Sostegno, i pedagogisti lanciano l’allarme: “Il nuovo decreto rischia di abbassare la qualità degli insegnanti”
Non sembra raccogliere molti consensi il nuovo decreto scuola e sport, approvato in via definitiva alla Camera e che adesso dovrà passare dal Senato, che contiene diverse misure riguardanti il sostegno.
Lo abbiamo scritto in un altro articolo in verità che le novità presentate da Valditara in questo provvedimento ha lasciato più perplessità che convinzione.
Al coro si aggiungono i pedagogisti della Società Italiana di Pedagogia Speciale, la SIPeS, che su Il Corriere della Sera esprimono la loro opinione (negativa) verso il nuovo decreto.
I punti contestati e segnalati dal presidente della SIPeS, Catia Giaconi, sono due: “vengono ridotti a meno della metà i percorsi di studio per diventare insegnante di sostegno, ai docenti precari con almeno tre anni di servizio” e “i titoli conseguiti all’estero saranno sostanzialmente riconosciuti con un percorso abbreviato che, nella versione iniziale era fissato in soli 10CFU“.
“È giusto ridurre in maniera così forte un percorso di studio che dovrebbe fornire una preparazione seria, in grado di affrontare situazioni problematiche e complesse, solo perché non vi è personale specializzato da assumere? Sarebbe immaginabile pensare, ad esempio, laddove vi fossero pochi laureati in matematica, di dimezzare il percorso di studi così da prepararne in numero sufficiente a soddisfare il fabbisogno di posti? Possibile che non vi siano altre soluzioni che non inficino la qualità dell’inclusione per risolvere il problema?“, si chiede Giaconi.
“Sappiamo – aggiunge – che ogni anno dai 5000 ai 10.000 insegnanti transitano da posto di sostegno a posto comune. Quindi, nel corpo docente della scuola italiana, composto da quasi 700.000 insegnanti, ci sono almeno 100.000 insegnanti specializzati sul sostegno didattico. Non avrebbe potuto, il Ministero, rivolgere loro un interpello per chiedere di sopperire al momento di urgenza, prevedendo magari qualche incentivo?”
E ancora: “Il Ministero dice che le Università non preparano abbastanza docenti. Ebbene, lo scorso anno ne sono stati specializzati 30.000, ma il Ministero ne ha assunti circa 3.000. Non appare, alla luce di questi dati, un pretesto quello della scarsità di specializzati? La formazione dei docenti è bene che esca dai binari delle Università?
Si tenga conto che i docenti che hanno seguito i corsi ordinari per conseguire la specializzazione hanno dovuto superare ben tre prove selettive, con un intenso studio preliminare, seguito poi da un regolare corso di durata annuale, con lezioni in presenza, un tirocinio diretto e indiretto, oltre che le attività di laboratorio (ben 9 laboratori di 20 ore ciascuno nei quali si presentano casi di studio e si svolgono esercitazioni pratiche). I docenti «condonati» non solo vedranno dimezzato il percorso curricolare di 60CFU, ma «salteranno» tutto il tirocinio che non può essere colmato con tre anni di presenza in classe senza un tutoraggio specifico“.
Poi i pedagogisti si concentrano sull’altro punto, ovvero quello dei titoli esteri: “sappiamo che è possibile conseguire diplomi di specializzazione in Albania, Romania, Bulgaria o Spagna in tempi brevissimi, con il pagamento di una congrua quota di iscrizione (dai 4000 euro in su). Conosciamo la normativa che prevede l’equiparazione dei titoli professionali in Europa, ma esistono norme di tutela per gli Stati membri dell’UE. Ad esempio, l’articolo 4, comma 1, lettera c), del dlgs 206/2007 statuisce l’effettivo riconoscimento del titolo di formazione solo laddove i possessori «abbiano nell’effettivo svolgimento dell’attività professionale, un’esperienza di almeno tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo, certificata dal medesimo“.
Partendo da questo presupposto, Giaconi si chiede: “Perché non accertare tale permanenza nel Paese che rilascia il titolo? Perché non richiedere la certificazione di competenza linguistica dei corsisti (almeno B2) nella lingua del Paese che ha rilasciato il titolo? Si tratta di tutelare il diritto allo studio delle persone più fragili, così come sancito dalla nostra Carta Costituzionale“.