Sostegno “solo” sulla carta, la parola “handicap” abolita soltanto a parole: “Senza docenti è una beffa. Le parole sono importanti, ma occorre dare loro sostanza”
Come è noto, il decreto legislativo 62 del 2024 introduce un cambio lessicale importante nella pubblica amministrazione, sostituendo termini come “handicap” con “condizione di disabilità” e “persona handicappata” con “persona con disabilità”.
L’aggiornamento terminologico, accolto con un pizzico di ironia da Paolo Zampiceni, presidente dell’associazione bresciana Autismando, apre un dibattito cruciale: quanto il linguaggio influisce sulla realtà dell’inclusione scolastica?
In un’intervista a Il Giorno, Zampiceni, pur riconoscendo l’importanza di una terminologia corretta e rispettosa, sottolinea come la vera sfida risieda nella concretezza delle azioni. “Va benissimo – afferma – la linguistica insegna che qualsiasi oggetto acquista determinati significati rispetto a quello che viene denominato”.
Tuttavia, il presidente dell’associazione si interroga sulla reale efficacia di questi cambiamenti di fronte a problemi ben più urgenti, come le lunghe liste d’attesa per i centri abilitativi. Porta ad esempio il caso di una madre che attende da tre anni l’accesso a un centro per il figlio di cinque anni, evidenziando il contrasto tra l’urgenza di interventi precoci e i tempi di attesa biblici.
La domanda retorica che Zampiceni pone ai genitori è emblematica: “Continueranno a mancare gli insegnanti di sostegno, […] ma i nostri figli, per la scuola, saranno “persone con disabilità”. Non ne siete felici?”.
Il presidente di Autismando individua le vere priorità: la formazione adeguata dei docenti di sostegno, l’accesso rapido ai trattamenti, l’abbattimento delle barriere architettoniche e cognitive.
Zampiceni critica il divario tra la normativa, considerata tra le più avanzate in Europa, e la sua applicazione pratica. Mentre molte famiglie sono costrette a rivolgersi ai tribunali per far valere i propri diritti, egli si chiede: “Possibile che il sistema pubblico non si sia posto il problema di mettere correttivi?”.
Il cambio di linguaggio è un passo importante, ma la vera inclusione si misura con la capacità di tradurre le parole in azioni concrete e garantire a tutti gli studenti pari opportunità. Come conclude Zampiceni: “Bene che mio figlio non sia più “handicappato”, […] ma come si sostanzia tutto questo?”.