Specializzazione sostegno, in Piemonte aumenta la formazione ma ancora non basta: decide il Ministero
La specializzazione sul sostegno è un tema molto caldo. Il problema è che, nonostante gli sforzi, i posti a disposizione nelle Università restano insufficienti per coprire le cattedre in ruolo, specialmente al Nord, dove è piuttosto frequente l’utilizzo di docenti senza specializzazione.
A Torino negli ultimi anno sono aumentati i posti ma ancora non basta: “in quattro anni siamo passati dal formare 200 insegnanti di sostegno per ogni edizione del corso di formazione a formarne 650. L’ultima edizione, la nona, è partita proprio il 31 agosto. Questo dimostra che è stato fatto già un importante lavoro sui numeri, senza penalizzare l’alta qualità che l’Università di Torino garantisce nella formazione”, dice a La Repubblica Cecilia Marchisio, direttrice della Specializzazione per le attività di sostegno didattico dell’Università di Torino, che aggiunge: “è bene impegnarsi in parallelo sul contesto, e quindi sulle scuole: tanti insegnanti di sostegno non sono garanzia di qualità, lo fa un sistema che si orienta in modo inclusivo coinvolgendo tutti gli insegnanti del collegio a muoversi nella stessa direzione.
Il direttore scolastico regionale Stefano Suraniti a Repubblica, rimarca però il concetto iniziale e si può parlare di “insufficienza dal punto di vista numerico di percorsi di specializzazione nell’offerta formativa delle Università del Piemonte“.
Il modello piemontese prevede “un sistema di eccellenza, che, forte proprio della collaborazione tra le istituzioni, quindi l’ufficio scolastico regionale, l’Università del Piemonte Orientale, i sindacati, la Città metropolitana e la Regione Piemonte che ha finanziato i corsi, ha permesso di formare più formatori e quindi di aumentare i numeri nei percorsi di formazione“, precisa Marchisio.
Il percorso, infatti, è composto da molte attività di laboratorio che all’università di Torino vengono svolte in piccoli gruppi, massimo 25 persone e per farne di più servirebbero anche più insegnanti specializzati nella materia. Perché l’obiettivo, precisa la direttrice, è formare docenti che non vedano “una persona con disabilità o fragile ma una persona disabilitata perché la fragilità viene dall’ambiente che fragilizza. È una visione in linea con la convenzione Onu per cui per noi l’insegnante di sostegno non è un badante ma colui che deve lavorare a ridurre e superare le barriere perché è consapevole che la disabilità viene dall’incontro tra le caratteristiche di una persona, nel nostro caso l’alunno, e le barriere anche immateriali che l’ambiente propone“.
“L’incognita vera resta il futuro – conclude l’esperta – perché è il Ministero a doversi esprimere sui corsi di specializzazione e al momento non abbiamo notizie di una decima edizione. So che i rettori hanno dato massima disponibilità a continuare a lavorare in questa direzione”.