllo visivo diretto.

Ultimo intervento rimanda alla dimensione pedagogica, profilo coerente con i compiti della scuola. Scrive U. Galimberti” Educare significa seguire un ragazzo nel suo passaggio dallo stato pulsionale allo stato emozionale, in modo che abbia una risonante emotiva nei suoi comportamenti, e riesca a capire la differenza tra corteggiare una ragazza e stuprarla, tra insultare un professore e pigliarlo a calci. Educare vuol dire poi portare al sentimento, perché i sentimenti sono fenomeni culturali, non naturali, quindi si imparano. Il problema perciò è questo: diventare uomini.”
Quindi si apre lo scenario di un’educazione all’emotività e ai sentimenti. E’ risaputo che i bambini e i ragazzi incontrino delle difficoltà nel riconoscere il proprio mondo interiore. A loro spesso mancano le parole (il loro vocabolario si è fortemente ridotto) a causa degli  scarsi interscambi con i genitori, con i pari, alla poca frequentazione con i libri e di contrasto all’iper-esposizione al mezzo televisivo.
Sicuramente attività di proposizione di disegni, foto, poesie o situazioni occasionali… può aiutarli, in un contesto di confronto e collaborativo,  ad individuare le loro emozioni.

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